Sono così vittima del jet lag sociale che la mia non è più insonnia, è solo un’attesa per l’ennesimo check-in della vita.
Archivi del mese: gennaio 2011
Le mille e una rivoluzione
Sarà che tanti anni fa ci ho lasciato un pezzo di cuore (e sarà pure che le rivoluzioni non violente non hanno quasi mai cambiato il mondo), ma io spero davvero che in Egitto trovino un po’ di pace.
In sha’ Allah.
La strada più lunga
In questo pomeriggio freddo ho deciso di venirti a cercare.
Non l’avevo programmato. Ero immersa in un altro viaggio, un viaggio quasi felice, di quelli che faccio ogni volta che decido di cambiare vita, di provare ancora, di sentirmi viva, di non avere paura.
E mi sei venuto in mente tu.
Una deviazione di qualche decina di chilometri, di qualche decina di minuti, per seguire questo nodo nello stomaco, questo richiamo che sento come una corda tesa che tira, che strattona, che non mi lascia andare via, lontano.
Non è stato facile trovarti. Trovarti in mezzo a questa pianura gelida e triste, in questo ricco deserto di capannoni e strade dritte, di nomi che non ricordo e posti che non conosco. Questo posto che ti sei scelto o che ti ha scelto, così diverso da te.
Il posto in cui sei rimasto.
Mi ricordavi diversa?
Non porto più i capelli corti corti e l’orecchino al naso. Non sono più arrabbiata con il mondo e sempre in fuga.
Ho imparato, a fatica, a stare ferma, a costruire e non solo ad abbandonare, ad ascoltare e non solo a parlare parlare, a essere forte, a essere grande, a difendere e non solo a difendermi.
Non ti aspettavi di vedermi qui, un pomeriggio freddo di un gennaio qualsiasi?
I duecento chilometri che mi separavano da te sono stati il viaggio più lungo della mia vita.
Ci ho messo undici anni a percorrerli.
Ma adesso sono adulta e sono venuta a dirti, a dirtelo finalmente, che sono pronta a perdonare, ma non a dimenticare, ad accettare, ma non a capire, a svuotarmi i pensieri dalle piccole schegge che erano rimaste conficcate e a riempirli di questo silenzio rumorosissimo tra di noi.
A volte, mentre vivo, mi accorgo di essere come te. E mi spavento o sono felice. E allora rido e poi ti penso e, qualche volta, sempre meno, parlo di te.
Il cancello è lontano, non ricordo dove ho parcheggiato la macchina che mi hanno prestato e il tempo che ci concedono ancora non è molto. A noi, che il tempo che avevamo non abbiamo mai saputo gestirlo.
È tutto qui. Ci ho messo quasi tutta la vita ad arrivare alla fine della strada più lunga e devo già ripartire.
E mentre mi allontano, annusando il vento e l’odore di fiori, mi sorridi, con quel tuo sorriso sempre triste, proprio uguale, identico al mio, sul quel tuo viso che non invecchia, in quella foto sbiadita su quel marmo bianco e freddo che trascino, sempre con me, in fondo al cuore.
Potenzialità
Durante il primo mese da libera professionista ho scoperto che sono bravissima a perdere tempo.
Adesso devo cercare di ricavarne una fonte di guadagno.
Le italiane inadeguate
“Dania, una vita passata a darla via gratis.”
Scrivetelo sulla mia tomba.
Ruby di Magdala
In fondo, aprire le porte dei palazzi delle potere alle mignotte è la cosa più democratica che ha fatto questo governo.
A casa
Mi sono accorta che, impegnata a cercarmi in qualsiasi altrove, manco da Napoli da sei lunghissimi anni.
Forse ne avrei disperato bisogno.
Per sempre
È il mio compleanno -ti ho detto- portami al mare.
E siamo saliti in macchina verso la costa.
C’era la nebbia, quella nebbia grigia e sporca, così veneta, così densa da entrarti nelle ossa, negli occhi, nei capelli lisci che diventano crespi, nei vestiti di lana che diventano pesanti.
Non distinguevamo nulla lungo la strada. Gli alberi, le case, i vecchi, i cani, le panchine, le fermate dell’autobus, le macchine parcheggiate, i cassonetti dell’immondizia.
Siamo arrivati sulla spiaggia, immersi nella foschia lattiginosa, e abbiamo iniziato a camminare e faceva freddo e tu dicevi è normale a gennaio e io pensavo all’anno in più e all’umidità che mi arricciava i capelli.
E abbiamo camminato sulla sabbia bagnata e sporca e per vedere il mare siamo dovuti arrivare fino a infilare quasi i piedi nell’acqua. Ed era un mare grigio, dello stesso colore del cielo, dello stesso colore della sabbia, dello stesso colore del vento.
Da quanto tempo non mi portavi a vedere il mare?
Ti ricordi quando, nei pomeriggi pigri e stanchi, saltavamo in macchina e andavamo a cercare la libertà? In fondo alla strada per la libertà c’era sempre il mare, azzurro o verde, calmo o arrabbiato, con l’odore forte di orizzonte e di promesse.
Questo mare qui, il mare di questo inverno, è un mare invisibile, un mare schivo, un mare che si nasconde e non vuole raccontare storie.
Ho sempre pensato che le storie di mare fossero dentro di noi, che avessimo il mare dentro.
Come il titolo di quel film che abbiamo noleggiato, anni fa, e non abbiamo mai finito di guardare e ci siamo detti prima o poi lo guarderemo, un giorno, in futuro. Quando ancora non ci spaventava l’eternità.
L’amore ai tempi del grembiulino
Si dice spesso che i bambini tirino le trecce alle femminucce per dimostrare che le trovano carine.
Io una volta, in terza elementare, ho spaccato un dente a un mio compagno di classe con un pugno.
A pensarci bene, non era per niente male.
Solo per darmi un tono
Qui trovate il podcast dell’intervista di ieri su Radio Montecarlo sul mio primo giorno da “precaria volontaria”.
E stasera, dopo le 19, un bel servizio sulla dottoressa Dania (in esclusiva dal mio salotto) nel TG di Telenuovo.
Per chi dice che a star sempre sul divano non succede mai nulla!
Come il vino migliore
Sembra che, nonostante le ripetute proteste, anche quest’anno io sia costretta a festeggiare il compleanno.
L’età, per contratto, rimane la stessa degli ultimi cinque anni.
Grazie per gli auguri fatti in anticipo, in tempo e anche per quelli che arriveranno in ritardo.
Se aveste voglia di partecipare ai festeggiamenti e guadagnare gloria eterna, sulla colonna alla destra del blog trovate il bottone paypal per le donazioni (email: malafemmena@gmail.com).
I vostri omaggi saranno utilizzati per le spese fondamentali della dottoressa: creazione del fondo “tette nuove” o acquisto di Louboutin in saldo o bollette enel e gas per i prossimi mesi da libera professionista.
Alla mia salute!
Le parole tue
Il primo anno di università ero diventata grande amica di Matteo.
Avevamo gli stessi gusti musicali, gli stessi gusti letterari, gli stessi gusti cinematografici.
Matteo diceva sempre cose bellissime che non erano parole sue, erano parole prese dai libri che amavamo, dai film che ci avevano fatto sognare, dalle canzoni che ascoltavamo dalla mia vecchia radio rotta, che avevo riparato con lo scotch e gli adesivi con la falce e il martello.
Passavamo ore al caffè in campo dei Frari, tra una lezione e l’altra, a emozionarci per quelle parole che sembravano fatte per noi, dette da noi, scritte proprio come se nella penna ci fossero stati i miei capelli neri neri e i suoi occhi grigi.
E tutti gli altri amici conoscevano quelle parole, le ripetevano, ce le cantavano, in quelle sere veneziane stanche di chitarra, canne, vino cattivo e splendidi vent’anni.
Una notte piena di bellissime parole, ci siamo baciati e siamo stati lì in silenzio, nel silenzio dei baci, tutta la notte.
Non ne abbiamo mai parlato e, ogni volta che ci tornava in mente, all’improvviso, ci guardavamo e stavamo zitti ad ascoltare il rumore leggero dei pensieri.
E poi sono passati i mesi e gli anni, Matteo si è fidanzato con una delle mie più care amiche dell’epoca. Penso fossero felici insieme. I nostri silenzi sono finiti, un giorno, così come sono iniziati e, lentamente, Matteo è sparito insieme ai vent’anni.
Ieri, mentre passeggiavo senza sapere dove andare, trascinandomi dietro le mie inquietudini mascherate dal volume alto della musica, la selezione casuale dell’iPod ha scelto una di quelle canzoni lì, quelle di tanti anni fa, piene di parole meravigliose che Matteo mi diceva tra le calli notturne, piene soltanto di luce di luna.
Ho pensato a lui, dopo così tanti anni, dopo così tanta distanza. E ho capito, infine, perché quella vicinanza perfetta, nonostante il nostro grande bisogno e desiderio, non è mai diventata amore.
A Matteo e me sono mancate le parole nostre, le parole pensate, scritte e dette da noi, le parole imperfette e forse sbagliate, le parole piccole, ma uniche, le parole che nessun altro poteva usare per l’amore, solo noi.
Nel timore che quella storia mai nata potesse non essere perfetta come le parole che amavamo, abbiamo semplicemente preferito non raccontarla.
Avrei voluto dire tutto questo a Matteo, ieri, dovunque lui fosse, dirgli che ho trovato le parole per dirti perché non abbiamo mai avuto parole, le parole che avrei dovuto dirti, che avresti dovuto dirmi, in quei silenzi infiniti, faticosi e immobili.
E ho pensato a lui ancora un po’, passeggiando per la città fredda. Poi la musica è cambiata e il ricordo si è allontanato e camminando ho ascoltato altre parole e ho pensato ad altre storie, alcune non scritte, altre abbozzate, altre finite e poche, pochissime perfette.
In proprio
Dopo tre ore passate sul divano a cercare l’ispirazione per iniziare, ho capito che sono il datore di lavoro più permissivo che potessi avere.
Devo delegarmi a qualcuno con più polso.