Via

Domani parto per il viaggio che avrei dovuto fare a gennaio.

Se fossi partita allora, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Starò via meno della metà del tempo che avevo programmato, sempre che decida di tornare.

Buone vacanze a (quasi) tutti.

Pensa se

Pensa se, anni fa, ti avessero detto che un giorno non ti saresti liberata più dei tuoi fantasmi, che avresti incontrato il tuo passato in tutto il tuo futuro, che non avresti più avuto la possibilità di dimenticare una faccia, di rimarginare una ferita.

Pensa se ti avessero detto che un giorno saresti inciampata, tuo malgrado, nelle foto felici in cui non compari, nei racconti allegri di chi ti ha ferito senza ferirsi, nei resoconti dettagliati ed esibizionisti di amori che potevano essere tuoi.

Pensa se ti avessero detto che la vita di chi non vuoi più nella tua vita ti sarebbe apparsa davanti, che i gradi di separazione sarebbero spariti, che nessun posto sarebbe stato abbastanza lontano e abbastanza protetto, che, nonostante la distanza, avresti vissuto nello stesso spazio stretto e fluido di chi ti ha spezzato il cuore.

Pensa se ti avessero detto che un giorno saresti stata vittima dei social network.

Avresti sicuramente pensato «bella merda!».

Cose che scrivo qui così mia madre legge e non mi chiama

La prossima settimana parto per il Brasile. Rientro a metà agosto. Poi proverò a ripartire per Parigi. E a non rientrare più.

Non ho ancora trovato casa a Milano. Non so se voglio trasferirmi a Milano. Sarebbe più comodo che Milano si trasferisse da me. Io aspetto.

Forse ho capito cosa voglio fare da grande. L’ho capito appena ho scoperto di essere già grande. Le cose ti succedono. A volte sono quelle giuste. A volte sono quelle sbagliate e ci bevi su.

Non sono mai stata così al verde e non me n’è mai fregato così poco dei soldi. È un modo stupido e bellissimo di vivere.

Sono tornati i Macchianera Blog Awards. Se mi candidate ancora come blogger erotica, vi si seccherà lo scroto, vi cadrà e al suo posto vi crescerà un libro di poesie di Bondi.

Tutto il deserto

Sai cosa mi è tornato in mente?

Quella volta che volevamo partire per l’Africa e viaggiare sulle jeep e fermarci nei posti e parlare con la gente e mangiare con loro e poi arrivare in Mali e vedere il Festival au Désert e stare lì a ballare e ascoltare musica e vedere ancora l’alba nel deserto.

Quella volta che avevamo comprato le mappe e le tenevamo in camera tua e avevamo pianificato e pensato a quanto avremmo dovuto risparmiare e mettere da parte e che tu non ti saresti comprato la vespa nuova e io avrei spostato la fine degli esami.

Quella volta che abbiamo detto facciamolo, ma ci pensi che figata e poi staremo attenti, non correremo pericoli, eviteremo i confini instabili, aiuteremo la gente, ci faremo aiutare, impareremo e ascolteremo.

Poi non siamo partiti e dicevamo lo faremo dopo, quando avremo tempo, quando anche tu ti sarei laureato e poi quando avremmo trovato un lavoro e un po’ di soldi e poi quando avremmo avuto le ferie e quando i nostri amori sarebbero stati disponibili e quando sarebbero finite le rogne e i disagi e i grattacapi.

Poi non siamo partiti e abbiamo smesso di parlarne.

Oggi mi è tornato in mente quel viaggio mancato e tutta quell’Africa che non abbiamo visto e tutto il deserto che ci è cresciuto intorno e tutta la musica speciale che non abbiamo ascoltato.

Ci ho pensato un po’, poi ho preparato il caffè.

 

Come Forrest Gump

Da quel giorno lì che ho sentito la frattura, ho iniziato a correre prima che la crepa si allargasse troppo.

E più correvo più si allargava e io mi dicevo devo andare avanti, non mi devo fermare, non mi devo fermare.

Da quel giorno che ho sentito che tutto si era rotto, ho iniziato a correre e avrei voluto trascinarti per mano e farti correre con me e non farti cadere nella crepa e dirti salta, salta adesso che ce la possiamo fare e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci.

Da quel giorno lì che ho sentito quel boato, che era dentro, proprio in fondo, e io pensavo che si fermasse il mondo, invece era un rumore assordante solo nel mio troppo silenzio, ho iniziato a correre e non sono riuscita, non ce l’ho fatta, a dire tutto, a finire tutto, a chiudere tutto, a salvare tutto.

Ogni tanto mi dicevo devo tornare indietro e continuavo a correre e poi mi giravo e mi dicevo ma forse anche lui, anche loro mi corrono dietro e vogliono raggiungermi e non mi lasceranno sola.

Da quel giorno che ho sentito che era il momento, che niente sarebbe più stato lo stesso, che non ce l’avevo fatta, che non c’era salvezza, non c’erano ritorni, ho iniziato a correre e ho corso così tanto che non avevo più fiato e non avevo più forze e non avevo più strada e non avevo più meta.

E poi oggi mi sono ritrovata così, a correre senza fermarmi, in Corso Buenos Aires e c’era un caldo torrido e c’era la folla che mi passava accanto e c’erano cose che avevo già visto e niente mi apparteneva ed era un luogo anonimo e largo e con troppa luce.

E allora mi sono fermata. Ché se corri e corri e corri per mesi, tra le macerie, tra il vuoto e il troppo pieno, e poi ti ritrovi lì, in questa Milano che è sempre di tutti e di nessuno, in cui non ti senti mai estranea e mai a casa, piena di cose da fare e con poche persone a cui dire, se corri e corri per mesi e ti trovi, col mal di piedi e con la testa piena, in Corso Buenos Aires, con la canicola e i pensieri ammassati e senza nessuno che ti aspetta e senza nessun impegno, se corri e corri, poi dici basta, ho corso troppo, adesso basta.

Ho corso abbastanza per sfuggire a tutto e ho lasciato tutto alle spalle e ho perso tutto e correndo ho trovato cose nuove, ma non le ho portate dietro con me, perché correndo devi stare leggera, senza bagagli, senza fardelli.

Ho corso abbastanza e mi fermo.

Sono un po’ stanchina.

Un po’ funziona

Per sopravvivere, tutta la vita, mi sono sempre aggrappata ai pensieri felici.

Il pensiero felice è quello che, mentre nuoti in un mare di escrementi e la vita non va e il lavoro non va e i soldi non ci sono e la salute c’è e non c’è e l’amicizia boh e i chili di troppo e la malinconia, lui, il pensiero quello felice, ti tiene a galla, ti separa dal brutto, ti rasserena, ti fa avere speranza.

Il pensiero felice è quello che ti fa sorridere all’improvviso, quello che ti racconti la sera, prima di andare a dormire, quello che, quando proprio non ce la fai più, ti fa fare un passo e poi un altro passo ancora.

Il pensiero felice è il rifugio, è il nascondiglio, è il momento in cui non avere paura.

Per sopravvivere, tutta la vita, mi sono aggrappata ai pensieri felici.

Poi finivano e ne arrivavano di nuovi. E poi finivano e poi arrivavano.

A volte i miei pensieri felici erano persone, e le persone sono i pensieri più felici e i più fragili e, andando via, trascinano lontano sorriso e speranze.

I giorni senza il pensiero felice sono quelli in cui dormi male, in cui non hai voglia, in cui non pensi a domani, ma solo a ieri.

Ci sono questi giorni qui e il pensiero felice ancora non arriva.

Allora mi aggrappo al vino e ai saldi.

Un po’ funziona.

Aspettando

Sono passati sei mesi.
Lavoro molto meno, faccio cose che mi piacciono molto. Guadagno più o meno lo stesso, ma è tutto pagato a novanta, centoventi giorni. Scrivo tanto, leggo meno di quello che vorrei, parlo molto, viaggio sempre, tutte le settimane, più volte alla settimana, prendo treni, dormo da amici, dormo in hotel, dormo in monolocali in prestito. Quando riesco. Per il resto non dormo, prendo sonniferi, se li dimentico sto sveglia, guardo gli oggetti, penso, ripenso, rifletto, penso, ricostruisco.
Esco con persone che non frequentavo da anni, esco con persone che non avevo mai visto. Bevo, mangio poco, faccio sport, provo a non ingrassare di nuovo, provo vestiti, compro vestiti, pago con la carta, controllo il saldo della carta.
Cerco casa, torno a casa, compro casa, vendo casa, pago affitti, pago spese.
Sono passati sei mesi e ho vissuto tre vite.
Ho cambiato la pelle, svuotato la testa con un cucchiaio da zuppa. Ha fatto male, malissimo. Adesso lascio che si asciughi prima di riempirla di nuovo.
Sono passati sei mesi dall’inizio della nuova vita, ma proprio tutta nuova e che fatica! e che difficile! e il senno di poi sempre col fiato sul collo.

Sono passati sei mesi – ecchecazzo! – e ho pianto, sospirato, fatto strage di fantasmi, pulito, aperto le finestre, comprato sandali nuovi, visto il mare, fatto spazio, comprato vino buono, pettinato i capelli, lucidato le labbra.

Adesso mi siedo e aspetto le cose belle.