Quella che chiamano primavera è già quasi estate.

Quella che chiamano primavera è già quasi estate.

Pianifico i miei futuri impegni con poca voglia. Mi piacerebbe molto andare al mare, ma dicono che sia ancora marzo, senza darlo troppo a vedere.

Ho tolto le calze, ho indossato i sandali, ho tagliato i capelli ancora più corti. Ho pensato di scriverti, ma poi no, perché va bene così, ché a cercarci troppo e spesso non si godono le attese. Attendo molto, in questa strana primavera, e poi cammino. Lo sapevi che Milano è bella con il sole? E poi sarà quel che sarà. Chissà se tornerà il freddo. Non ricordo più cosa volevo dire quando ho iniziato a scrivere il post. Credo che andrò a fare due passi. Credo che vada tutto bene. Qui è già quasi estate, le stagioni avevano fretta. Tengo le finestre aperte e faccio entrare aria e rumori. Poi posticipo tutto a domani.

Quello che succede

Succede che ho accumulato lavori e non riesco a sbrigarli, perché sono stanca, non sono in forma. Mi faccio un caffè e mi affaccio alla finestra e guardo le terrazze piene di primavera e le macchine in seconda fila e la gente che indossa i colori pastello e mi sento quasi meglio.

Succede che ho mille progetti in testa e ho la testa che gira. Forse è il cambio di stagione, forse sono i pensieri che emigrano, l’insonnia, l’alcol che domani – giuro! – smetto, le cose da scrivere, l’ispirazione che non arriva, i soldi che finiscono.

Dovrei uscire più spesso, esco quasi solo la sera o per andare in palestra o per fare la spesa o per vedere qualche amico. Lavoro da casa e la casa è una tana e non c’è spazio per le fughe, c’è solo spazio per nascondersi.

L’altro giorno mi hanno chiesto: “hai poi trovato l’amore?”.

C’è un sacco di sole oggi e la mia testa gira. Mi doccio, mi vesto, mi trucco ed esco.

Questo è quello che succede.

Sì, mi voglio

Un anno fa eravamo più timide, molto entusiaste, piene di dubbi e sempre connesse perché avevamo avuto un’idea. Un’idea che era un  po’ sogno e un po’ follia e ne avevamo davvero bisogno.

Così è nata Stiletto Academy e Veronica e io ne abbiamo viste davvero tante in un anno (viaggi, lavori splendidi, TV, radio, giornali, amori che vanno, amori che non tornano, amici, champagne per festeggiare qualsiasi cosa valga la pena festeggiare).

Poi ci siamo dette che era ora di partire con un’idea nuova e ci siamo messe a parlare, parlare, bere un bicchiere di vino, viaggiare, discutere con altre persone ed è nato Sì, mi voglio.

Sì, mi voglio è il primo week end di addio al nubilato, dedicato alle future spose e alle loro amiche, pieno di corsi divertenti, di momenti di relax in SPA, di cibo, di tanto vino, di tacchi a spillo, di poker, di burlesque.

Saranno due giorni, nel bellissimo Sheraton Malpensa, dedicati alle donne e alle amiche e al futuro e anche al dannato amore, quello che ti fa dire Sì, lo voglio per (quasi) tutta la vita.

Tutte le informazioni le trovate qui.
Per il resto, noi ci divertiamo molto, proprio perché lo vogliamo.

Non abbiate mai pudore delle vostre idee.

L’inverno dura un anno e poi arriva primavera

Era inverno da un anno intero. C’erano colori scuri e nuvole e attese e silenzi e pianti disperati e fini senza inizi e alberi senza fiori e freddo e poca voglia di uscire. Era inverno da così tanto tempo e c’erano i treni, sempre di corsa, sempre pieni, c’erano i dubbi, le cose lasciate a metà, le occhiaie, le notti insonni, gli aperitivi da bere per dimenticare, i capelli sempre in disordine, i vestiti nuovi e mai indossati, le scarpe troppo strette, le lettere scritte e mai inviate, le foto da fare a pezzi, i ricordi da cancellare.

C’erano cose tristi e tanto inverno. Da un anno intero.

Poi è passato. Sono arrivati il sole, le giacche leggere, l’ombretto nero nero sugli occhi, le mani degli amici, i sorrisi dei nuovi sconosciuti, i ritorni, gli inizi, i progetti, le speranze, le parrucche colorate, i vestiti a fiori, i baci, le verità raccontate a occhi chiusi, gli abbracci.

È passato. L’inverno dura un anno e poi arriva primavera.

Lo stupido buonumore

Mi sono svegliata allegra e c’era il sole e tutte le cose da fare mi sono sembrate così poco urgenti, poco interessanti e allora ho finito in fretta il lavoro e sono uscita a fare due passi ed ero senza giacca e mi sembrava la prima primavera dopo così tanto tempo.

E poi mi sono messa a pensare a quelle cose che pensi solo quando non hai la testa libera da cosedafare, cosedafinire, cosedarisolvere e ho pensato che una volta era facile dimenticarsi delle persone, che adesso scopri sui social network che sono vive e sposate e hanno figli e vivono in NordAfrica o cose così. Ho pensato che non ho più venticinque anni da un pezzo e che continuo a sentirmi come allora. Ho pensato che dovrò comprare delle scarpe leggere, da mettere senza calze in questi giorni di meraviglia. Ho pensato che – pensa te! – fino a qualche giorno fa sembrava non andare e poi va.

Va sempre e a volte si aggiustano le cose, ma solo se le affronti una alla volta, un problema alla volta, una rogna alla volta, un desiderio alla volta.

Ho pensato che posso fermarmi un po’ così, che non c’è nessuna fretta.

Mi sono messa a fare pensieri leggeri e c’era il sole e c’era Milano che lavorava e c’erano i ragazzini che uscivano da scuola, c’era la mia musica nelle orecchie, c’erano gli occhiali da sole, c’erano i sorrisi ai passanti sconosciuti, la leggerezza, i semafori verdi e lo stupido buonumore.

Milano mi ruba il tempo

Milano mi ruba il tempo e io rubo Milano, negli angoli più nascosti, tra i mille fiorai, i binari del tram, i palazzi tutti uguali, i negozi senza numero civico.

Non è una città difficile e non è nemmeno facile, quando c’è il sole e tu arrivi sotto casa mia e mi porti a mangiare sushi, anche se ho già pranzato e ho gli occhi gonfi, perché ho pianto, con le lenti a contatto, anche se c’è il sole. Piango anche se c’è il sole e tu non sai cosa dirmi e io bevo birra ghiacciata, perché mi sembra mi faccia bene.

Milano non è difficile, ma non sa farsi volere bene, è chiusa, è orgogliosa, è permalosa, è come me che non so dire ti amo, che se l’avessi detto prima, se l’avessi detto davvero, forse adesso non starei qui ad aspettare i ritorni che non arrivano mai.

Milano mi ruba il tempo, prima ce l’avevo e poi non c’è più, è veloce, è passato e non faccio mai tutto quello che voglio e finiamo sempre a bere in posti diversi che sembrano tutti uguali e il tempo scorre veloce, veloce, veloce e non so più che giorno è e dimentico il lavoro, dimentico che devo scrivere e vivo storie che non mi piacerebbe raccontare e racconto storie che mi piacerebbe vivere.

Mi fermo qui ancora qualche mese, per capire se ne vale la pena, e intanto siedo alla mia nuova scrivania e mi guardo allo specchio e mi sembra di essere molto uguale a me stessa, un po’ più stanca, con segni nuovi sul viso, con la città alle calcagna e con nuovi tu tra lo stomaco e il cuore.

Regine di cuori

C’è questa amica bella che mi insegna a giocare a poker.

Lei gioca a poker da professionista, lo fa proprio per mestiere, con tanto di sponsorizzazione, di stipendio, di divisa per i tornei, di viaggi spesati.

Lei mi insegna a giocare a poker perché io ho bisogno di azzardo controllato, di percentuali, di numeri, di carte piene di cuori, di chips che non sono necessariamente soldi, sono speranze, sono brividi, sono rischio.

Allora ci mettiamo al tavolo, con la nostra immancabile birra e ripassiamo i termini, proviamo le combinazioni, prendiamo in giro i giocatori, parliamo di amori piccoli e di amicizie grandi, di vestiti e di scarpe da portare senza calze, di vittorie e di regali da farci con i soldi vinti per fortuna e talento.

Ieri lei mi ha detto che con carte sfortunate bisogna saper mollare il colpo.

Mollare il colpo significa riuscire a rinunciare alla mano nella quale si hanno poche speranze di vincere e aspettare mani più fortunate.

In questo periodo ho delle carte brutte. Non ho mollato il colpo e sto perdendo tanto. Mi sono fissata con questa mano e non riesco a venirne fuori e non mollo, non mollo, non mollo, mentre tutto va a rotoli.

Dovrei imparare a lasciare e ad aspettare un po’ di fortuna, anche se poi la fortuna conta poco, conta la tecnica, contano i nervi saldi, contano le percentuali, conta saper bluffare.

Dovrei bluffare di più, aspettare mani migliori, tirare fuori assi dalle maniche, conigli dal cilindro, sorrisi dalle giornate di sole, sandali per la primavera, abiti leggeri, occhiali da sole, libri da non lasciare a metà, amiche splendide, le rose comprate di sera e già appassite al mattino, la rabbia giusta, il talento sopito e il coraggio per il prossimo giro di carte.

Perché no

C’è quella canzone di Battisti che ci somigliava tanto e l’ho infilata nell’iPod, per farmi sorprendere all’improvviso, in metro, per strada, in treno, in coda alle poste, dai ricordi.

C’è quel tubino nero che non indosso più, sono sempre in jeans, esco poco, con pochi uomini, sono sempre con le amiche, lavoro chiusa in casa, non riesco più a scrivere, mi manca il bisogno. Non si scrive senza bisogno, senza nodo in gola, senza desiderio di lanciare messaggi a qualcuno che non li coglierà.

C’è quel libro che ho letto a metà, che non racconta nulla di me, ci sono i fumetti sparsi per la camera, nonostante non abbia più l’età, c’è la televisione piena di polvere che non accendo mai, ci sono i bicchieri sporchi nel lavello, le sigarette della coinquilina, i giochi che il gatto porta in giro, il mio mac sempre sopra il tavolo, acceso.

Ci sono cose che non dico a nessuno o che dico solo a qualcuno e quando le dico sembrano fare meno male e invece no. Ci sono i viaggi che voglio fare e questa volta parto davvero e poi chissà se torno e alla fine torno perché lo sai che torno sempre. E quando torno non sono più io, sono io con i chilometri sul corpo e forse partire è l’unico modo per sopravvivere e perché non farlo. Perché no.

La luce che arriva da est

Sono tornata a casa, che era la nostra e non lo è più.

Ho aperto le finestre, ho fatto entrare la luce. Mia madre era passata a pulire e a curare le piante che nessuno cura più.

Ho acceso il riscaldamento, mi sono infilata in doccia. Ho indossato uno dei tuoi maglioni abbandonati. Ho mangiato dei biscotti che erano qui da mesi.

La casa è silenziosa, non c’è più il gatto. È così vuota di persone e così piena di ricordi. È bella e triste. Così triste che mi somiglia.

Devo liberarmi di questa casa e non ci riesco. Mi sveglio durante la notte e mi sento bene e poi sola e poi di nuovo bene.

A volte penso a chi potrebbe viverla, come sarà quando porterò via le mie cose, chi riempirà la cabina armadio, chi userà la mia vasca da bagno, chi accenderà il camino che noi non accendevamo mai.

Mi viene spesso in mente quel titolo del libro di Hrabal, Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, e penso che bisognerà iniziare a mettere in vendita il passato. Eppure non ci riesco. Passo il tempo a lavorare e lavorare e lavorare per pagare mutuo e affitto a Milano. Eppure non ci riesco.

Ci sono cose e case che si fa fatica ad abbandonare. Anche per chi è nomade come me.

C’è un grande silenzio e il parquet scuro e fuori piove e mi sembra di poter tornare indietro e di poter restare e non partire più. Devo sbarazzarmi di un posto che era casa e sentirmi di nuovo a casa altrove. Poi ci saranno altri appartamenti, altre città, altri racconti e libri e pagine e amori piccoli e scatoloni e viaggi in macchina e treni e ricordi che puoi mettere in valigia e tetti sotto cui essere felice e cucine da riempire con il profumo dei dolci appena sfornati e io che non so più dove stare, che resto ovunque e da nessuna parte, che sono come una casa senza inquilino, con le pareti rosse e la luce che arriva da est.

Milano è piccola

Non mi piace Milano quando è troppo piccola per non potersi evitare, quando costringe all’imbarazzo di non saper sostenere lo sguardo, quando rovina le serate perché poi arrivi tu e io vado via, quando prima di andare chiedo chi ci sarà, quando temo che le strade e le piazze siano trappole, quando non c’è abbastanza aria, quando corre e non perdona le pause, quando obbliga gli altri a scegliere te o me o nessuno, quando è omertosa, quando piove, quando non si vede il colore del cielo.

Mi piace Milano quando è abbastanza piccola per ritrovarci, quando le coincidenze sono belle sorprese, quando sono passati tanti anni e tu mi sembri uguale ad allora, quando mi sorridi, quando ricordiamo, quando le osterie hanno posto solo al bancone e mi siedo sullo sgabello e ti racconto la mia giornata, quando il sabato si svuota e sembra dormire, quando ti cercano gli amici, quando andiamo nel nostro posto, quando le idee piacciono, quando il pomeriggio non si lavora, quando so che posso farcela, quando mi sembra casa.