Metà mela #5

Insomma, tu saresti anche pronta per ricominciare.

Non piangi da mesi, non guardi più in continuazione il telefono in attesa di un segnale, hai ripreso a mangiare (anche troppo e ti tocca rimetterti a dieta), hai cambiato città, hai cambiato amici, hai cambiato taglio di capelli, hai cambiato vita.

E ci sono gli uomini di passaggio: qualche settimana, qualche mese, qualche giorno, qualche ora.

Cominci a ricambiare gli sguardi, inizi a flirtare via chat, accetti appuntamenti, indossi tacchi a spillo per andare a fare la spesa, vai in palestra tutti i giorni, leggi romanzi d’amore, con le amiche parli esclusivamente di uomini.

Però, perché c’è sempre un maledetto però, non riesci a ripartire da zero. Riparti da uno. Da quello che ti ha devastato il cuore. Diventa il tuo metro, il paragone, l’ideale, il fac simile. Gli uomini che frequenti sono un po’ meno, un po’ più, quasi uguali, circa circa, molto simili, poco simili a lui.

Non si scappa. Non superi la sindrome “come lui nessuno mai”. Ti trascini un modello di partner ideale che non riavrai più indietro.

E non ti accorgi che non è ideale per te. È sbagliato, è crudele, è cattivo. Perché volere un uomo simile a quello che ci ha spezzato il cuore?

Perché siamo donne.

Passeremo tutto il resto della vita a cercare di cambiare i maschi per farli diventare uguali a come vorremmo che fossero.

Perché siamo donne.

Possiamo soffrire come cani, ma continueremo a credere nella sua redenzione.

Fino a quando non guariremo della “sindrome dello stronzo che come lui nessuno mai”, non saremo mai completamente pronte.

L’unica è trovare un uomo ancora più perfetto per noi, l’unica è riavere le farfalle nello stomaco, l’unica è stare di nuovo male male male per sentirsi bene bene bene.

L’unica è aspettare ancora un po’.

E, nell’attesa, continuare a darla via, per non perdere l’allenamento.

 

La prossima me

Ogni tanto mi guardo alle spalle e vedo tutte le strade che ho lasciato, tutte le strade che non ho mai imboccato, tutte le strade da cui sono fuggita.

Mi chiedo cosa sarei diventata se non avessi lasciato il teatro, se fossi rimasta a vivere al Cairo, se fossi rimasta a lavorare all’università, se non avessi lasciato Parigi, se non avessi lasciato l’agenzia di eventi, se non avessi lasciato te.

Mi perdo spesso nell’impossibile, nel se fosse, nel come sarebbe, nella ricostruzione, nelle ipotesi, nel passato.

Ogni cambiamento era una fuga, ogni fuga era una ricerca, ogni ricerca era una rivelazione, ogni rivelazione era un nuovo inizio, ogni nuovo inizio finiva con una fuga.

Adesso sono qui che non lo so, non mi sono ancora trovata, non ho voglia di fermarmi, pianifico evasioni, traslochi, chiusure, addii. Sono qui e capisco che non ci saranno ritorni, non ci saranno seconde occasioni, non torneranno i vent’anni.

Ogni tanto mi guardo alle spalle e mi accorgo di essere stata mille e una. Nessuna mi è piaciuta abbastanza. La prossima sarà la migliore.

Metà mela #4

D’estate i single si riconoscono. Sono quelli in posa sui lettini della spiaggia, quelli inquieti in acqua, quelli che osservano, quelli che cercano, quelli che non tornano a casa per il riposino pomeridiano, quelli che vanno a ballare tutte le sere, quelli che parlano e parlano e parlano, quelli che hanno fretta.

Non mi innamoro mai d’estate. Tutte le volte che mi si è riempito il cuore era inverno. Però ricordo quell’estate lì, in cui mi sei piaciuto la prima volta, in cui ti ho guardato con occhi diversi, in cui ho capito, senza tu che tu capissi. E mi avevi toccato una spalla, quella sera, senza nemmeno farci caso e in quel tocco lì io ci avevo letto tutto il mondo, tutto il mondo che avrei desiderato e non mi hai mai dato.

I single d’estate sono ottimisti, fanno progetti, viaggiano, spendono, sorridono. Si sentono tutti meno soli. La sera escono vestiti di bianco e bevono fino a tardi e non hanno caldo, solo voglia di evadere, di stare bene.

Mi muovo spesso, prendo treni, vado a feste, vedo amici, prendo il sole, mangio fuori, spendo troppo. Non penso quasi mai a te. Ogni tanto mi perdo in quel quasi che fa male. Allora esco e mi godo l’estate.

D’estate non sei mai solo, si moltiplicano gli amanti, si suda molto di più a letto, si fa l’amore con le finestre aperte, si ride di più, non si piange quasi mai. Ogni tanto mi perdo in quel quasi che fa male.

Siamo solo all’inizio.

 

Il treno dei desideri, nei miei pensieri all’incontrario va

Pensa se, una mattina, tu fossi seduto nelle tue faccende affaccendato e ti scappasse un boiamondo per un disagio, un servizio che non va, un piove governo ladro, un morite male tutti e l’eminenza grigia che c’è dietro il tuo male di vivere ti dicesse “vieni, che ne parliamo a quattr’occhi”.

Ecco, a me è successa quella cosa lì.

Ho scritto uno dei miei soliti twit al vetriolo contro Trenitalia (al numero uno nella mia classifica dell’odio, seguita a ruota da Fastweb) e la Direzione Media dell’azienda, soli 5 minuti dopo, mi scrive per invitarmi a #MeetFS.

#MeetFS è un incontro a cui vengono invitati simpatici ragazzotti e seri professionisti, che vengono definiti influencer della rete, per conoscere meglio il gruppo delle Ferrovie e parlare direttamente con l’AD di Trenitalia. Insieme agli influencer, gente che prende seriamente il proprio ruolo di opinion leader del web, c’ero io, stanca morta per la levataccia e incazzata nera con chiunque lavorasse per il lato oscuro della Forza.

Proverò a essere breve, soprattutto per non dire castronate, non essendo una giornalista e ragionando più di pancia che di cervello, ma ho voglia di condividere con voi impressioni, osservazioni, pregi, difetti e mortacci loro.

Prima osservazione che è riuscita a fare la mia testolina pigra: i dipendenti di Trenitalia che ho incontrato sono tutti entusiasti dell’azienda e del suo manager. Tu sei lì che daresti fuoco a un sedile, per manifestare il tuo disagio di pendolare decennale, e loro ti rispondono che l’azienda sta cambiando, che Moretti spacca il culo ai passeri, che il medioevo aziendale si sta superando, che domani andrà tutto meglio.

Ci fanno salire su un Frecciarossa pulitissimo, ci fanno indossare giubbotto catarifrangente e caschetto di sicurezza e ci portano nel deposito della Martesana, in cui fanno la manutenzione dei “meglio treni” della flotta. E tutti fanno domande, quanto pesa un treno, quanto trasporta e io che avevo i miei pregiudizi (di cui vado fiera) di tutto il discorso del bravissimo ingegnere ho colto solo la parte in cui diceva “dobbiamo garantire la qualità, soprattutto adesso che sui nostri treni viaggiano regolarmente squadre di calcio e VIP”. Che lui l’avrà detto in buona fede, con lo stesso entusiasmo con cui poi ha parlato dei clienti normali, ma io ero lì col travaso di bile e il porcogiuda a fior di pelle.

Allora io twittavo cattivissima e mi hanno detto “le battute sarcastiche non servono a nulla se non sai come funziona l’azienda”, come dire che tu cliente che paghi il prodotto non puoi lamentarti se non conosci tutto il processo produttivo. Ma se io compro uno shampoo e questo mi brucia il cranio, sono libera di scrivere che fa schifo, perché, dunque, se compro un biglietto e il mio treno è un carro bestiame di 30 anni fa non posso dire Trenitalia fa pena?

Il nocciolo era tutto qui e io avevo davvero voglia di capire. Ho addirittura rinunciato alla palestra per passare la giornata con Trenitalia e non è cosa da poco.

Dopo i Frecciarossa, ci portano a vedere i trenini regionali e lì ho capito la prima cosa che non sapevo: il trasporto locale è interamente controllato dalle Regioni. La Regione paga i treni, decide quali corse fare e quale sopprimere, decide gli orari e addirittura il numero di carrozze per convoglio. Allora, quando tu a Trenitalia chiedi come mai i treni pendolari fanno pena, lei ti risponde che dipende dal Governo Ladro degli Enti Locali. E tu gli chiedi: ma scarichi il barile? E lei ti risponde: fosse per me, rinuncerei al servizio, perché non fa profitto, ma sono costretta a tenerlo. Abbiamo fatto gare per cederlo, ma nessuno lo vuole. Non frutta, non fa utili. Solo un pazzo lo gestirebbe, inoltre le Regioni sono in debito con Trenitalia e tagliano i servizi (Lombardia esclusa).

In sintesi (pecoreccia, ma non sono un cronista e riporto ciò che capisco), Trenitalia gestisce i servizi di trasporto per conto di Ferrovie dello stato. Il servizio Frecciarossa funziona, è in attivo, fa bella figura e paga. I servivi locali fanno pena, ma sono a carico delle Regioni (il prezzo del biglietto copre circa il 30% del costo, il resto è a carico dell’ente). Quindi? Quindi le persone di Trenitalia con cui ho parlato ti dicono: l’ambizione è riuscire a scorporare il servizio e cederlo a terzi, così Trenitalia resterebbe in attivo e la patata bollente passerebbe al nuovo gestore. Chi gestirebbe la rete? Un folle! Le gare sono fatte regolarmente, ma chi si assume l’onere di sanare il disastro? Nessuno. Quindi tutto resta fermo, con Trenitalia che dipende dalle Regioni che dipendono dalla Stato che controlla Trenitalia. E con i pendolari che prendono la lebbra. Benvenuti in Italia!

Che, poi, non è tutto disastroso. Il nostro sistema diagnostico è il migliore in Europa ed è venduto in tutto il mondo. La tecnologia presente sui treni come “Diamante” è all’avanguardissima. Ed è prodotta a Bari.

E lì dici: dai, non è tutto un magnamagna, c’è anche l’italiano brava gente, qualcosa si può fare, in qualcosa siamo bravi. Ma questo non basta a giustificare anni pigiata in un regionale sporco, senza cessi, senza aria condizionata, con i sedili che grondano catrame e le porte che si aprono e chiudono quando decidono loro.

Ti dicono: se su cento treni che partono, uno è soppresso, la gente parlerà male del treno soppresso e non dei 99 partiti. Vi spiego una cosa: la gente non parla dei treni puliti e in orario perché dà per scontato che i treni siano puliti e in orario. La gente che paga, eh, sia chiaro, ché ieri mi hanno detto che il 10% di voi non paga il biglietto, brutti portoghesi del cavolo!

Insomma, ci fanno vedere cose, ci fanno parlare con ingegneri, macchinisti, capistazione, social media strategist. Una giornata interessante. Ho capito cose che non sapevo, ho visto cose che voi umani…, ho parlato con persone cordiali.

Però io volevo solo dire a Moretti “la tua azienda fa schifo” e non aspettavo altro che l’incontro con l’AD.

Poi arriva lui, cordiale, sorridente, ironico, carismatico. E dice “fatemi domande” e io prendo la parola per prima e mi presento. “Sono una cliente insoddisfatta” dico “lei si rende conto che la sua azienda è la più odiata del Paese?”.

E lui mi risponde “ci odiano solo i pendolari” e poi mi spiega, ancora, che sono le Regioni a decidere per il trasporto locale. Lui chiede allo Stato, che è suo padrone e cliente, soldi. Lo Stato non glieli dà, lui non può coprire il servizio.

Storia chiusa.

Quindi, il fesso sei tu che non sai come funziona. Allora perché non lo spiegate alla gente? Con chi me la devo prendere se il mio treno ha le cimici?

E lì, Moretti segna un punto. Mi dice che dialoga quotidianamente con associazioni di consumatori e comitati pendolari accreditati.

Touchée Monsieur Moretti! Lo so, sono pigra. Mea culpa! Ho fatto per anni la pendolare e non ho mai usato gli strumenti di protesta formale. Non lo fanno in molti. Perché siamo abituati a non credere nel dialogo tra istituzioni e associazioni, perché meglio lo sfogo che la protesta costruttiva. Sono incazzata, però non creo massa critica.

La massa critica non la crei con l’hashtag. Lo so, lo so, ci credevate quanto me. Ma il comune insulto via twitter serve solo a riempire le colonnine destre di Repubblica.it, non apre un dialogo con l’azienda, né con le Regioni.

L’ho capito. Resta il fatto che io sono una cliente e che il servizio non è all’altezza di un paese civile. Però, se non ho gli strumenti e le conoscenze per controbattere le spiegazioni dell’AD, non posso fare altro che lamentarmi. Siamo d’accordo.

Che, poi, sono l’unica che è andata lì a dire i treni fanno schifo. L’influencer medio arriva preparato su quello che è il suo settore. Chiede il wi-fi nelle stazioni, chiede gli open data per creare app, chiede la pagina di Facebook. E, secondo me, perde una grande occasione perché si focalizza sulla bontà o meno dell’incontro e non sulla qualità del prodotto. Mezz’ora a discutere se Trenitalia avesse fatto bene a invitare o meno i blogger, se ci sarebbe stato un ritorno di immagine, se quelli che protestano contro #MeetFs siano invidiosi o meno.

Mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Non ero abbastanza preparata per incalzare il boss e non ero abbastanza influencer per fare domande sulla strategia social di Trenitalia.

Allora, non ho potuto fare altro che domandare l’unica cosa che ho veramente a cuore: “cosa si può fare per migliorare la situazione?”. E lì ho ricevuto la risposta che temevo. Ve la riporto nuda e cruda, così che mal comune mezzo gaudio. O almeno sembrerebbe.

Per migliorare il servizio pendolare servono soldi. I soldi non ci sono, il servizio non migliorerà. Anzi, peggiorerà. Mettetevela via. Compratevi un’auto, andate a vivere vicino all’ufficio.

Che sia colpa delle Regioni, dello Stato, di Trenitalia, questo è il dato di fatto. I Frecciarossa saranno sempre più belli, i treni locali sempre più scomodi. Potrai segnalare i disagi in tempo reale all’account twitter dell’azienda, ma probabilmente i disagi non smetteranno di esserci.

Questo è quanto è accaduto. O meglio, questa è la mia versione dei fatti. Sono partita disprezzando Trenitalia e torno apprezzando alcune cose, ma continuando a disprezzare l’azienda e anche gli Enti Locali.

Non so se sono utili queste iniziative o meno. Certo è che apprezzo moltissimo il tempo che Moretti ci ha concesso. Forse è stata una grande occasione sprecata, forse solo l’inizio di un dialogo azienda-utente molto più proficuo.

Non saprei dirlo. Mi scuso per non aver rappresentato nessuno ieri, se non me stessa, con la mia rabbia e i miei dubbi. Mi scuso se questo reportage non è chiaro o è pieno di imprecisioni. E mi scuso anche per la prolissità.

Domani provo a insultare le Poste per vedere se mi invitano anche loro a parlare con i vertici dell’azienda. Vi tengo aggiornati.

 

Cose che capisci andando al supermercato

La determinazione conta più del talento. Se non sei determinato, rischi di fallire, nonostante tu sia bravo.

Esistono pochi uomini giusti, ma moltissimi uomini sbagliati. Quelli sbagliati fanno compagnia.

Scrivere è catartico. Fai fare ai tuoi personaggi quello che avresti voluto fare tu e ti senti meglio. Quasi sempre.

Gli amici veri sono quelli che, quando ti chiedono “come stai”, poi ascoltano la risposta.

L’estate arriva sempre troppo in fretta.

Spesso non importa ciò che sei, ma ciò che credi di essere.

A volte cambi le cose fuori per stare meglio e poi ti accorgi che sarebbe bastato cambiare le cose dentro.

Nessuno arriva in alto da solo.

Il sex toys più usato d’estate è il ventilatore.

La coca zero fa schifo.

Quattro chiacchiere

Succede che ogni tanto qualcuno mi chieda che opinioni ho in merito a cose. Le cose sono sempre più spesso le donne.

Il 13 giugno, alle ore 17, nella sala Terrazzo del Palazzo Giureconsulti a Milano, parteciperò come relatore al Talk Show “Le donne e l’autostima“.

Se non volete venire per me, venite almeno per ascoltare Renato Mannheimer.

Il 24 giugno sarò a Rimini all’aperitivo in conversazione “Quello che le donne dicono” (di cui vi posto la locandina).

Vale sempre la regola: se passate, brindiamo insieme.

Quella cretina di Rossella O’Hara

Quelle come me hanno visto una mezza dozzina di volte Via col vento, da ragazzine. E tutte quelle come me volevano essere Rossella.

Quelle come me si innamorano ogni volta di Ashley e ogni volta lui vuole sposare Melania. Ogni benedetta volta!

Ma noi speriamo nel lieto fine e aspettiamo, aspettiamo e intanto succedono guerre e carestie e noi ci sentiamo gran fiche, facciamo sacrifici, ci sentiamo belle e forti e pensiamo “adesso gli faccio il culo al mondo, gliela faccio vedere io”. E stiamo lì, ad aspettare i ritorni che non arrivano, a sospirare, a invidiare anche un po’ quella moscia di Melania. Ci fidanziamo per dispetto, siamo libertine, siamo toste, siamo arrabbiate e sappiamo che ce la possiamo fare. Noi ce la dobbiamo fare.

Intanto c’è Rhett, l’avventuriero, l’uomo di mondo, che è pure bono, ma noi no, noi vogliamo lo sdolcinato, il fessacchiotto, l’uomo di un’altra.

E così tutta la vita, a inseguire uomini sbagliati sperando che tornino da noi. Ché noi siamo quelle giuste. Non l’hanno ancora capito?

Fino a quando poi succede che, alla fine, sposiamo Rhett, ma siamo sempre innamorate di Ashley e lui, a un certo punto, ne ha pieni i maròni di questa storia e ci molla.

Se ne va.

Solo allora, in quell’istante, quando il Rhett decide che siamo delle cretine cosmiche e non meritiamo di stargli vicino, noi ci accorgiamo di amarlo.

Perché alla fine, il vero figo era lui. E noi ce ne accorgiamo troppo tardi e gli diciamo resta, resta qui, come farò senza di te.

E lui dice sempre la stessa solita frase: “francamente, me ne infischio”.

Quelle come me ci mettono anni a capire che Rossella O’Hara è una cretina. È una che non ha capito nulla della vita, troppo presa a seguire una chimera per il solo fatto di non riuscire a fare a meno di desiderare quello che non ha.

Io l’ho capito da poco, quanto possa essere cretina una Rossella O’Hara. Però, forse, l’ho capito in tempo. Anche se ormai sembra tutto perduto. Tutto. Ho capito che gli uomini che vogliono sposare Melania è meglio che stiano con Melania. Prendiamoci quelli scaltri e ricchi e figli di puttana.

Io l’ho capito da poco che Rossella era proprio una cretina. Ci ho messo un po’ di tempo. Però ho fiducia nel futuro, perché domani è un altro giorno e posso sempre riconquistare il mio Rhett. O tanti altri Rhett.

L’importante è che paghino da bere.

P.s. È incredibile quali inaspettati ritorni ci offra la vita. Non bisogna mai perdere la speranza. E non bisogna mai smettere di fare palestra e andare dall’estetista, perché è meglio farsi trovare preparate. Sempre.