Sono assente perché sto finendo un altro libro.
Ho scritto veramente un sacco, negli ultimi due anni, che quasi sembra un lavoro. E lo faccio sempre allo stesso modo, all’ultimo momento. Mi lambicco il cervellino per mesi, penso, ripenso, distruggo, parlo, racconto la storia agli amici per capire se funziona, poi la cambio, poi dico ma chi me lo fa fare, in rari momenti penso invece che può funzionare.
Sotto scadenza, quando proprio il tempo è finito e non ce la farò mai mai mai, inizio a scrivere. Il mio amico Emilio dice che siamo quelli che, durante i temi di italiano, prendevano la penna in mano a mezz’ora dalla fine, mentre il resto della classe stava già copiando in bella.
Non è un modo sano. Il tempo non fluisce più in avanti, ma diventa solo un conto alla rovescia. Segno su un foglio quanto manca, quante pagine scrivere al giorno per farcela. Mi dico “se mantengo il ritmo, è fatta”. Poi esco per un aperitivo, prendo un treno, passo il pomeriggio a far l’amore, vado dal parrucchiere. Rifaccio il piano di battaglia. Più pagine al giorno. Se mantengo il ritmo e non dormo, è fatta. Per qualche settimana, alla domanda “come stai?” rispondo sempre “non ce la posso fare”.
Quelli che fanno sul serio questo mestiere, ci mettono metodo e disciplina. Non tutti. Solo quelli che non amano vivere sempre con l’ansia e l’acqua alla gola. Non so se potrei farcela, a pianificare tutto per benino, a non essere sotto pressione, a non rompere le scatole a tutti gli amici con il devastante piagnisteo di quella che si riduce all’ultima ora.
Per esempio, adesso dovrei finire tre pagine prima di pranzo, mentre sono qui a scrivere che non credo di riuscire a finire prima di pranzo.
Scrivere è una fatica pazzesca. Non fidatevi di chi dice che si diverte taaaaaanto a scrivere. A Napoli diciamo che bisogna buttare il sangue. Non è una cosa facile.
Leggere è facile. I libri sono già pronti e sono tantissimi. Dentro c’è il sangue di qualcun altro. Bisognerebbe leggere tanto di più e scrivere molto meno.
Ho una pila di libri sul comodino e nel kindle che mi terrebbe occupata per mesi. Appena finisco, mi ci tuffo. Devo solo finire queste paginette. Se non mangio e non dormo e non esco di casa e non respiro, secondo me, è fatta.
Forse è per colpa di questo “metodo” che il tuo ultimo libro è partito bene ma a un certo punto si è perso. Questa è la mia sensazione e quella di altre persone con cui ho parlato. E’ iniziato benissimo, poi ha cambiato binario.
Non è una critica, Dani, sia chiaro. Non prendertela, non offenderti, perché non lo è.
Io sono una tua fan e lo sono “nonostante tutto”.
Si deve sempre crescere.
Non è una critica, è un punto di vista.
Moltissimi mi dicono che il punto forte del romanzo è stato, invece, proprio il finale. Ed è la parte che preferisco (molto più veloce dei primi capitoli, dove credo che, essendo un esordio nella narrativa, stavo ancora cercando di capire come funziona).
Sono gusti.
Per esempio, un mese e mezzo fa ho consegnato un romanzo breve che amo moltissimo. Magari piacerà molto meno del precedente.
Dania, mi piace molto come scrivi ma tra come scrivi sul blog, per esempio, a come scrivi sui libri, preferisco il blog. Ho apprezzato il libro e leggerò volentieri pure gli altri però ecco, devo ammettere che il libro mi è sembrato un “prodotto” più che un libro. Ben scritto e ben pensato però si, insomma, a me è parso anche ben fatto….nel senso a tavolino! ( e forse è un pò quello che tu descrivi qui sopra. Forse) Personalmente preferisco i libri che non mi lasciano questa sensazione.
In ogni caso, in bocca al lupo!
Crepi il lupo.
Anche io amo molto quello che scrivo sul blog (e ci scrivo da dieci anni e, a differenza dei nuovi blogger, io non ci guadagno nulla). Ma è un diario personale, per pochi intimi e sicuramente non è un lavoro.
Scrivere un libro è molto diverso da scrivere un blog. Sono due cose che non possono essere nemmeno comparate, credo.
Come canticchiare sotto la doccia e produrre un disco
Che non ci guadagni dal blog l’avevo intuito. Inoltre, a prescindere da questo, tu e i nuovi blogger non avete nulla da spartire. Ma proprio nulla. Grazie al cielo!!! ( …che poi, ma chi se li legge?!!!);)
Alessia, li leggono le aziende. Mi sa che sono stati più furbi di noi vecchi 😉
Si Dania, forse sono stati più furbi. Ma sono anche molto più tristi 😉
Ho letto stamattina ma non ho potuto commentare perché per il server aziendale sei “pericolosa”. Mica hai degli ex in editoria? O forse si ! ^__^
Come sempre “avanti tutta Dania!!”.
Penso non ci siano regole. Serve stile, parole e cuore (ok registra subito la canzone). Una sana agitazione serve a dar pepe, ma sappiamo che in fondo incominci a crederci anche tu.
Un abbraccio.
Siete liberi di scrivere critiche (discuto serenamente), ma senza insulti. Le offese e le aggressioni verbali verranno rimosse.
Quando ho letto l’ultimo stato su fb ho pensato ti fossi offesa e allora sono venuta a controllare. Grazie mille per la risposta e l’intelligenza nel capire che una piccola critica non è un’offesa e che bisogna sempre essere aperti al confronto.
Sembra una sciocchezza, ma con tutti questi “blogger” non c’è niente da dare per scontato.
Io ho un piccolo blog (che non si fila nessuno) ma riesco a capire 😉
Buona serata!
A, ma su FB parlavo di insulti.
Non ci trovo alcun offesa a dire a un autore che non ti è piaciuto il suo libro. È naturale che ognuno abbia i suoi gusti e li indirizzi come meglio crede.
Quello che trovo innaturale è esprimersi con linguaggio offensivo, parolacce e violenza, perché non si hanno altri argomenti.
Mi è capitato qualche volta di dover mettere in moderazione i commenti a causa di troll. In dieci anni di blogging, ti posso assicurare che esistono sì persone non aperte al confronto, ma sono mooooooooolte di più quelle che usano l’anonimato per offendere e aggredire.
Lo dice benissimo Saviano, stamattina http://www.repubblica.it/politica/2013/05/11/news/diritto_social_network-58533282/?ref=HREC1-2#
Vediamo se riesco proporre una critica senza sconfinare nel maleducato, premettendo che la critica non è al merito, non avendo io letto il libro, ma al metodo.
Un mese e mezzo fa hai consegnato un romanzo breve, praticamente quando stavano ancora sbaraccando il buffet di qualche tappa della presentazione di Chanel, ora scrivi di quanto la scadenza del prossimo libro stia già mostrando i suoi contraccolpi, la scrittura è impostata in tot pagine al giorno, tra lo spazio che una storia richiede e una storia che deve nascere in base allo spazio e al tempo concesso si pratica la seconda, sul blog non ci guadagni ci scrivi quant’è maledetto il mestiere di scrivere, segnali differenza tra cantare in doccia e produrre un disco quando la differenza è tra il cantare in doccia e scrivere un disco sapendo che c’è qualcuno che ha già deciso di produrlo e per questo scriverlo non in base all’ispirazione ma in base al numero di brani sotto il quale non viene stampato.
Secondo te quanto sopra è una linea fluida o un groviglio che viene vestito da linea fluida?
Da cui la domanda: se sul blog non ci guadagni, su cosa poggia la tua carriera di “maledetta” scrittrice con un tot di pagine al giorno di scadenza?
La casa editrice che ti ha commissionato il primo libro e ora ti impone scadenze per il secondo, se non sul blog dove ha trovato i motivi per scegliere proprio te?
Immagino sia una domanda che ti sei fatta il giorno che arrivò la proposta e sono ragionevolmente certo che tu abbia anche avuto modo di darti una risposta o di fartela dare da loro.
Qual è questa risposta, se si esclude il blog che chiedi sia visto diverso da quelli di chi col blog ci guadagna?
Tenendo conto naturalmente che tra Blogger X che guadagna sui post ma non scrive libri e Blogger Y che non guadagna sui post e infatti ne scrive uno al mese ma scrive libri a ritmo di 2 al mese che dal blog, io credo, prendono il via, a mio avviso la differenza non sia così rilevante da sottolinearla.
Spero si capisca che la domanda è serena e non provocatoria ma solo generata da un post che contiene argomenti che meritano discussione.
Non riesco a capire quale sia la domanda, perché passi dal metodo al mio commento sul blog, come se avessero qualcosa in comune (metodo/strumento).
Se la domanda è: come il mio editore è arrivato a me? La risposta è sicuramente dal web (non dal blog, pare, ma da friendfeed).
Non avevo un libro nel cassetto, mi hanno chiesto proponi un titolo e ho proposto il manuale, che è poi stata l’esperienza di scrittura più intensa che ho avuto e un po’ soffro per il fatto che sia stato fagocitato dal successo del romanzo.
L’editore ti dice che se consegni entro tot, sei pubblicata il mese X. Funziona così, per qualsiasi casa editrice. Puoi anche prenderti 20 anni per scrivere un libro, è ovvio, o non scriverlo mai. Se firmi un contratto, hai la scadenza. E io non so scrivere senza scadenze. Se l’editore non mi avesse chiesto di consegnargli il primo titolo il giorno X non avrei mai scritto.
Mai.
Quanto alla differenza tra blogger che guadagna con lo strumento blog e blogger che scrive senza idee commerciali, nel mio caso è abissale. Io ho scritto per quasi 7 anni (sette! Ti rendi conto?) prima di fare un libro, non pensando mai al blog come strumento per guadagnare. Era un diario, come si usava una decina di anni fa. Una beauty/fashion/food blogger, qualsiasi blogger di nuova generazione (salvo eccezioni), apre un blog per farne un lavoro. Da subito.
Tornando ai libri, tutti gli amici che scrivono, ma tutti tutti, scalettano per la consegna. L’editoria ha tempi, costi e vincoli. Un libro lo si programma, anche quando l’hai già scritto e lo proponi tu. Va editato, va limato, va impaginato, va distribuito, va promosso. Quindi avrai comunque una scadenza sul contratto.
Il punto è come affronti le scadenze.
Questo è il seguito del primo romanzo. Ho avuto mesi per lavorarci. Ho comunque iniziato a tempo quasi scaduto. Ho sempre fatto così: per gli articoli di giornale, per la tesi di laurea, per le presentazioni di lavoro. Sempre. Il metodo non ha mai inficiato sulla qualità, altrimenti avrei perso occasioni e lavoro, ma influisce soprattutto su benessere e rapporti sociali. Miei, non degli altri.
È questo che racconto nel post.
(Riassumo: ogni contratto con casa editrice ha scadenze. SEMPRE. Gli autori le rispettano come credono. Io lo faccio come racconto nel post).
P.S. Nessuno dei miei libri ha preso ispirazione dal blog.
Io il blog ce l’ho da 13 anni (tredici! il doppio! ti rendi conto?) quando in Italia eravamo in dieci a scrivere e dieci, gli stessi, a leggere, piacere Broono, fatte le presentazioni e date le credenziali andiamo al punto: 13 anni a scrivere devono essermi serviti veramente a poco se dal mio commento esce che io abbia in qualche modo chiesto o, peggio, sostenuto che i libri prendono ispirazione dal blog.
Dopo aver aperto dichiarando di non averli letti, oltretutto e vabbé.
Il mio tema era un altro ma non vado oltre perché altrimenti con ogni probabilità mi spiegherei male di nuovo e probabilmente il tutto prenderebbe la forma di un’insistenza che avrei difficoltà a motivare, non avendo io alcun motivo (appunto) di insistere.
Diciamo che scremando le info sulla compagnia di scrittori e quelle sulle procedure contrattuali, sicuramente preziose ma lontane dal senso del mio discorso, dalla tua risposta prendo il punto in cui dichiaratamente scolleghi il blog dall’avvio della tua carriera di scrittrice e mi ci incarto da solo una specie di risposta, essendo l’unico punto che (a questo punto involontariamente) centra la mia domanda esaudendola.
Ero curioso di sapere se dietro il post c’era questa idea e la risposta in qualche modo è arrivata, insomma.
Quindi a posto così, in bocca al lupo e ciao.
Io sono così felice che finalmente qualcuno dice che scrivere non è poi così divertente. No perché magari in alcuni momenti lo è pure, alcuni abbastanza rari momenti, ma davvero è la prima cosa che ti viene in mente quando pensi alla scrittura? Grazie Dania.