Blogfest 2013. La mia gente

Negli anni ho imparato che il tempo di recupero dalla Blogfest è di tre giorni.

Durante il primo sbadigli, provi a riprenderti dalla sbronza e e cerchi di ricordare se hai fatto cose (più) imbarazzanti (del solito) e se quando sei andato via hai salutato tutti. Fai il censimento dei gadget (pochissimi, quest’anno) e aggiorni i social network con settemila status in cui comunichi che stai andando via.

Il secondo giorno è quello in cui ragioni su come è andata la manifestazione, su cosa hai trovato interessante e cosa meno. È il giorno in cui leggi tutti i post scritti e guardi le foto e ti rivedi e pensi “meno male che quest’anno ho tenuto sempre gli occhiali da sole. Almeno sembro carina”. Poi partecipi a qualche polemica sui premi, sui VIP che mammamia come se la tiravano, su quelli che però sembravano gentenormale, sui blogger che hanno avuto successo e quelli che no, su chi ha avuto la faccia tosta di ripresentarsi e su quelli che “ma davvero ci sono andata a letto?”. È la giornata in cui a Gianluca Neri fischiano così tanto le orecchie che ha l’impressione di essere stato abbandonato in un cantiere della Salerno-Reggio Calabria.

E il terzo giorno ci sono io qui, sul divano, a bere litri di caffè e a tirare le mie somme.

Sono una blogger anziana. Bloggo da 10 anni, dal lontano 2003, quando ancora c’erano i modem analogici a 56k e i post erano solo testuali e la maggior parte di noi era su Splinder (e quando mi ci sono iscritta io, non eravamo nemmeno 10mila). Sono stata una di quelle che ha visto crescere la rete, ha visto nascere le prime blogstar, ha partecipato ai primi raduni in cui si scopriva per la prima volta che faccia avessero i nickname con cui conversavi nei commenti dei post, molto prima che nascessero i social network.

Quelli della “mia generazione” non avevano modelli di business, non pensavano e nemmeno immaginavano che il blog potesse essere uno strumento per far soldi o un lavoro. All’epoca guardavamo con sospetto e disprezzo quelli che mettevano banner pubblicitari sui domini e che ti invitavano a fare clic. Noi eravamo puri, integerrimi, convinti di partecipare a un cambiamento più profondo. Pensavamo di riscrivere il concetto di comunicazione, di libertà d’espressione, di democrazia partecipata. Molto prima che un blogger già strapopolare per la TV creasse un partito politico.

I blog erano palestre di scrittura, laboratori di linguaggi, spazi di denuncia e posti in cui fare amicizia. Fino a quando Facebook non ci ha “costretti” a mettere nome, cognome e faccia, ci sentivamo supereroi nascosti dalla maschera dello pseudonimo e dalle nostre parole, convinti di appartenere a un mondo che non sarebbe mai diventato mainstream, tenendolo segreto, perché gli altri, quelli “fuori dalla rete”, non avrebbero capito. Chi della vecchia guardia non ha, almeno una volta, mentito su dove ha conosciuto un caro amico o un fidanzato? Era l’epoca in cui, se dicevi “ci siamo conosciuti su internet”, la reazione era di terrore e disgusto, come se avessi detto “ci siamo conosciuti in un parcheggio scambista di Pinerolo”.

Il web ci sembrava uno spazio nostro, in cui potevamo provare a cambiare le cose e a renderle migliori.

Poi sono arrivati tutti, anche mio zio, che posta ogni giorno foto e video col cellulare. E mi fa ricordare la prima volta che i miei parenti lessero un articolo di giornale (era il Resto del Carlino, ottobre 2003) su Malafemmena, scandalizzati da un blog che adesso sembrerebbe troppo casto anche per un bambino.

Il web è diventato di tutti. Non c’è più differenza tra on e off line. Era destino che finisse così, che quello che consideravamo un mondo a parte diventasse solo l’amplificazione dello spazio che ci circonda.

Ci siamo tutti, scriviamo, pubblichiamo foto, lavoriamo col web, produciamo contenuti, facciamo e ci facciamo pubblicità, commentiamo notizie, facciamo gli auguri di compleanno, diventiamo celebrità, facciamo i soldi. Ci conosciamo sul web e nessuno ci dice più “ma non hai paura a incontrare uno di internet?”.

La prima Blogfest (ma perché qualcuno si ostina a chiamarla IL blogfest?) a cui ho partecipato è stata quella del 2008. A Riva del Garda pioveva così tanto che Noè aveva mandato un email per dire col ca’ che vengo. Eravamo più timidi ed eccitati. Era la prima volta che ci ritrovavamo tutti insieme e ci guardavamo in faccia. Era stata un’edizione un po’ noiosa, si parlava quasi solo di giornalismo, perché all’epoca si pensava che i blog fossero solo wannabe giornali. Non avevamo capito ancora nulla.

Le edizioni successive sono state belle, pioggia a parte; sempre più sagra e più raduno. Ci andavamo per salutare amici che non vedevamo mai, per mangiare insieme, per ballare (anche se a Riva a mezzanotte la musica doveva tassativamente finire). Salvo rari camp che ancora attiravano l’attenzione, i panel erano deserti e le uniche attività a cui partecipavamo con entusiasmo erano i giochi a premi e gli apertitivi infiniti.

Era diventata – come amavamo definirla – la festa delle medie, bellissima, divertente e ormai troppo disimpegnata.

Quest’anno ci siamo trasferiti a Rimini. C’era molta più gente, più location, più eventi, più VIP, più feste, moooolti più sponsor, più contenuti.

La Blogfest è diventata un vero Festival per chi lavora in rete, più che una festa per chi vive in rete. Non ci sono più i barcamp, ma le conferenze.

L’ultimo baluardo di resistenza è il WriteCamp, organizzato da Mafe de Baggis e Filippo Pretolani, uno dei pochi incontri in cui non si discute (ancora) di business model e si parla di produzione di contenuti e non di vendita di contenuti. E il fatto che a me piaccia questo tipo di non-conferenza, la dice lunga sulla mia età digitale.

Questa è stata la Blogfest più bella degli ultimi anni. Non solo per le feste in spiaggia, per le piadine, per il caldo e il sole, perché c’erano con me gli amici più cari e perché abbiamo ballato fino alle 5 della mattina come se avessimo ancora vent’anni. È stata la più bella perché ha unito socializzazione a discussioni, perché gli eventi istituzionali sono stati meno molesti del solito, perché c’era molta più scelta di argomenti, perché era divisa per aree tematiche e perché nessuno mi ha detto che sono ingrassata (anche se, magari, l’ha pensato).

Come ho scritto qualche giorno fa su Twitter, ho avuto l’impressione di essere cresciuta, non da sola, ma con tutta la mia razza, con quelli con cui vivo da un decennio in rete e fuori dalla rete, quelli con cui chiacchiero ore e ore ogni settimana, quelli con cui ho fatto tantissima strada, la gente della rete, la mia famiglia.

Blogfest

 

La prossima avventura

Piove e io non ho fatto progetti. L’anno rotola verso la fine e mi sembra di non aver ancora iniziato a camminare.

Quando mi chiedono “ma tu cosa vorresti fare?”, non dico più viaggiare, scrivere, recitare, leggere, ascoltare musica, cucinare, io dico “vorrei essere felice”.

Sono stati tempi strani per me, veloci, nuovi, confusi, emozionanti e disperati. Non mi sono arricchita. Anzi. Vivo di prestiti e attese, sperando che un giorno la vita mi bonifichi il dovuto e mi faccia sentire serena, senza acqua alla gola.
Non sono nemmeno soddisfatta e forse questa è la chiave per crescere, per dare sempre di più, per diventare migliori.

Per molto tempo ho dato retta alle persone sbagliate, quelle che pensano di conoscerti senza sforzarsi di farlo davvero, e ho perso tutte le mie motivazioni. Ho iniziato a fare le cose che la gente si aspettava da me, perdendo la passione e diventando una ragioniera dei sentimenti.

Qualche settimana fa è successo qualcosa. Mi sono accorta che non ho più paura delle lancette dell’orologio, ho capito che amo davvero il silenzio che mi circonda e che la solitudine non è privazione, ma è crescita, benzina per le emozioni più profonde, rispetto per te stesso.

Allora ho preso le decisioni che avrei dovuto prendere tempo fa, ho scritto le email alle persone giuste, ho richiamato quelli che pensavo di dover tenere distanti e ho allontanato quelli che mi hanno resa infelice.

Stamattina non ho acceso la musica, ho comprato un nuovo ebook, archiviandolo insieme a tutti quelli in cui spero di tuffarmi presto, ho scritto il buongiorno alle persone che mi amano, ho fatto partire la lavatrice, ho bevuto molto caffè, guardando gli ombrelli che camminavano sotto la mia finestra, e mi sono messa a immaginare la prossima avventura.

Probabilmente smetterò domani

Stamattina è come se la vita avesse scoperto che non ho fatto i compiti.

Dovevo consegnare un lavoro che non ho mai iniziato perché ho capito che non sono in grado di farlo. E ho quindi passato una notte intera ad alternare il sonno all’autocommiserazione.

Quando riesci a rendere la tua passione un mestiere, corri il rischio di tradire te stesso. Pur di non perdere occasioni, accetti anche proposte che non ti somigliano, che non ti fanno crescere, che tirano fuori i tuoi lati meno interessanti, che abbruttiscono il tuo piccolo talento, che mettono in discussione il tuo piacere nel fare le cose.

Non bisogna mai perdere l’entusiasmo per le cose che amiamo. È un sacrilegio, è un peccato, è una follia.

Per evitare di sentirmi a disagio con quello che mi piace, ho imparato a fare una cosa che solo dieci anni mi sarebbe sembrata impossibile. Ho imparato a dire di no. Anche a rischio di perdere futuri contatti più interessanti. Mi dispiace, non me la sento, preferisco non farlo.

È il motivo per cui, per campare, mi ritrovo a fare altri lavori. Quando ce ne sono e quando pagano.

Pochi giorni lontana dal mare hanno sbiadito la mia abbronzatura. Non me ne sono accorta, mentre andava via piano piano.
Ieri mi sono guardata allo specchio e mi sono vista pallida e sbiadita, con l’estate che mi scivola addosso, sgocciolando sulle infradito, fino a sparire.

Ho fatto la mia lista di buoni propositi e ogni anno è sempre più breve. Non perché abbia realizzato quelli degli anni precedenti, ma perché ho imparato che devo essere molto più indulgente con me stessa.

Un sacco di amici, che mi conoscono da prima del web, mi chiedono della Siria e dell’Egitto. Ho studiato in quei paesi e ho la mia laurea in Arabo ed Ebraico che avrebbe dovuto trasformarmi in una bella persona. Poi ho cambiato strada. Di quella vita precedente, ricordo che dovevi avere grandi ideali, grande curiosità e grande competenza. E adesso che mi sento lontana da quegli anni entusiasmanti, seguo con pena e sgomento quello che accade.

A volte penso di essere un gatto, pigro e acciambellato sul davanzale della finestra. Delle mie nove vite, ne ho già fatte fuori un po’ e devo impiegare le altre con parsimonia.

L’aria di questo settembre profuma di sfide e di coraggio e questo lunedì inizio anche la dieta. Probabilmente, smetterò domani.