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Vado a Cuba, fate i bravi

Domani parto per Cuba.
Volevo visitarla da tanti anni, ma poi il lavoro, i traslochi, la vita, le consegne, altri viaggi, compagni d’avventura andati ed altri ritrovati mi hanno distratta. Soltanto la bandiera americana che di nuovo sventola sull’ambasciata all’Avana mi ha fatto tornare in mente che ora o mai più.

Parto dopo aver consegnato il nuovo romanzo e aver dato disposizioni al compagno temerario su come accudire i gatti.

Per quindici giorni mi dimenticherò della rete, dei social, delle email, di whatsapp, del telefono e di questo blog, che ormai trascuro come un figlio troppo adulto.

All’inizio del mese di agosto, Malafemmena ha compiuto dodici anni. Non male, per un diario.

Ci sentiamo a metà settembre, cicloni permettendo.

Fate i bravi.

I nostri deserti diventeranno spiagge

Forse succede a tutti così, incosciamente, subdolamente.
Tu nasci, vivi, festeggi compleanni, scandisci il tempo, scherzi sulla tua età e compi i tuoi riti di passaggio, belli o brutti, necessari o superflui.
Studi, cerchi un lavoro, a volte lo trovi e riesci a costruire qualcosa di decente, una sopravvivenza dignitosa, ti innamori, poi non ami più, poi soffri, poi ami ancora.
Procedi in avanti, a volte in linea retta, un percorso pianeggiante, altre volte, più spesso, a zigzag, al buio, a tentativi, in salita. Spesso fai un passo indietro e, se sei fortunato, è solo per prendere la rincorsa.
Razionalmente sai che sei diventato un adulto. O quasi. O almeno per le statistiche, anche se cercano di indorarti la pillola e ti lasciano davvero credere che l’adolescenza possa durare fino ai 35 anni e che sia plausibile, giustificabile, normale, non esserti emancipato, non averci nemmeno provato, nonostante l’alibi della crisi.
Lo sai che sei adulto, ma non lo realizzi. Allo specchio noti qualche rotolino, una ruga che – cazzo! – da dove salta fuori?, qualche riga bianca tra i capelli, i primi acciacchi, ma sei sempre un ragazzino, sei qualcuno che ha ancora tanta strada da fare, la vita davanti, l’energia.
Il figlio adolescente dei vicini di casa ti incontra in ascensore e ti dà del lei e tu pensi “dev’essere perché stamattina ho il viso stanco” e magari provi a vestirti come uno studente del liceo, senza che ti sfiori alcun imbarazzo, quarantenni vestiti Desigual senza vergogna.
Non ti rendi conto di essere diventato quello che un tempo erano i tuoi genitori, non capisci che sei passato dalla parte dei grandi.
Apri gli occhi bruscamente solo quando riesci a permettertelo e fai un figlio. O quando perdi un amico della tua età, all’improvviso e non per incidente. Quando una persona che ami si ammala e conta su di te. Quando perdi il posto e hai debiti e non ci sono genitori come rifugio sicuro. Quando devi sbrigartela da solo e non puoi fallire.

Io ho realizzato di essere diventata adulta in un viaggio, lungo, lontano, come tanti fatti e altri ancora da fare, e per la prima volta non ho avuto il desiderio di fuggire, perché non è più il momento di ricominciare, perché finalmente ho trovato una casa, una strada, una professione.
E quando fa tutto schifo, mi metto lì e lo restauro, invece di distruggerlo e ricostruirlo.

Ho capito che sono grande perché dimentico le cose e devo appuntarmi tante note sul telefono, perché anche se faccio tardi la notte, mi sveglio presto la mattina, perché non digerisco più la cipolla, perché bevo responsabilmente, perché mi viene istintivo controllare con la coda dell’occhio il nipotino che gioca, perché non si faccia male, perché sono io a chiedere a mia madre se ha bisogno di qualcosa e a preoccuparmi che stia bene, perché devo parlare con la banca per il mutuo, con l’amministratore del condominio per i lavori al tetto, con lo Stato per le tasse.

Ho sempre avuto paura che gli anni in più sarebbero stati chili aggiunti al mio bagaglio esistenziale, che avrebbero reso più faticoso ogni viaggio. Invece l’età adulta mi ha reso più leggera.
Una leggerezza diversa dall’inconsapevolezza dei ventenni. La leggerezza di chi ha capito come funzionano le cose e non ha più bisogno di troppi strumenti per procedere. Può finalmente viaggiare leggero.
Gli anni passati non mi spaventano più, anche se ho spesso il terrore di quelli che verranno. Non mi disturbano le distanze da compiere per realizzare sogni, ma le distanze fisiche dalle persone che amo. Non ho paura delle rughe, ma di perdere le idee, di non avere più parole belle da raccontare. Non mi interessano successo e soldi, ma la speranza di scrivere il romanzo della vita.

Sono ancora in uno di quei viaggi, lunghi, lontani, in cui realizzo di essere seduta al tavolo dei grandi.
Fa caldo, c’è un bel venticello e questa parte di mondo non sembra l’altro lato del pianeta. Anche se lo è. E quando mio fratello va a letto, io in Italia mi sveglio per andare a lavoro.
Non conta niente altro che abbracciarsi e ridere e bere il caffè insieme, prima che io riparta. Niente altro.
Perché la vera avventura degli anni a venire non sarà la fuga, ma il ritrovarsi. Perché i deserti si trasformeranno in spiagge e le difficoltà in sfide. Perché adesso siamo grandi e sappiamo fare le cose e non importa farle bene o male, correggerle, sbagliare e riprovare, purché si faccia tutto insieme, purché ci siamo sempre, l’uno per l’altra.
Lontani, vicini, che importa?
Io ci sono. Conta pure su di me. Sono diventata grande.

Parto prima io

Io sono una che corre. A dispetto della mia pigrizia, dell’accidia, del terrore di sbagliare, della malinconia sempre infilata tra le ossa. Sono una che corre, perché bisogna andare avanti e arrivare e realizzare, perché bisogna guadagnare il proprio posto al sole, che è sempre un po’ oltre, più avanti, più avanti.

Sono una che corre e inciampa e cade e si sbuccia le ginocchia e si rialza e poi corre ancora. Prima o poi si arriva. Prima o poi.

Mi capita di fermarmi, a volte, per scelta o accidente, per motivi tristi e motivi felici, e metto a posto i tasselli, tutto in fila, tutto in ordine.

Perché le cose non le capisci mentre corri, ma quando ti fermi a riprendere fiato.

E capisci che gli affetti, le risate, le cene insieme, seduti a tavola per ore, il bagno a mare e nei fiumi scuri, le foto con i sorrisi, i regali, soprattutto quelli superflui, i pianti liberatori e gli abbracci, i progetti e i ricordi, raccontati davanti a una birra ghiacciata, valevano tutti gli ostacoli e tutti gli affanni.

La vera fortuna nella vita non è avere tutto con facilità, ma riuscire a capire il valore di quello che hai.

Ieri l’ho capito. E mi sono asciugata di nascosto una lacrima infame.

I colori, i suoni, le parole, le risate, il vento caldo, i silenzi sono tutti dove dovrebbero essere.

Abbiamo fatto proprio bene a fermarci a riposare qui. Domani torneremo a correre, con le gambe leggere e lo zaino sulle spalle.

Parto prima io e prendo il posto per tutti.

E non c’è nulla di male

Questa volta sono dall’altro lato del mondo.

Se c’è una cosa che amo più dell’esercizio dei miei diritti democratici è la mia famiglia.

Non stavamo tutti insieme dal 2008. Quasi sei anni. Sei anni in cui skype e aerei ed email e pacchi postali sono stati il legame fondamentale.

Il 20 febbraio è nato Diego. In Brasile. Da mamma boliviana e padre italiano. Nei pochissimi giorni della sua nuova vita, ha vissuto in una chiassosa e ansiosa babele. Lo spagnolo della madre e della nonna materna, il nostro italiano, il brasiliano degli amici e dei vicini.

Ogni volta che siamo qui, in questo paese bellissimo e pieno di contraddizioni, ci chiediamo sempre la stessa cosa: chi ha avuto ragione? Hanno fatto bene loro a partire o noi a restare? Sono più coraggiosi loro o noi? La nostra è dedizione o incoscienza?

Ogni volta progettiamo anche noi una fuga. Qui si cresce, si fanno figli, si comprano case senza essere strangolati dai debiti, nei fine settimana si mangia pesce sulla spiaggia.
Da noi no. Da noi si sopravvive, ci si guarda alle spalle sospirando e davanti con terrore, si fanno debiti, si chiedono prestiti a genitori sempre più stanchi, si progetta un mese alla volta.

Ogni volta, trasportata dall’entusiasmo e dallo sdegno, ho pensato a quali ritorni mi avessero provocato più rimorso. Tutte le volte che ho vissuto all’estero, poi sono tornata. A volte con sollievo, spesso con nostalgia.

La mia generazione ha avuto come unica alternativa la fuga. Sempre meno una scelta, sempre più una necessità. Abbiamo studiato insieme, nelle aule vecchie dei nostri atenei dal passato glorioso, abbiamo provato e poi ce ne siamo andati. Continuando a occuparci di quello che succede, informandoci, sperando di poter tornare e intanto costruendo equilibri sempre più negati a casa nostra.

Ieri, a cena nel patio, provando a godere del vento fresco della sera, durante una discussione sul futuro politico del Paese, noi qui, la gente a casa in cui riporre fiducia, ho realizzato per la prima volta il perché dei miei continui ritorni.
Sopra ogni cosa, al di là di ogni difficoltà, più di tutto il resto del mondo, io amo l’Italia. Non solo perché io sia in grado solo di scribacchiare e di parlare parlare parlare e non potrei farlo altrove. Anche perché c’è qualcosa di coraggioso, temerario e folle nel provare a cambiare le cose, quando tutto sembra ormai disperato.

Il vero coraggio non è partire, ma restare.

Come quegli eroi dei film che si sacrificano per mettere in salvo tutti gli altri e restano sulla barca che affonda o sull’astronave che esplode, dopo aver aiutato anche l’ultimo essere vivente a fuggire.

Siamo quelli che restano mentre Tara brucia, quelli che annegano per salvare donne e bambini sul Titanic, i 300 spartani che si immolano per una causa più grande di loro.

Siamo quelli che rischiano di più e che soffrono e che si fanno un mazzo così grande che nemmeno il Colosseo potrebbe contenerlo.

Siamo, forse, i folli che non ce la faranno mai. Ma quante cose fuori di testa si fanno per amore.

Anche questa volta tornerò, ma senza pentirmene. Non c’è posto migliore in cui vivere di quello che consideri casa. Anche se è la peggiore, la più sgarrupata, la più marcia e corrotta delle case.

Qualcuno dovrà pur restare per mettere tutto in ordine. E per lamentarsi. E per indignarsi e poi indignarsi ancora. E per resistere.

Resistere.

Resistere.

Perché solo gli amori folli sanno essere così ottusi, suicidi e disperati.

E non c’è nulla di male ad amarla, davvero, la nostra piccola Italia.

Estrela mágica

C’è questa donna, Estrela, che ha tappezzato tutta la Beira Mar di Fortaleza di piccoli manifesti in cui c’è scritto che ha il poter di portarti la persona amata.
Ti fa i tarocchi, l’oroscopo e ti prepara amuleti e pozioni.

Allora mi sono ricordata che anche a Napoli era pieno di donne e uomini e santoni che ti promettevano di portarti l’amore. Io sono cresciuta ascoltando storie di malocchi, incantesimi, fatture fatte coi capelli dell’amato, con i denti da latte, con la biancheria intima, con le lenzuola usate per fare l’amore.

È che l’amore è una cosa che succede senza ragione. Una cosa che capita. È la cosa più vicina alla magia che io conosca, perché non la so spiegare.

Ci sono quelli che dicono l’amore mi è successo così e cosà, lei era perfetta, aveva tutto quello che mi serviva e allora io mi sono messo d’impegno e mi sono innamorato. Ma l’amore non succede mai così. L’amore lo ricostruisci a posteriori, lo giustifichi, ma ti capita sempre senza la tua volontà, come una fortuna. O come una sciagura.

Per esempio, a me nella vita è successo che mi sono innamorata quasi sempre di uomini che non mi volevano. Amici che stavano bene con me e il sesso era favoloso e sei importante per me e non potrei vivere sapendoti fuori dalla mia vita.

Ma non ti amo.

Ti-voglio-bene-ma-non-ti-amo. La sfumatura dei sentimenti del cazzo.

Ho contato che mi è successo sette volte.

Compresa quella volta del francese je-t’aime-bien-mais-je-ne-t’aime-pas. La sfumatura di significato nella lingua del cazzo.

Di sette volte in cui il cuore mi è scoppiato, cinque sono state quelle in cui gli uomini non mi amavano perché amavano una mia amica. Lo sai, lei è perfetta per me, lei ha quella cosa che tu non hai, tu che sei importante per me e non potrei vivere sapendoti fuori dalla mia vita.

E non ti amo.

Di cinque amiche, tre si sono fidanzate. Una mi ha chiesto se davvero era un problema per me perché non avrebbe mai voluto farmi soffrire. Due mi hanno detto che ero una stronza ad amare i loro uomini.

La causa-effetto ognuno la racconta a modo suo, in amore.

Quelle come me, si dice, se sopravvivono ai petardi nel petto, diventano streghe. E forse non è nemmeno un brutto mestiere.

C’è questa donna, Estrela, che ha tappezzato tutta la Beira Mar di Fortaleza di piccoli manifesti in cui c’è scritto che ha il poter di portarti la persona amata e dicono che funziona, che fa innamorare tante persone che non si amano e la gente si rivolge a lei in preghiera, come una santa.

L’amore ti succede e tu decidi se ti è successo per destino o per magia.
Per Estrela o per le stelle.

E se non ti succede bevi e piangi. Ma soprattutto bevi.

Una volta ho chiesto a un’amica, a Napoli, che accompagnava la zia a farsi fare i tarocchi, perché la sua parente non avesse scelto di affidarsi a un santo cattolico per chiedere il miracolo di trovare l’amore. E lei mi ha risposto: «Ai santi veri non si chiedono mai ‘ste scemità. Si chiedono solo salute e soldi.»

 

Controesodo


Appeso il bikini al chiodo.

Chiusa l’estate in valigia.

Rientro nel Belpaese previsto per venerdí 1 febbraio alle ore 7 della mattina.

Stop.

P.s. Il primo sms inviatomi al rientro su suolo italiano, dará diritto a una caipirinha.

Le diverse gioventú

Spiaggia di Jericoacoara

Dania: -Di dove siete?
Lui: -Canada.
Lei: – Siamo giá in viaggio da 4 mesi. Abbiamo visitato parte del centroamerica e scenderemo giú fino in Argentina.
Pro-fumo: -Noi siamo in viaggio da soli due mesi. Bolivia e Brasile.
Lui: -Poi dove andrete?
Dania: -Rientriamo in Italia. Andiamo a cercare lavoro.
Lei (allegra): -Anche noi cercheremo lavoro, una volta rientrati. Abbiamo lasciato il nostro posto in banca per permetterci questi mesi di viaggio.
Pro-fumo: -E una volta rientrati, cosa andrete a fare?
Lui: -Cercheremo un lavoro migliore.
Pro-fumo: -Magari…
Lui: -Seriamente. Un viaggio del genere, oltre a insegnarti molte cose, è anche un ottimo investimento per il curriculum. Le aziende premiano molto l’intraprendenza e lo spirito di adattamento.
Lei: -Vero! Abbiamo migliorato le lingue e vissuto situazioni forti. Questo aiuta molto per il lavoro. Le aziende in Canada preferiscono le persone che viaggiano, che rischiano e che sanno cambiare.
Lui: -Anche voi siete dei viaggiatori incalliti, no? Cosa andrete a fare dopo?



Lui
: -Tutto ok?
Dania: -Sí, non preoccuparti… è solo questa maledetta sabbia negli occhi che mi fa lacrimare…

Epilogo gogoliano di un racconto troppo breve

Mentre l’Italia si trastulla con gli ennesimi giochetti elettorali precoci, l’avventura sudamericana precipita, lasciando i nostri due eroi nell’innaturale impellenza di dover prendere decisioni sagge.

L’appoggio dell’investitore, che col soldo giustificava ogni impegno e buona volontá, è venuto a mancare all’improvviso e con esso la possibilitá di convertire, al momento, il visto turistico in un visto per lavoratori.

Considerato che pare essere sparito anche il lavoro promesso, che avrebbe giustificato il visto, il rientro risulta essere la soluzione meno dannosa.

Lo stile di vita della dottoressa le avrebbe imposto la permanenza almeno fino alla fine del carnevale, presenziando al quale avrebbe esorcizzato la cattiva sorte al ritmo di samba.

Lo spirito pragmatico dell’architetto friulano, invece, seguendo la filosofia del limite al danno, dopo rapido conto dei dobloni rimasti nel forziere, visti i prezzi elevati dei voli a partire dal prossimo mese e viste le giá lunghe liste d’attesa per un volo, ha optato per l’acquisto del primo biglietto disponibile per il Belpaese.

La morale della storia è che, il 1° di febbraio p.v., Dania e Pro-fumo rientreranno in Italia, abbronzati e confusi, a tirare le somme e decidere in quale lato del mondo vale piú la pena essere precari.

Il tutto a patto che sopravvivano al ritorno all’inverno: i loro cappotti, per eccesso di ottimismo, giacciono in letargo, da dicembre, nel loro armadio udinese.

In attesa di ulteriori aggiornamenti, almeno qualche suggestivo scatto.

70 di questi giorni

Come è ormai tradizione, nella storica data del 9 gennaio, compleanno della giovanissima Dottoressa, la premiata ditta Malafemmena propone ai suoi lettori un simpatico gioco a premi per far partecipare tutti al gaudio di un tale lieto evento.

Dopo due fortunate edizioni, essendo la ricezione telefonica da questo lato del mondo non sempre perfetta, abbiamo preferito sostituire il tradizionale sms contest con un piú romantico sforzo creativo: la poesia!

Invia, per email o commento, entro la mezzanotte del 12 gennaio, la tua poesia di auguri dedicata a Dania.

Ogni componimento poetico, in rima o senza rima, dovrá essere composto da 30 parole (spazi esclusi) e ogni verso dovrá iniziare con la lettera d.

Il componimento piú bello verrá premiato con un paio di brasilianissime infradito Havaianas e con un colorato pareo, in onore alla bella terra che ci ospita.

Un voto preferenziale sará accordato ai concorrenti che eviteranno di chiedere alla tenutaria del blog la sua vera etá.

Auguri, auguri e buoni versi a tutti!

La Dania vien di notte

Dopo due settimane di festeggiamenti, carne, vino d’altura e mate di coca, la dottoressa lascerà stanotte la Bolivia alla volta del Brasile.

È nostra volontà rassicurare tutti sul fatto che il viaggio di circa 24 ore per arrivare a Camocim verrà effettuato in aereo e autobus e non a cavallo di una scopa.

A breve, nuove foto dello strano viaggio su IBG e su FlickrDania.

AGGIORNAMENTO: I nostri più felici auguri a Blimunda per la splendida neonata Beatrice, nella speranza che la maternità non le faccia mettere la testa a posto!

Casa nostra

Ogni occasione mondana in Sudamerica, continente noto per l’incredibile sete di festa, è degna di nota.

Il matrimonio del fratello di Dania, celebrato il 29 dicembre in Bolivia, non poteva essere da meno.

La dottoressa, l’architetto e la di lei famiglia sono stati immortalati dalla stampa locale mentre festeggiavano il lieto evento in un caldo e umido pomeriggio.

matrimonio Sopra (in assenza di scanner) una foto leggermente modificata della pagina de El Deber dedicata all’evento.
Nella foto grande, a sinistra, gli immancabili due in abito da cerimonia.

Il resto su italianibravagente.

La sorella dello sposo

Speriamo che i vertiginosi tacchi che ho scelto per l’evento non mi impediscano di ballare la salsa, tutta la notte, come una vera sudamericana!

Auguri di cuore a mio fratello Paolo e alla sua compagna Irma, che, oggi pomeriggio, qui a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia), rinunceranno volontariamente alla loro libertà per convolare a nozze.