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Donnissima

«Certi amori sono come la frittura, il loro odore ti rimane addosso per moltissimo tempo.»

Oggi esce il mio nuovo romanzo, Donnissima, per l’editore Rizzoli.
È una storia che avevo in testa da più di tre anni, che ho pensato, sognato, immaginato, raccontato agli amici per così tanto tempo che non credevo sarebbe mai diventata in carta e ossa.

La protagonista è Enza Caruso, ragazza napoletana che pulisce le scale in un elegante condominio di Milano. Pulire è sempre stata la sua vocazione, la sua missione e la sua più grande passione. Alle prese con un divorzio complicato, una madre che frigge pure l’anima, le amiche che insistono perché si diverta più che può, si ritrova a dover risolvere un mistero: dal “Palazzo” cominciano a sparire tutti i cani carlini. Sarà stato un colpo del Cartello delle colf sudamericane per convincerla, finalmente, a mollare il lavoro?

Dopo cinque anni intensi e appassionati con l’editore Newton Compton, ho deciso di provare una nuova avventura allontanandomi dal genere rosa e raccontando una storia più agrodolce, piena di femminilità brutale, di fragilità maschile, di Napoli, di Milano e di ironia.
È un libro che amo profondamente e che spero vi faccia divertire davvero. Perché Enza ha tutte le carte in tavola per diventare la nostra migliore amica.

Jamme, che aspettate? Accattatevillo. Anche in ebook.

Donnissima

La (più) grande avventura

cicogna

Questo doveva essere l’anno del mio lungo viaggio in Messico. Invece l’unica a partire è stata la cicogna.
Lo so, lo so cosa state pensando: nemmeno io me lo sarei aspettata da me, mai mai mai nella vita.
Eppure, sono incinta.
E in barba ai burocrati che vogliono farci credere che a una certa età è sbagliato essere incoscienti, il papà (autore del bellissimo disegno) e io siamo felicissimi perché non poteva capitarci in un periodo migliore. Doveva succedere adesso, mo’, ora. Giusto in tempo per dare un alibi al mio fallimento della prova costume.

Lo sbarco sulla Terra è previsto a metà febbraio. Ed è un maschietto (poteva essere altrimenti, il figlio di Malafemmena?).

Ci stiamo preparando.
Sarà davvero la più grande avventura.

La verità sul tempo (e sul vino)

«Tuo nonno diceva che il gusto di questo vino gli ricordava le camere delle donne», disse, chiudendo gli occhi e assaporando il suo bicchiere.
«Come? Cosa voleva dire?»
«Le stanze delle donne sono luoghi pieni di sogni e di segreti, misteriosi, ma accoglienti. Hanno un profumo dominante, ma riesci a cogliere in giro tanti altri piccoli aromi, sulle lenzuola, nell’armadio, nel cassetto dei cosmetici. Appena ci metti piede, ti stordiscono leggermente, ma dopo che vieni catturato dalla loro voluttà, non hai più voglia di andartene».
«Ci sentiva tutto questo, in un bicchiere di vino?»
«C’è così tanto, cara, in questo bicchiere. C’è la terra, che era qui prima di noi e ci sopravvivrà, che dà frutti solo se la curi bene e la rispetti, c’è l’aria, che porta con sé gli odori della valle, del lago, delle montagne in lontananza, ci sono la pioggia e il sole e le mani di chi cura l’uva, c’è l’acciaio, il legno e il vetro, ci sono speranze, paure, traguardi, dubbi. C’è amore, dedizione e attesa. Soprattutto l’attesa, perché il bicchiere di vino perfetto è quello che arriva se hai saputo aspettarlo, senza stancarti, senza lasciar perdere, senza imbrogliare. È tutto lì il segreto di un grande vino: non avere paura del tempo».
«Allora non può diventare il mio lavoro».
«Perché dici così?»
«Perché io ho il terrore del tempo».
«Ragazza mia, ce l’hai perché nessuno ti ha mai detto la
verità».
«E quale sarebbe?»
«Che il meglio non è alle tue spalle, ma deve ancora venire».

(L’amore per il vino e la concezione del tempo. Tratto dal mio romanzo
A noi donne piace il rosso, 2014, ed. Newton Compton)

Le vigne del castello di Nipozzano.
Le vigne del castello di Nipozzano dei Marchesi Frescobaldi.

Coco sta tornando

Sono partita, poi rientrata e poi sparita.
Eppure avrei tanto, tantissimo da dire, da raccontare, da commentare.
Il blog sarà uno dei progetti che tornerò presto a seguire, intanto segnatevi la data del 12 novembre: in libreria ed ebook uscirà il mio nuovo romanzo.

Quando ormai pensavo che fosse una storia definitivamente archiviata (come tante storie d’amore nella vita), Rebecca Bruni è tornata a bussare alla mia porta e a chiedermi di fare pace.

Così è nato Natale da Chanel, terzo e ultimo episodio della vita della nostra Coco.

Perché nessuno racconta mai quello che succede nelle favole dopo il “vissero felici e contenti”…

Natale da Chanel
Natale da Chanel

Donne che amano il rosso e vanno al Vinitaly

Marzo è uno dei periodi più belli dell’anno. Perché torna la primavera e, soprattutto, perché arriva il Vinitaly.
Se sei astemio, va be’, non abbiamo molto da dirci, ma se anche tu ami i calici magici, soprattutto di nettare italiano, non mancare alla presentazione di A noi donne piace il rosso, il 23 marzo in Borgo Rocca Sveva (Soave, VR), alle 19.

Parleremo, come sempre, di amore, amicizia, libri, viaggi, sorseggiando Valpolicella Ripasso.

E se non hai ancora letto il libro, non disperare, puoi sempre rimediare (e lo accatti anche qui).

A presto e cin cin!

Borgo Rocca Sveva

Libri e social media: la strana coppia

Il tempo che sprechi passi su Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest, può aiutarti a stimolare la lettura? E a vendere più libri? E a scriverne?

Ne abbiamo parlato alla Social Media Week, con Barbara Sgarzi, Stefano Izzo, Claudia Consoli ed Edoardo Brugnatelli.
E abbiamo capito che sì, certo, no, boh, c’è molto lavoro da fare.

Vi posto il video dell’intervento completo. Io sono quella vestita da intellettuale con le occhiaie.

Buona visione.

Il DNA della procrastinazione

Sono un’amante della procrastinazione.
Credo che tutto quello che può essere fatto domani, senza o con poco danno, non meriti di essere sbrigato oggi. Mi piace passare il tempo a sentirmi in colpa per le iniziative che non prendo, per i lavori che non finisco, per le pagine che non scrivo. Salvo poi recuperare tutto sotto scadenza, ridurmi all’ultimo minuto, cuore in gola, per accorciare le distanze.
Si nasce procrastinatori, è nel nostro DNA.
Quelli come me, che spostano sempre un po’ più in là la fine temporale di qualsiasi evento, non potrebbero mai vivere iniziando subito, adesso, in fretta, quello che necessita di lunga, inutile e pigra pianificazione.

L’altro ieri, dopo aver – appunto – procrastinato per quasi due mesi, ho deciso di portare il mio vecchio e fidato iPhone 4S in un centro di riparazioni cinesi, per risolvere un paio di problemi che cominciavano a renderlo utile come una piastrella del bagno. E visto che avevo rimandato di ora in ora il mio rituale appuntamento con la palestra, mi sono detta che avrei potuto unire l’utile al dilettevole, arrivando a piedi in Via Paolo Sarpi.
C’era il sole, l’aria fresca e Milano era bella, quella bellezza intima, che vedi perché ami questa città, te la sei scelta, hai capito che è più tollerante di tutte le città italiane in cui hai vissuto, compresa quella in cui sei nata.
Ho camminato per cinque chilometri, con la testa al contacalorie bastardo che da una settimana mi ricorda che i vizi di gola si pagano, come quelli di gioco. Ho camminato tanto, ascoltando la musica, scoprendo luoghi e locali che non avevo mai visto, annotandoli nella mia mappa interiore e poi sono entrata nel bugigattolo che amo, quello in cui risolvono i tuoi problemi in fretta e a poco prezzo, gli ho lasciato il telefono e il nome e mi hanno chiesto di passare a ritirare tutto dopo un’ora. E io ho pensato “che bello, un’ora intera di passeggio per la splendida Chinatown. Un’ora per guardare vetrine, osservare la gente, rilassarmi”.
Dopo essermi allontanata di pochi passi dal negozio, ho istintivamente toccato la tasca del parka in cui tengo sempre il telefono e ho avuto un sussulto.
Era vuota.
Era ovviamente vuota perché avevo appena lasciato l’iCoso in assistenza, ma era incredibilmente vuota di senso. Che ore erano? Come facevo a sapere quando sarebbero passati sessanta minuti, se l’unico orologio è sul telefono? Cosa avrei fatto in quel frammento improvvisamente lungo senza Twitter, Facebook, Whatsapp? Che scopo aveva passeggiare in una Milano benedetta dal sole se non potevo fotografarla e postarla su Instagram?
Mi capita spesso di spegnere il telefono, soprattutto quando scrivo, perché i social network sono i nemici della scrittura, ti rubano il tempo, ti fregano l’attenzione. Spengo il telefono quando sono in viaggio, quando sono in palestra, quando sono triste e non voglio parlare. Ma l’ho sempre con me. Ho sempre la sua rassicurante presenza fisica, come se fosse un organo che posso non usare per lungo tempo, ma che devo avere vicino perché mi serve per vivere. Un po’ come il cuore.
Ero nuda, senza il mio mondo amplificato, in un posto che amo e che mi è sembrato improvvisamente misterioso, difficile, sconosciuto.
Per un paio di minuti mi sono sentita frastornata. Poi ho continuato a passeggiare, ho notato un orologio su un palo e ho annotato mentalmente l’ora, ho cominciato a muovermi con passo inspiegabilmente veloce, ho sbirciato le scarpe esposte in un paio di negozi, comprato della frutta, guardato la gente indaffarata che sembrava sapere esattamente cosa fare e non dover aspettare, come me, un’ora incredibilmente lunga, seppur breve, per riavere in mano il mio piccolo mondo.
Siccome il tempo che ogni giorno corre, mi sfugge via, si esaurisce troppo in fretta, quel pomeriggio sembrava non scorrere mai, per ingannare l’attesa mi sono seduta al tavolino di un bar, ho preso uno, poi due caffè, ho tirato fuori dalla borsa un libro, ho iniziato a leggere. E allora tutto è tornato al proprio posto, l’ansia dell’irreperibilità svanita, la stanchezza per la camminata alleviata, il terrore delle scadenze evaporato, il fastidio di non poter scrivere a tutto il mondo “sono seduta a un bar a leggere” dissolto.

Le storie belle, che leggi, che guardi, che ascolti sono lo strumento più potente per superare la paura del tempo, la paura della solitudine, la paura del vuoto di senso. E non c’è nulla di sbagliato o spaventoso nello scendere qualche istante dalla giostra del mondo che gira troppo velocemente e prendersi una pausa, facendo qualcosa che ti fa stare bene.

La luce è calata quasi di colpo. Ero seduta al tavolino da forse troppo tempo. Quando sono tornata nel negozio c’era molta coda al bancone. Il telefono era stato riparato. Ha anche una batteria nuova, che dura più delle due ore della precedente. L’ho preso e l’ho rimesso in tasca, cercando di dimenticarmene mentre andavo verso la fermata del tram. Ma quando sono entrata nel mezzo e mi sono seduta, l’ho tirato fuori e, con una sottile punta di delusione, ho capito che il mondo aveva girato lo stesso senza che io partecipassi a tutto, senza che fossi connessa per un paio di ore.
Sono arrivata a casa, mi sono accorta di aver passato tutta la giornata, un’altra, senza scrivere nulla, ho segnato in agenda un’altra virtuale scadenza nella scadenza per rimettermi in riga, ho nutrito il gatto, guardato fuori dalla finestra la notte che arriva sempre un po’ più tardi, ho ritirato il libro fuori dalla borsa, tolto la suoneria e ho continuato a leggere fino all’ultima pagina.

Prima di sparire

Sto scrivendo molto poco in questo periodo.
Non aggiorno il blog, non aggiungo pagine ai capitoli dei nuovi romanzi, non mando email agli amici.
Pur avendo tantissime idee, tantissimi progetti più o meno interessanti che mi si affollano nella testa, riesco a prendere solo qualche sintetico appunto su qualcuno dei miei confusi quaderni.

In questo periodo ho bisogno di nutrimento. Non quello di cui mi abbuffo quotidianamente, per poi lamentarmi con chiunque dei miei chili di troppo (ehi, a voi l’ho detto che sono a +5?), ma quello che serve a creare, inventare, ricostruire mondi nuovi.
Ho bisogno di alimentare quella macchinetta imperfetta che è il mio cervello e il carburante migliore sono le storie degli altri.

Mi sono concessa qualche settimana per rimpinzarmi di libri e film e telefilm e mostre e giornali e conferenze. Un tempo di apparente improduttività (avete notato che tutto ciò che non è fatturabile non è considerato né utile né benefico? Che reputiamo deprecabile tutto ciò che non produce un immediato guadagno, dimenticandoci che tutto ciò che c’è di sublime al mondo non è monetizzabile?) che scopro essere salvifico.
I libri mi hanno sempre salvato la vita. Non quelli pubblicati da me, che sono stati un gioco senza alcuna pianificazione, ma quelli in cui sono inciampata senza volerlo o quelli che sono andata a scegliermi con determinazione.
Sono giorni intensi, in cui fatico anche a rispondere al telefono, perché sono così occupata a scivolare tra una pagina e l’altra che ho paura di perdere il ritmo.
Ho sognato tutta la vita di potermi permettere qualche mese passato così, mesi in cui non avere l’ansia dell’affitto, delle bollette, del futuro, delle scadenze. Adesso che sta succedendo, ogni giorno mi sveglio con il terrore di non meritarlo, di non riuscire a farlo fruttare, di non essere mai in grado di prendere tutto quello che mi sta entrando dentro e trasformarlo in qualcosa di buono.

Ho sempre paura che le cose belle finiscano senza lasciare nulla. Però non accade quasi mai. Come quando te ne sei andato tu e pensavo che il mondo si sarebbe fermato e non ci sarebbero stati più i rumori e invece c’era ancora il battito costante del cuore che mi avevi riparato per bene, prima di sparire.

Io per te sono diventata invincibile

Quello che non ti spiegano mai dei sentimenti è che, nel momento in cui metti il tuo cuore su ON, non sarai solo felice per i momenti passati insieme alla persona amata, per le risate, i viaggi, i sapori, gli odori, le canzoni condivise, l’allegria, i tum tum al centro del petto, le gambe molli. Non sarai solo entusiasta degli alti, ma anche angosciato per i bassi. E, bada bene, non i bassi tuoi, o vostri, i momenti altalenanti della relazione, i bui, i malintesi. No, anche quelli, ma non solo. Non solo il nero di entrambi, ma soprattutto il suo.

Quando ami, soffri per i suoi fallimenti, per i suoi disagi, per le sue difficoltà. Ogni volta che l’altro fa fatica a comprendere il mondo, si trova di fronte un muro troppo alto, viene umiliato, subisce un’ingiustizia, ha sfortuna, ogni volta che l’universo si accanisce contro di lui, tu ti sentirai a pezzi. Una chiavica, un essere inutile.

Quando ami, puoi tollerare la tua infelicità, ma non quella delle persone a cui vuoi bene, fratelli, amanti, mariti, fidanzate, madri, compagni, amici, figli.

E ti verrebbe quasi voglia di chiudere tutte le persone importanti in un unica stanza e buttare via i loro iPhone e cancellare le persone brutte e i ricordi brutti e le sensazioni brutte e sgradevoli.

Quando ami devi essere forte. Più forte.

Non avere mai più paura.

Io per te sono diventata invincibile.

La quarta

No, non è la mia nuova taglia di reggiseno (magari!), ma la foto che trovate, tagliata e rimpicciolita, nella quarta di copertina del nuovo libro (come si chiama? Ah, non lo sai? A noi donne piace il rosso).

DANIELA FARNESE

Lo scatto, in cui sembro finalmente un’intellettuale, di quelle che vivono proprio circondate dai libri, è sempre della bravissima Barbara Beggio (Dio la benedica!).

Ieri mi è esploso un bottone dei jeans, mentre passeggiavo per via del Corso a Roma. Vuol dire che i chili di troppo cominciano a diventare troppi. È morale mettersi a dieta prima di Natale? Le prossime foto le scatterò indossando un copridivano come peplo?

Roma, fai un po’ la stupida stasera

Sono in partenza per Roma. Ho puntato la sveglia all’alba, ho stirato (sì, proprio così, S T I R A T O) la gonna che indosserò, che ormai è l’unica in tutto l’armadio che ancora mi entra, ho messo in valigia le mie scarpe nuove col taccazzo e sono pronta.

Vado a parlare dell’Arco, il racconto che ho scritto per il progetto Update your legs, il primo in cui mi cimento con l’erotico. O ci provo. E il protagonista è un uomo, che pensa e parla come un uomo. O come gli uomini che amo.
L’ebook è gratuito e potete scaricarlo qui.

Se avete voglia di fare due chiacchiere con me e le altre autrici, ci vediamo dalle 18 alle 21 nella boutique di Wolford in via Frattina 90. Io sono quella vestita male che cerca disperatamente qualcuno che le riempia il bicchiere.

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