Il primo anno di università ero diventata grande amica di Matteo.
Avevamo gli stessi gusti musicali, gli stessi gusti letterari, gli stessi gusti cinematografici.
Matteo diceva sempre cose bellissime che non erano parole sue, erano parole prese dai libri che amavamo, dai film che ci avevano fatto sognare, dalle canzoni che ascoltavamo dalla mia vecchia radio rotta, che avevo riparato con lo scotch e gli adesivi con la falce e il martello.
Passavamo ore al caffè in campo dei Frari, tra una lezione e l’altra, a emozionarci per quelle parole che sembravano fatte per noi, dette da noi, scritte proprio come se nella penna ci fossero stati i miei capelli neri neri e i suoi occhi grigi.
E tutti gli altri amici conoscevano quelle parole, le ripetevano, ce le cantavano, in quelle sere veneziane stanche di chitarra, canne, vino cattivo e splendidi vent’anni.
Una notte piena di bellissime parole, ci siamo baciati e siamo stati lì in silenzio, nel silenzio dei baci, tutta la notte.
Non ne abbiamo mai parlato e, ogni volta che ci tornava in mente, all’improvviso, ci guardavamo e stavamo zitti ad ascoltare il rumore leggero dei pensieri.
E poi sono passati i mesi e gli anni, Matteo si è fidanzato con una delle mie più care amiche dell’epoca. Penso fossero felici insieme. I nostri silenzi sono finiti, un giorno, così come sono iniziati e, lentamente, Matteo è sparito insieme ai vent’anni.
Ieri, mentre passeggiavo senza sapere dove andare, trascinandomi dietro le mie inquietudini mascherate dal volume alto della musica, la selezione casuale dell’iPod ha scelto una di quelle canzoni lì, quelle di tanti anni fa, piene di parole meravigliose che Matteo mi diceva tra le calli notturne, piene soltanto di luce di luna.
Ho pensato a lui, dopo così tanti anni, dopo così tanta distanza. E ho capito, infine, perché quella vicinanza perfetta, nonostante il nostro grande bisogno e desiderio, non è mai diventata amore.
A Matteo e me sono mancate le parole nostre, le parole pensate, scritte e dette da noi, le parole imperfette e forse sbagliate, le parole piccole, ma uniche, le parole che nessun altro poteva usare per l’amore, solo noi.
Nel timore che quella storia mai nata potesse non essere perfetta come le parole che amavamo, abbiamo semplicemente preferito non raccontarla.
Avrei voluto dire tutto questo a Matteo, ieri, dovunque lui fosse, dirgli che ho trovato le parole per dirti perché non abbiamo mai avuto parole, le parole che avrei dovuto dirti, che avresti dovuto dirmi, in quei silenzi infiniti, faticosi e immobili.
E ho pensato a lui ancora un po’, passeggiando per la città fredda. Poi la musica è cambiata e il ricordo si è allontanato e camminando ho ascoltato altre parole e ho pensato ad altre storie, alcune non scritte, altre abbozzate, altre finite e poche, pochissime perfette.