Quelle giornate in cui il cielo è bianco vorresti soltanto rimanere a letto e rigirarti tra le lenzuola e non aprire gli occhi, fino a quando non fanno male i muscoli o devi fare la pipì, e restare fermo, nel dormiveglia, a pensare e sognare, sognare e pensare.
Quelle giornate umide e grigie, come oggi, come forse l’altro ieri, non sono fatte per vivere, sono fatte per resistere, sono fatte per escogitare una fuga, sono fatte per sopravvivere.
Così cammino poco, leggo, scrivo, però lascio a metà le frasi, rileggo dieci volte le e-mail prima di spedirle, prendo il telefono, provo a chiamarti, poi prima del primo squillo metto giù. Ti chiamo dopo. Anzi ti scrivo.
È umido. Il gatto dorme da ore. Ho rotto quella regola che mi ero imposta di non bere più caffè il pomeriggio, dopo le sei.
Ascolto una canzone, ma la interrompo a metà. Preferisco il silenzio, oggi. E il rumore lontano della strada che entra dalla mia finestra al quinto piano.
È umido. Ho i capelli gonfi. Tu non rispondi. Ti scrivo ancora. Poi conto fino a cento. Poi ti chiamo. Faccio solo tre squilli. Se non rispondi metto giù. Se rispondi, ti dico che mi manchi.
E poi aspetto che faccia buio buio, chiudo la finestra, accendo la TV e guardo e penso e mi addormento sul divano, senza dire una parola.