L’altro giorno sono uscita con gente giovane.
Anche io sono giovane, ma era gente più giovane. Gente che ricorda ancora cosa ha detto all’esame di maturità, gente che ha festeggiato da poco gli ‘enti, gente che solo per un pelo è riuscita a guardare Bim Bum Bam.
L’altro giorno sono uscita con gente giovane e ho detto “ai miei tempi”. Come se questi non fossero i miei tempi. Come se fosse già tutto finito, ti ricordi com’era?, ah, com’eravamo migliori di questi qui che ai loro tempi nemmeno sanno com’erano i nostri tempi.
Insomma, ai miei tempi si ascoltava la musica con le cassette. Quelli prima di noi avevano i dischi di vinile, noi no, le musicassette. Fragili, deperibili, meravigliose cassette. Noi registravamo le compilation, non come si fa adesso che selezioni i file da iTunes et voilà, senza fatica, senza sbattimento.
Noi avevamo gli stereo con due scomparti per le cassette e mettevamo da una parte quella vergine (da 45, 60 o da 90 minuti) e dall’altra quella con la musica e premevamo REC e PLAY e registravamo e poi interrompevamo col dito appena era finita la canzone che ci interessava e nelle cassette delle compilation c’era sempre qualche secondo di silenzio tra una canzone e un’altra oppure si accavallavano, oppure si interrompevano a metà, quando registravi direttamente dalla radio.
Quando volevi ascoltare proprio quella canzone lì, mandavi avanti la cassetta e poi indietro e poi avanti e non beccavi quasi mai il momento giusto, quindi ascoltavi quasi sempre un po’ della canzone prima o dopo.
E quando finiva il lato della cassetta, dovevi tirarla fuori e girarla, a meno che tu non fossi uno di quei maledetti fortunati con l’autoreverse. E quando uscivi, se volevi più di un disco alla volta, dovevi portarti dietro più cassette, che durante le ore di storia e di latino avvolgevi con l’aiuto di una matita, per non consumare le pile del walkman.
Adesso ho un telefono che fa le foto, che fa i video, che archivia, che manda le e-mail e che riproduce la musica. Tanta musica. Così tanta che se fosse in cassetta dovrei andare in giro col trolley per portarla dietro.
E il telefono ha questa funzione bellissima che è la riproduzione casuale. Decide lui che canzone farti ascoltare in quel preciso momento. Un po’ come se creasse per te una cassetta-compilation nuova ogni attimo, sorprendendoti, irritandoti o commuovendoti.
Ai miei tempi tu non c’eri, ma stamattina l’iPhone, mentre correvo all’ennesimo treno e pensavo che tutto non va mai come deve andare e che l’inverno mi fa paura e che le cose rotte, quando si aggiustano, restano con le crepe e che bisogna davvero essere adulti e forti, l’iPhone, dicevo, stamattina ha scelto per me quella canzone che ti somiglia, ci somiglia. E io ho rallentato il passo e ho pensato cazzo! è un segnale, una coincidenza, è così che dovevano andare le cose, era destino, non potevano andare altrimenti, non potevano andare altrimenti, non potevano proprio.
In questa riproduzione casuale c’era un destino, era come se il regista di questa mia maledetta vita avesse scelto perfettamente la colonna sonora dei pensieri di questa mattina nella stazione di Torino Porta Nuova.
Quella canzone apparsa per caso mi ha fatto capire che c’è qualcosa di drammatico e crudele nelle scelte giuste, che non bisogna mai accontentarsi del troppo poco, ma pretendere il meglio, che non bisogna mai aspettare chi non è disposto ad arrivare, che non bisogna mai avere paura di chiedere di essere amati di più, di più, di più.
Ai miei tempi facevamo le cassette e ce le regalavamo e coloravamo le copertine con l’Uniposca e scrivevamo le dediche sugli adesivi da attaccare alla plastica.
Erano tempi belli, i miei tempi. Sono belli anche adesso, questi tempi qui, dove a volte ci siamo incontrati e siamo stati vicini e sembravano davvero momenti perfetti, riprodotti chissà come, così, in maniera casuale.