A volte è tutto

Io non so vivere con l’abbastanza, non so limitare, non prendo quanto basta perché non mi basta, non mi accontento e forse non godo, non so essere felice delle piccole cose, non so aspettare le cose grandi.

Io so vivere solo con il tutto o niente, con il pieno che trabocca, con il silenzio assordante, con la confusione molesta.

Io non so vivere con l’abbastanza, con le vie di mezzo, con il meno peggio, con l’arrangiarsi. E non ci sono i quasi, i forse, ci sono solo i sì, i no, i troppo e i nulla.

Io vorrei vivere dando tutto e prendendo tutto e a volte succede, poi quella cosa maledetta che chiamano sentimento si consuma e diventa abbastanza, si sta abbastanza bene, ci si ama abbastanza, si è abbastanza felici.

Io non so vivere con l’abbastanza e scappo e al non tutto preferisco il niente e ti perdo per strada e cerco altri tutto e altri niente fino a quando non passa il tempo e poi capisco e torno indietro e vengo a cercarti e mi va bene perché quel poco, a volte, è tutto.

Milano sa farsi camminare

Sono andata a cena con un amico che vedo una volta all’anno. Non ci sentiamo spesso, però frequentiamo gli stessi bar virtuali e beviamo le stesse parole e sappiamo sempre dove trovarci, quando abbiamo voglia di fare due chiacchiere.

Sono andata a cena con un amico che vedo una volta all’anno e gli ho raccontato cose che non racconto a nessuno, cose belle, cose brutte, le sofferenze per cui non ci sono mai parole, le cose piccole e meravigliose di cui non mi ero resa conto, mentre mi succedevano, le malattie che non sai nemmeno come fare a conviverci, i progetti che non avevi nemmeno studiato perfettamente e che, raccontati a chi vuole ascoltare, sembrano così precisi.

Abbiamo parlato e bevuto e mangiato e camminato, perché a tutti e due piace camminare moltissimo, senza una meta, e faceva freddo freddo e Milano sembrava quasi bella come se non fosse Milano e mi sono accorta che confidarsi con qualcuno che non passa tutti i giorni con te è come guardarsi da fuori, mi sono accorta che il tempo sta passando e le cose succedono e io non me ne accorgo perché sono troppo occupata a limare il mio monologo interiore.

Abbiamo mangiato la pizza poi lui ha detto che se prendevo il dolce io l’avrebbe preso anche lui e io non l’ho preso, figuriamoci!, io che soffro per aver preso un chilo in questi aperitivi selvaggi della nuova città. Abbiamo bevuto il caffè e non era buono, ma c’erano tante chiacchiere e non fa niente e in fondo dovevamo raccontarci un anno, un anno incredibile per me, per lui, per chi ci ha voluto bene e per chi non ce ne vuole più.

Poi abbiamo camminato verso casa mia e lui si è messo in macchina e io sono rientrata al mio quinto piano e ho guardato la mia nuova parete rosa e ho pensato che il tempo che passa lenisce anche i dolori più grandi, che se hai deciso come raccontare la tua vita sei già pronto per viverne ancora, che ci sono persone belle belle che non ti faranno mai male, che non dimenticherò mai quanto ho sofferto per alcuni, perché io non so dimenticare, non ho mai imparato a farlo, ma che posso sopravvivere anche col cuore pieno di cerotti, che Milano è una città che sa farsi camminare, che anche solo una volta all’anno è bello passare del tempo senza dover dimostrare niente, provando solo a stare bene.

Singol

È ancora tutto un po’ strano. Svegliarmi e bere tutto il caffè della moka da due da sola. Prendere treni senza dire a nessuno dove vado. Fare la spesa solo per me. Decidere solo oggi cosa fare domani mattina. Stare sveglia una notte intera o dormire tutto il giorno. Uscire con chi mi va, se mi va. Essere attratta da decine di occhi incontrati in treno. Dormire in diagonale nel letto. Riempire un armadio enorme solo di miei vestiti. Scrivere senza avere qualcuno a cui inviare messaggi. Vestirmi per farmi guardare da estranei. Non uscire mai senza un filo di trucco. Bere un bicchiere di vino da sola. Mangiare sul divano. Passare serate a leggere senza dire una parola. Aspettare e aspettare di innamorarmi ancora.

I cordiali

Ogni due domeniche, da bambini, mia madre ci portava a pranzo da mia nonna, sua suocera, la madre di mio padre.

Noi eravamo bambini con i genitori separati che, a quei tempi lì, a Napoli, era una cosa inusuale e anche un po’ triste, quindi eravamo bambini da coccolare, ma anche bambini forti, per gli altri, perché per noi eravamo solo bambini.

Ogni due domeniche, mia madre ci faceva prendere la circumvesuviana e ci faceva arrivare a Pomigliano D’Arco da mia nonna e mia nonna faceva il suo ragù speciale e il polpettone e quelle patatine così buone, che ogni volta che ne mangiamo simili diciamo che buone! Sono proprio come quelle di nonna.

Mia madre, prima di andare da mia nonna, passava al bar di Santa Teresa e si faceva preparare un pacco con lo zucchero e il caffè. Lo chiamavano il cordiale, come il liquore. Mi insegnava che quando si va a casa della gente a mangiare si porta sempre un pensiero e, poi, io nella vita sarei diventata una di quelle che porta sempre vino e, invece, mia madre a mia nonna portava quel cordiale fatto di zucchero e caffè, ché a Napoli zucchero e caffè sono come il pane, non bisogna mai rimanere senza, sono una cosa che si usa e consuma sempre, sono parte della nostra tradizione.

Quando ci siamo trasferiti a Padova vedevamo molto meno spesso mia nonna, ma le telefonavamo ogni domenica.

L’ultima volta che sono andata a trovarla, lei era molto stanca e malata e mi ha detto sai prepararti un caffè? E io le ho risposto ma che domande! Ormai sono grande, so cucinare, so preparare il caffè, so fare tutto. E lei mi ha sorriso e mi ha detto sei sempre stata così indipendente e così testarda.

Due giorni dopo ho preparato il caffè per tutta quella gente che passava a salutarla per l’ultima volta, il giorno del suo funerale.

Stamattina, ho scoperto di non avere zucchero e mi sono ricordata di quei cordiali e della grande verità di mia madre che diceva che non c’è nulla di peggio di ritrovarsi in casa senza caffè e senza zucchero. Mi è tornata in mente mia nonna e come ero diversa tanti anni fa. Mi sono tornati in mente quei pacchi regalo avvolti nella carta rigida del bar. Poi ho bevuto il caffè amaro e mi sono infilata in doccia.

Non si tratta dei Joy Division

Da domani sarò la nuova web testimonial della campagna Stop Ego di Control.

Potete seguire i miei video (oh, li giro e monto da sola! Sono diventata quasi una professionista) e commentarli sulla pagina facebook.

Ne approfitto per ricordarvi che il 1° dicembre si celebra la giornata mondiale contro l’AIDS: usiamo sempre il preservativo durante i rapporti occasionali, ché l’HIV non è mica sparito!

E le stelle stanno davvero a guardare

Non credo agli oroscopi, però sono curiosa.
Mi piace sapere cosa avrebbero potuto fare le stelle per me.
Una splendida amica che ci parla con le stelle mi aveva detto che il mio Saturno in decima avrebbe rivoluzionato tutta la mia vita quest’anno.
Avevo creduto fosse una cosa allegra e non dolorosa.
Forse anche senza Saturno, senza pianeti che orbitano dentro la mia testa e intorno al mio cuore, il mio piccolo universo sarebbe esploso.
È stato il mio Big Bang.
Tra meno di due mesi sarà un anno da quando tutto è cambiato.
Le stelle avranno finito il loro giro. Il mio universo continuerà a espandersi. Chi è lontano sarà sempre più lontano, chi viaggia nella mia direzione riuscirà, prima o poi, a scontrarsi con me o ad abbracciarmi.
Non credo agli oroscopi, però spero nella fortuna.
Secondo me è arrivato il mio turno.

Soliti aggiornamenti

Domani sera, alle 21.00, presento il mio libro al circolo Arci “La mela di Newton” a Padova. Se passate, ci beviamo una birra insieme.

È in edicola Trucco&Bellezza, con il secondo pezzo della mia rubrica Love & Make-Up.

Giovedì sarò a Torino alle Italian Sessions. Se avete domande da fare ai relatori (tipo: “c’è il rinfresco dopo?”) posso porgerle per voi.

Nel fine settimana porterò Mina, la gatta, a Milano. Speriamo bene.

Non ha nemmeno più importanza

Vivo una situazione di seminomadismo perenne, spostandomi in continuazione da A a B a C a D e poi di nuovo A.
Cambio città all’occorrenza, molto spesso fuggo, a volte mi avvicino, mi cerco, mi aspetto.
Ho comprato casa e poi l’ho abbandonata per andare in affitto in un’altra città e dovrò rimetterla in vendita oppure decidere cosa sarà. Adesso sono lì e riparto da zero e ricomincio e vado avanti.
Sono tornata per qualche giorno a Padova, perché ho ancora il gatto da sistemare e gli scatoloni da riempire e gli armadi da svuotare. Mi sono accorta che non avevamo mai fatto mettere la targhetta con i nostri cognomi sul citofono e l’adesivo che avevamo attaccato sopra il nome della vecchia proprietaria era caduto via, lavato dalla pioggia.
Mi sono accorta che so vivere solo in questa precarietà, in questa perenne imprecisione, senza mai chiudere i cerchi, senza mai lasciare un posto per sempre, seminomade, girando in tondo, allargando il cerchio, aggiungendo oasi in cui ripararmi prima di ripartire.
Ho stampato un pezzo di carta con il mio cognome, l’ho attaccato con lo scotch al citofono. Se qualcuno dovesse suonare, probabilmente non troverà nessuno.
Ho finito tutti i sensi di colpa. Siamo stati bravi a dividere il mio e il tuo.
Ci sono delle crepe nei muri, ma sono strutturali. La struttura regge e il passato non la butta giù.
Non lo so se un giorno sarò capace di fermarmi. Forse succederà senza pensarci. Per il momento ho abbastanza scotch per attaccare il mio nome su tante porte ancora, lontane o vicine, non ha nemmeno più importanza.

La nuova abitudine

C’è questa nuova abitudine che mi piace molto.

Quando cominci ad avere nuove abitudini, il tuo bar, la tua bancarella della verdura preferita, l’angolo dove dare gli appuntamenti, il tuo ufficio postale, quando cominci ad avere nuove abitudini ti senti a casa.

C’è questa nuova abitudine che mi piace molto che è iniziare a bere l’aperitivo con le amiche in un locale, per poi spostarci in un altro a mangiare dolci e bere vino. È un rituale che è nato come tutti i rituali, un po’ per caso e un po’ per destino, com’è nata la nostra amicizia, che poi io, un anno fa, non uscivo mai con loro e adesso sono le persone che cerco quando mi succede qualcosa di bello e quando, ahia!, mi succedono le cose brutte, quando la nostalgia mi assale, quando non ho muri abbastanza duri contro cui sbattere la testa, quando ho bisogno di qualcuno che mi salvi la vita.

E una sera eravamo lì, a bere e poi camminare e poi bere ancora vino e scegliere i dolci e lì, mentre raccontavamo la nostra quotidianità così terribilmente importante, il marito di un’amica ha detto una cosa così semplice e bella che avrei voluto pensare da me.

Lui ha detto, tra un bicchiere di Nero d’Avola e un boccone di cheesecake, che si smette di scrivere tanto e appassionatamente quando non si ha più bisogno di mandare messaggi.

E io ho capito perché quest’anno ho scritto tanto, perché dovevo dire le cose, a chi avrei voluto dirle e a chi no. Ho capito che avevo bisogno di lanciare segnali, di aspettare che la corrente trascinasse i miei messaggi nella bottiglia, avevo bisogno di parlare ad alta voce e avere qualcuno che ascoltasse, qualcuno soprattutto sconosciuto e attento.

C’è questa nuova abitudine che mi piace molto, che è capire me stessa ascoltando gli altri, che è bere vino con persone belle, che è sentirmi a casa in questa Milano che ha angoli nuovi e il sole caldo anche a novembre.

Prima ancora di bere il caffè

Quelli che dicono che non si cambia mai, che ritorniamo sempre a essere noi stessi, che il bianco non diventa mai nero e che il nero può sembrare al massimo un po’ grigio, ma resta nero, quelli che psicanaliticamente ti dicono fai questo e quello perché da bambino ti è successo quello, perché tuo padre, perché tua madre, quelli che non credono che dall’oggi al domani, un sorriso, una canzone, un film, un abbraccio, un caffè bevuto con troppo zucchero, una fantasia sessuale realizzata, un bacio dato a occhi chiusi, un treno perso e poi ripreso, i cannelloni ripieni, possano davvero cambiarti la vita, quelli che non credono che possiamo essere quello che vogliamo, anche per pochi momenti, e non solo quello che dobbiamo, quelli che dicono che non si cambia mai a me fanno paura.

Mi fanno paura, quando mi guardo allo specchio e sorrido e mi dico che strano!, non mi spaventano più il tempo e le rughe nuove e i capelli bianchi e il lato del letto vuoto e il silenzio a cena e le case nuove e gli amici che non fanno domande.

Mi fanno paura quando i ricordi non fanno più male e io penso che si cambi, si cambia sempre e non diventiamo sempre migliori e a volte ci fa male essere diversi e a volte ci fa male essere come eravamo.

Io sono convita che si possa cambiare sempre, che si debba cambiare sempre, se non siamo più felici, se non siamo ricambiati, se non siamo soddisfatti, se non ci svegliamo la mattina con qualche buffa musichetta in testa e il sorriso sulle labbra e la voglia così preziosa di guardare il cielo fuori dalla finestra, prima ancora di bere il caffè.

Aggiornamenti

Sabato 12 novembre, sarò al salone IoSposa per un evento con la socia e Stiletto Academy dedicato a quelle folli romantiche che vogliono convolare a nozze. Sarà forse l’unica volta che potrete vedermi vestita da sposa.

Qui il podcast della mia ospitata a Radio Deejay da Platinette, per parlare dei “101 modi per far soffrire gli uomini”.

Ho messo il prosecco in frigo e ho preparato il costume da coniglietta per quando cadrà. Perché, dai, cade.