Io sono molto stanca e poi arriva la primavera

Non si prendono mai decisioni quando si è stanchi.

Da stanchi tutto sembra più faticoso, insormontabile, fastidioso. Da stanchi ci sentiamo soli, brutti, trascurati, nervosi, emotivi, irascibili.

Io sono molto stanca, lavoro molto per mantenermi in questo altrove. Inizia a non piacermi più. Ma è perché sono stanca.

Se fossi meno stanca avrei il tempo per fare le cose belle, per cercare persone belle, per incontrare occhi nuovi, per ridere, per rimettermi in forma.

Invece sono stanca, mi trascino da un impegno all’altro, da un incontro all’altro, da un cliente all’altro.

La sera, davanti al vino, parlo di lavoro. Io non voglio essere una di quelle persone che, davanti al vino, parla di lavoro.

Poi arrivo a casa e mi ricordo di dover finire delle cose, dico di sì a tutti gli ingaggi perché ho bisogno di soldi. Milano diventa il fine e non il mezzo. Riesco a guadagnare per mantenermi, mutuo e affitto insieme, e non a guadagnare per fare quello che mi piace.

Sono diventata un’adulta e gli adulti sono stanchi, hanno problemi schifosi, non parlano quasi mai d’amore, hanno tanti conoscenti e pochi amici, non sognano ad occhi aperti, non scappano per cambiare tutto, restano e resistono, si sacrificano, vanno avanti, crescono e, spesso, invecchiano.

Io sono molto stanca e poi arriva la primavera. Non ricordo già più quanti caffè ho bevuto stamattina.

Vado avanti e vado avanti e vado avanti. Domani, forse, mi riposo un po’.

Dodici sigarette e smetto

Non fumo, non ho mai fumato.

Vengo da una famiglia di non fumatori incalliti.

Di mio padre, che non viveva con noi, ricordo le lunghe onnipresenti stecche di Winston rosse. È morto prima dei 50 anni.

Non ho mai fumato a scuola, all’università, la sera in discoteca (perché un tempo, che noi ricordiamo bene, si fumava dentro le discoteche con buona pace dei capelli appena lavati), dopo il sesso, durante gli aperitivi, dopo cena, prima di cena. Mai.

L’altro giorno ho ricevuto una bella notizia e volevo fare qualcosa di particolare per festeggiare da sola.

Ho comprato un pacchetto di sigarette. Un pacchetto da dieci, le prime che ho visto dietro il bancone del tabaccaio, per darmi arie da fumatrice decisa, come se conoscessi la differenza tra un tabacco e l’altro.

La prima l’ho fumata per strada, mentre aspettavo l’autobus e mi sono sentita molto metropolitana, una me stessa che non guarda lo smartphone mentre aspetta, ma fuma, col terrore che mi puzzassero le mani di fumo, dopo, e le salviettine per lavare le mani pronte in borsa. È stata lenta e goduta. Mi ha fatto un po’ girare la testa.

Le due successive le ho fumate in casa, in due momenti di noia. Non so gestire la noia, mi sento in colpa, inizio a pensare a tutto quello che dovrei fare, che avrei dovuto fare, al lavoro, le pulizie, la spesa, la manicure, la depilazione. Fumare mi ha alleviato la noia per qualche minuto. Poi avevo sete, una sete tremenda. Un po’ ho tossito. Poi sono corsa a lavarmi i denti.

Tre ne ho fumate in compagnia di amici, aveva già più senso fare quello che facevano anche loro, riuscire, per una volta, a non perdermi i discorsi che si fanno mentre si fuma, i pettegolezzi, non su di me, però, che di solito resto dentro, nel locale, ad aspettare. Per uscire dall’osteria ho dovuto infilare il cappotto e la sciarpa e fumare senza guanti. Faceva freddissimo. Tutti aspiravamo in fretta e buttavamo via la cicca consumata solo per due terzi. Il freddo mi ha attaccato addosso l’odore. Dopo mi sono sentita un po’ a disagio.

Due volte ho accettato sigarette offerte dagli altri, oltre a quelle del mio pacchetto. Mi è sembrato un rituale di iniziazione. Nessuno si è accorto che fingevo soltanto di essere un fumatore.

Poi le altre non ricordo dove le ho fumate, le avevo, avevo del tempo libero, ho tolto il pacchetto dal cassetto, perché il non fumatore mette il pacchetto nel cassetto e poi se ne dimentica, e le ho fumate, non ricordando più nemmeno perché le avevo comprate.

Dopo dodici sigarette ho smesso. Non è un vizio che potrei coltivare. Costa meno che comprare scarpe, ma mi lascia un cattivo odore sulle mani, mi fa sembrare i cibi meno buoni, a volte mi fa bruciacchiare la lingua (per mancanza d’esperienza). È stato bello essere un fumatore. Mi sono sentita parte del gruppo. E poi al fumo ci si abitua e inizia anche a piacerti. Però ho smesso.

Un giorno, potrò convincere i miei figli a non fumare, perché io ho smesso. Sono stata forte. Potrei vantarmene con gli amici.

Dodici sigarette e smetto.

Col vino mi sembra molto, molto più dura.

 

Poi smetto

Sono stata una bambina e un’adolescente grassottella, come quasi tutte le mie amiche a Napoli. Il cibo è sempre stato per me motivo di consolazione e godimento profondo. Ho sempre trovato imbarazzante il mio corpo, grosso, poco armonico, grasso, con un seno troppo piccolo, il busto corto, le gambe troppo lunghe. Non mi sono mai piaciuta. Ero sempre l’amica simpatica, non sono mai stata la bambina bella. Mangiavo per consolarmi da tutto, dalla timidezza, dall’abbandono da parte di mio padre, dall’inadeguatezza fisica, dall’eccessiva sensibilità.

Ho vissuto da proto-adolescente al sud e con le amiche guardavano Non è la Rai e ci sentivamo tutte un po’ in carne, ma non troppo a disagio. Eravamo circondate da persone in sovrappeso e ci sembrava normale. Pensavamo che, crescendo, la nostra passione per il cibo, per la pizza fritta, i panzarotti e le palle di riso, il nostro amore smisurato per il salame di cioccolato, per i panini al latte con la nutella, per i biscotti all’amarena non ci avrebbero impedito di essere perfette.

A 15 anni mi sono trasferita a Padova. Le mie compagne di scuola erano quasi tutte magre. Il trauma da trasloco sud-nord è stato così forte che ho iniziato a mangiare moltissimo, ingrassando ancora di più. Poi, all’età di diciassette anni, adolescente, incazzata, riservata, politicamente impegnata, prima della classe, ho smesso di mangiare. È stato uno dei periodi più gratificanti della mia vita. Ho perso più di venti chili in sei mesi, sono diventata uno scheletro, passavo tutto il giorno a contare le calorie bruciate, mi consolava veder mangiare gli altri mentre io digiunavo, mentivo sul mio peso, non riuscivo più a portare lo zaino pieno di libri per la scuola, perdevo i capelli, mi riempivo di smagliature, non avevo più il ciclo, mi sentivo in grado di poter controllare tutto.

Continuavo a vedermi grassa.

Poi ci sono stati ospedali, medici, bombardamenti ormonali e il teatro che mi ha salvato la vita.

Ho ripreso peso e, anche se continuavo a vedermi grassa, ho provato a dimagrire di nuovo innumerevoli volte e non ci sono mai riuscita. Non ne avevo più così bisogno. Stavo bene.

Saltuariamente mi sono piaciuta, mi sono innamorata, sono stata ricambiata, ho avuto una tregua col mio corpo. Ricordo quella volta che il grande amore dei vent’anni mi disse che ero bella. Per un periodo pensai di aver raggiunto una discreta perfezione. Poi la dismorfofobia è ricominciata e ogni giorno ho fatto lo sforzo di vivere nel mio corpo nonostante lo trovassi mostruoso.

Poi in mezzo c’è stata tutta la vita, lo studio, il lavoro, innumerevoli lavori, gli amori, tutti finiti male, altrimenti non sarebbero mai finiti, e a ogni capolinea di relazione, la sensazione di trovarmi orrenda.

Poi il ricominciare, i flirt che ti fanno sentire meglio e poi ancora questo corpo che mi appare sempre così diverso da come l’avrei desiderato. E una vagonata di amanti stronzi che hanno provato a dirmi dimagrisci qui, rassoda qua, potresti fare questo, potresti rifarti questo.

L’anno scorso, soffrendo per amore, ho smesso di nuovo di mangiare. È stato la cosa più gratificante di tutto il mio anno di merda. Poi è finita, perché le sofferenze d’amore passano, anche quelle che pensi ti uccideranno. Bisogna solo saper aspettare.

Sono passati un sacco di mesi, di anni e non mi sono mai vista abbastanza magra da piacermi, nonostante continui a mangiare, a sorridere, a stare in compagnia, a bere, a fare sesso, a vivere, a lavorare.

Faccio tutto questo in un corpo in cui non mi piace abitare. Gli amici detestano sentirmi parlare del mio peso. Temo che, prima o poi, smetteranno di invitarmi a cena.

Non so perché in questa domenica mi è venuta voglia di raccontare questa storia sconclusionata e senza lieto fine, forse perché sono ingrassata di qualche chilo e non mi sento affatto bene, forse perché ho sempre pensato che le persone ti amano soprattutto per come appari e non per come sei, forse perché ho incontrato tanti uomini sbagliati, forse perché ho avuto un pessimo padre, forse perché stamattina in palestra c’era quella ragazza così magra, così trasparente che mi ha fatto tenerezza e mi sono chiesta chissà se è felice, chissà che si trova bella. L’ho guardata e mi sono sentita fortunata, perché io, nonostante la tremenda fatica, ho capito che cambiare il mio corpo non è la risposta alla felicità. Almeno l’ha capito la mia parte razionale.

Negli spogliatoi l’ho vista pesarsi e aveva un viso impassibile. È contenta del suo peso?

Sono andata a pesarmi anche io e ho provato il desiderio di fare a pezzi la bilancia con un martello. Ero così delusa che avrei fatto a botte con la ragazza scheletro.

Sono tornata a casa e ho pranzato con insalata e petto di pollo.

Devo perdere quattro chili, poi smetto. Lo giuro.

Tra cinque minuti

Scrivo poco perché non ho più patimenti, non ho messaggi da lanciare, non ho voglia, aspetto la primavera, dovrei pulire casa e perdo tempo, dovrei consegnare quel progetto e guarda, c’è un programma inutile alla TV! Adesso lo guardo e procrastino, non sono più innamorata, non sono ancora innamorata, non so cosa dire, se lo dico non mi viene bene, non ho tempo, perdo un sacco di tempo, devo lavorare, c’è troppo lavoro, c’è poco lavoro allora lo cerco, ho l’ansia per i debiti, mi trascuro, prenoto il parrucchiere, prenoto l’estetista, aspetto la fashion week, leggo, leggo, guardo film, bevo tre moka di caffè al giorno, mi metto a dieta, mi dimentico di essere a dieta, vado in palestra, mi stanco, mi lavo i capelli e perdo tempo a stirarli, non sono felice, non sono triste, non sono molto, aspetto.

Scrivo poco, non è un dramma. È molto peggio non pulire casa. Adesso vado, davvero. Tra cinque minuti vado.

È solo inverno

Avevo scritto un pezzo sul lungo inverno e sul mio vizio di parlare con le persone delle sofferenze d’amore, su come ci siano enormi similitudini tra i cuori infranti, su come si diventa tutti uguali con il cuore a pezzi.

Sono originali gli addii, i come, i con, i chi e i quando, ma sono uguali le meschinità, le scuse, le fughe, le lacrime, i ritorni goffi e dolorosi, i silenzi, le scenate, i nodi in gola, i digiuni, i mal di testa, le benzodiazepine.

Stavo per scrivere che non è morto quasi mai nessuno d’amore, ma tutti sono rimasti invalidi e camminano e respirano male, a volte perdono il sonno, si appoggiano ai nuovi amori come bastoni, non sentono più pienamente i sapori, portano dietro pezzi di tutti quelli andati e non li buttano via quando arrivano i successivi.

Poi il sito è andato giù e non ha salvato il lungo pezzo e, mentre aspettavo che tornasse tutto a posto, mi sono messa a leggere, a guardare un film, a cucinare della pasta con un vasetto di ragù preparato da mia sorella, a bere un bicchiere di vino, a guardare la neve dalla finestra, a giocare con il gatto, a ciondolare in questa domenica fredda fredda, di questo lungo inverno che non passa, che non ci ha uccisi, ma ci ha lasciati sentimentalmente invalidi.

E  mi è passata la voglia di riscrivere tutto, perché va bene così, quello che manca c’è stato e poi ritornerà, è solo l’inverno che spegne tutto, che copre di ghiaccio, che rallenta il respiro, che toglie la voglia, che annulla l’entusiasmo.

È solo inverno, che poi finisce e poi diventa primavera ed estate. Non possiamo evitarlo. E quello che non possiamo evitare dobbiamo almeno cercare di tollerarlo. Anche quando rompe vorticosamente i coglioni.

Bevo un altro bicchiere di vino, poltrisco un altro po’, provo a postare senza che il sito mi abbandoni, mi vesto e vado ad affrontare la tempesta.

Sono pigra

Io, più di ogni altra cosa, sono pigra.

Sono pigra in tutto, nelle decisioni, nelle azioni, nelle emozioni.

Sono pigra la mattina, quando fatico a svegliarmi, sono pigra il pomeriggio, quando procrastino all’infinito.

Sono pigra negli inizi, sono pigrissima nelle fini.

Sono pigra quando devo cominciare una nuova vita e posticipo sempre e dico di no agli inviti e dico vengo dopo e poi non vado e resto a sguazzare nella pigrizia di chat lunghe, di divano, di libri lasciati a metà, di pantofole calde, di lunghissime docce bollenti, di telefonate mai fatte, di email mai spedite, di lavori da finire, di gatto che miagola e mi fissa.

Sono pigra e malinconica e poi di colpo faccio mille cose per riuscire ad avere il tempo libero di non fare nulla.

Mi piace perdere tempo per poi sentirmi in colpa per averlo perso. È un godimento malato e perverso.

Più di ogni altra cosa sono pigra. E aspetto solo perché è meno faticoso di cercare.

Non ho un cane perché sono troppo pigra per portarlo giù a pisciare. Non fumo perché sono troppo pigra per andare a comprare le sigarette.

Adesso mi è finito il caffè, ma sono troppo pigra per andare a comprarlo.

Mi faccio un tè. A me fa schifo il tè, ma sono pigra.

Più di ogni altra cosa sono pigra.

Quindi bevo il tè e aspetto la tua telefonata. Se non chiami tu, io non lo farò.

Più di ogni altra cosa sono pigra. Però sono anche un po’ stronza, mi dispiace.

Metà mela #2

Arriva quel momento in cui, dopo mesi tormentati, non sei più la ragazza disperata per la fine di un amore, ma sei semplicemente la ragazza single. Singol.

E forse non sei più nemmeno tanto ragazza, perché le enta candeline le hai già spente e non hai più la riduzione giovani over 26 da un pezzo e succede che i camerieri e le commesse dei negozi ti chiamino signora e a te, ogni volta, verrebbe voglia di gridare come la Bertè che tu col cavolo che lo sei, una con tutte stelle nelle vita.

Arriva il momento in cui il passato, anche recente, non regge più come alibi e tu hai bisogno di rimetterti in gioco, con i tuoi numerosi coupon per vari trattamenti dall’estetista, con i vestitini nuovi che speri ti tolgano quattro o cinque anni, con i corteggiatori improbabili, con le amiche sposate che ti dicono vedrai vedrai, poi lo troverai (ancora) il vero amore.

Che, poi, la singol over trenta spera sempre nei ritorni, sogna sempre il lieto fine e non arriva mai, mai, e quindi lei decide di occupare le attese e tesse e disfa la tela, come Penelope, ogni sera, con il gatto, con la tazza di tè, con un libro, con gli uomini di passaggio, che dopo i trenta non conti nemmeno più, come facevi a vent’anni che annotavi le tue conquiste e dicevi dai, tutto sommato sono una che ha vissuto e poi facevi i confronti con le amiche e ti dicevi quanti uomini devo aver avuto per essere una che si è divertita? Venti? Trenta? Cinquanta? Ottanta?

Dopo i trenta, se sei singol, perdi il conto o lo azzeri, diventi selettiva o bulimica, prendi solo il meglio o solo il peggio, non racconti più a nessuno le tue avventure, non sperimenti nemmeno tanto, hai solo voglia di una discreta qualità, di un’ottima igiene, della cena pagata, di riservatezza, di pochi, pochissimi, rompimenti di coglioni.

Dopo i trenta, le singol comprano la macchina, perché hanno bisogno di andare all’Ikea e il fidanzato sherpa non c’è più e gli amici di letto si dileguano, quando è ora di caricare sulla Panda l’ennesima Billy.

Poi arredano casa con precisione e sciatteria insieme, puliscono freneticamente, ma solo quando hanno voglia, non cucinano più, e se cucinano lo fanno per trenta, quaranta persone e poi congelano e bevono un bicchiere di vino ogni sera e poi chattano con le amiche, con gli amici e poi escono negli orari più assurdi e smettono per sempre di dare consigli sentimentali e alcune leggono gli oroscopi, altre bevono troppo oppure smettono di mangiare carboidrati e poi gli amici in coppia le invitano a cena perché hanno “qualcuno di perfetto da presentarti” ed è sempre qualcuno con cui non uscirebbero nemmeno se avessero battuto la testa, ripetutamente, contro lo spigolo della porta.

Arriva quel momento in cui, dopo mesi tormentati, non sei più la ragazza disperata per la fine di un amore, ma sei semplicemente la ragazza single. Singol.

Alcuni ti dicono di non avere fretta, altri ti dicono che è già troppo tardi. Tu non fai altro che imparare a stare bene con te stessa. Ti innamori dieci volte al giorno, non esci mai senza il tuo iPod, flirti in palestra, sul lavoro, al supermercato, sorridi perché hai scoperto che fa bene, impari a non lamentarti con i tuoi amanti, cambi taglio di capelli ogni due mesi, spendi tutti i tuoi risparmi in luce pulsata, ti accorgi che si può stare bene, basta non confondere i nomi degli amichetti.

E finalmente hai un sacco di spazio in più per tutte le tue scarpe.

Una coca cola agitata troppo

Tu li hai mai avuti quei momenti in cui ti mancano tutti, le persone del passato, gli amori mai nati, gli amici scomparsi, quelli che si sono allontanati, quelli che hai allontanato tu, i nonni che hai perso, i genitori, i gatti che non hai più, i compagni di viaggio, quelli di scuola, le colleghe simpatiche, i vicini di ombrellone, gli sconosciuti con cui hai fumato e chiacchierato fuori dai locali, le cugine con cui passavi tutti i giorni dell’infanzia, i professori con cui hai studiato, le bocche che hai baciato?

Tu li hai mai avuti quei momenti in cui ti mancano i posti, quel caffè tutto nostro a Venezia, l’osteria preferita, il bistrot parigino in cui ordinavo sempre bordeaux, la casa col terrazzo a Napoli, la prima stanza in affitto a diciannove anni, il binario del treno in cui mi hai baciato sulla fronte, quel ristorante dentro un mulino, la spiaggia di Jericoacoara, il deserto egiziano, quel piccolo parco a San Pietroburgo in cui mi sono sentita dire “non ti amo”, quel banco in prima fila alle lezioni di arabo?

Tu non li hai mai avuti quei momenti in cui si mescola tutto quello che hai dentro e poi viene su, come una coca cola agitata troppo, che poi esplode e ti bagna e ti lascia tutte le mani appicciccate?

Io ci nuoto spesso in quei momenti lì e forse è la neve, forse è il tramonto grigio, forse è il silenzio o quel libro malinconico, ma oggi mi manca un’intera vita.

Per fortuna, non mi manca una buona bottiglia di Chianti.