Cosa sta succedendo

Due giorni fa ho preso il trenino che porta all’aeroporto grande. Non dovevo prendere nessun volo. Mi sono messa a passeggiare tra la gente in coda ai check-in, ho sfogliato le riviste nell’edicola, ho ordinato un caffè, ho guardato la gente che trascinava bagagli e controllava l’orario dei voli. Mi sono seduta ad aspettare, non sapendo cosa aspettare, un arrivo, un ritorno, una fuga, un’illuminazione. Ho fatto un giro per i negozi ed erano tutti gentili con me. Nessuno immaginava che io non dovessi partire. Però io lo sapevo e mi sentivo in colpa. Perché anche i non luoghi fatti per non farti sentire a disagio ti ricordano che non hai altrove da raggiungere. Poi ho fatto la fila alla toilette, mi sono lavata le mani, ho comprato un dolcetto, ho parlato con un addetto alle pulizie. Ho fissato l’orologio grande e ho deciso di tornare a casa. In treno ho letto un bel libro. Tornare a casa è stato come rientrare da un viaggio. Credo mi abbia fatto bene.

Oggi parto per Alba, dove incontrerò degli amici, berrò, berrò, berrò e poi, domani, insieme alla mia socia, terremo una lezione di piazza di Stiletto Academy (Piazza Falcone, ore 17.30).

Poi ci sarà il primo maggio e recupererò il lavoro arretrato, sempre ringraziando tutte le divinità del mondo di avere ancora un lavoro.

Il 5 e 6 maggio, allo Sheraton Malpensa ci sarà il nostro primo evento per spose, “Sì, mi voglio”.

Subito dopo mi chiuderò in casa a scrivere. Fino al giorno in cui tornerò in aeroporto. Ma stavolta per partire.

Questo è quello che succede. E, adesso, scusatemi, vado a bere il caffè.

Metà mela #3

Sono singol da un anno esatto.

Non è stato un anno molto divertente. Sì, sì, ho scritto, viaggiato, sono stata in TV e in radio, sono dimagrita, ho rivisto vecchi amici, ho fatto lavori belli, ho cambiato città, ho cambiato taglio di capelli, poi ho cambiato taglio di capelli, poi ho di nuovo cambiato taglio di capelli.

Poi ci sono stati gli uomini. Quando torni singol dopo tanti anni (e dopo i trent’anni) ti ritrovi selettiva, pigra, esigente, un po’ alcolizzata e meno zoccola di quanto tu e soprattutto gli altri possiate sperare.

Incontri uomini fidanzati, vai a letto con uomini fidanzati, lasci perdere gli uomini fidanzati. Poi incontri uomini sposati, vai a letto con uomini sposati, lasci perdere gli uomini sposati. Poi incontri i ventisettenni, a volte ventottenni, a volte ventiseienni. I ventisettenni, a volte ventottenni o ventiseienni, hanno l’entusiasmo, escono e bevono tutte le sere, hanno amiche che hanno dieci anni meno di te, hanno sempre voglia di fare sesso, dividono la casa con studenti, non guardano mai la TV, non parlano di politica e soprattutto non hanno una compagna che “amano moltissimo, ma non c’entra niente con questa mia storiella con te”. Fino al giorno in cui ti dicono “sono vecchio, tra un po’ avrò trent’anni e metterò la testa a posto”. Allora lasci perdere i ventisettenni-ventottenni-ventiseienni.

Poi ci sono i ritorni di fiamma. Di solito sono stempiati e hanno la pancia. Ma in nome dei vecchi tempi ci fai un giro, perché la nostalgia sa essere un forte afrodisiaco. Fino a quando non iniziano a dirti che sei cambiata, che a venticinque anni li avresti sì accompagnati in un club di scambi, che loro speravano che, che comunque sei ancora fica, però cos’è questa cosa che non ti basta una pizza d’asporto, davvero sei diventata così sofisticata?, ma ti ricordi che lo facevamo sempre in macchina?, cos’è questa storia che adesso serve il letto?, lo sai che c’è crisi, che non c’è una lira, ti ho detto che sono depresso?, la senti ancora quella tua amica dalle tette grandi?. Allora lasci perdere i ritorni di fiamma.

Poi capitano i grandi romantici e quelli un po’ ti fottono, ma tu hai ancora addosso tutti i cocci di una vita passata, hai appena tolto le foto di lui da portafogli, non riesci a lasciarti andare, pensi troppo, non ti piaci, non ti fidi. Ti lasci corteggiare e non ne sei convinta e aspetti e prima o poi arriveranno di nuovo le farfalle nello stomaco.

Qualcuno lo tieni, altri li abbandoni. Hai le chat di whatsapp sempre aperte. Ne prendi tre alla volta perché ti diano quello che cerchi in uno. A volte resti a casa a bere con le amiche.

Ogni tanto ti piace uno. E allora tutto sembra diventare bello. Però è proprio un caso rarissimo. Magari ha l’età giusta, fa il lavoro giusto, si veste nel modo giusto, dice le cose giuste, ha il sorriso giusto. Di solito ha appena iniziato a uscire con una tua cara amica. Ma tu aspetti. Non hai poi niente di meglio da fare.

L’importante è farsi trovare depilate, quando verrà il giorno.

 

 

Che poi non è

Ogni tanto qualcuno mi dice sei cambiata, non sei più quella mangiauomini senza cuore, non sei cinica, sei forse meno brillante, meno strafottente, meno carismatica. Allora io penso che si possa cambiare sempre, anche superata l’adolescenza, che possiamo essere altri da noi in ogni momento, quando prendiamo martellate sui denti e sul cuore, quando siamo stanchi, quando la vita ci cambia attorno, quando vogliamo conoscere sapori nuovi, quando non ce la facciamo più, quando gli altri ci abbandonano.

Ieri ho preso un treno che non arrivava da nessuna parte e mi sono messa a leggere quel libro tanto bello che non riesco a finire. Fuori dal finestrino era tutto così brutto che avevi voglia di osservare il panorama dentro. A volte penso a quando prendevamo insieme il treno e poi a tutti i treni della mia vita, quelli per scappare e quelli per tornare. C’è un sacco di vita in attesa sui treni.

E lo so che non sono più la stessa, non importa. Chi non si trasforma spesso muore. E chi resta sempre uguale mi spaventa, chi non ha le budella che si mescolano e creano nuovi dentro.

Stamattina non piove più, ma siamo stati presi in giro. Avevamo scambiato per primavera una cosa che non lo è. Come quando incontri un paio di occhi e ti sembrano quella cosa là. Che poi non è. E ci rimani anche un po’ male. Ma poi ti infili un golfino e aspetti. Non può piovere per sempre. Perché altrimenti vaffanculo.

Allora vivo

Ho usato un sacco di metafore per raccontare quello che mi è successo nell’ultimo anno. Ho scritto tantissimo, ma proprio tanto, su me stessa, i miei sentimenti, le paure, le ansie, le attese, i ricordi, i progetti, le speranze.

Il blog è un diario, è una pagina bianca in cui metti te stesso, ma per me non era mai stato così. Era una vetrina per Dania, per i suoi pensieri sulla satira, sul precariato, sul sesso, sugli uomini.

Il 24 aprile 2011 è il giorno in cui sono morta. È una data che segna un prima e un dopo. È una data che alla fine ho scelto, dopo mesi in cui sbattevo la testa contro i muri, digiunavo, piangevo sempre, sempre, non parlavo mai o parlavo troppo, ero chiusa in una casa con un silenzio assordante. È la data in cui non ce l’ho fatta più e ho deciso che non potevo essere ancora io.

È passato un anno e mi sono successe molte cose, belle e brutte, piccole e enormi, crudeli e dolci. Ho scritto un libro sull’amore, in gran parte raccontando quello che avrei voluto dicessero a me, ho lavorato in TV, pur non avendo età e aspetto televisivi, ed è stata una bellissima esperienza. Ho girato l’Italia con Stiletto Academy, ho conosciuto amiche che adesso sento tutti i giorni e delle quali non potrei più fare a meno. Sono stata insultata, presa in giro, allontanata dagli amici. Sono stata ferita, in modi meschini, sono stata fregata (e qui parlo -ahimé- di soldi), usata, abbandonata ancora e ancora. Nei periodi in cui sei fragile ci sono due tipi di persone che ti stanno accanto: quelli che fanno di tutto per sorreggerti e quelli che fanno di tutto per affossarti. Succede per tutti. Io avevo anche questo enorme sfogo dei Social Network e Dania si è messa da parte ed è arrivata Daniela, e mentre Dania non sbagliava un colpo, Daniela ha fatto e detto cose imperfette, come me.

A un certo punto è finita una storia d’amore e ci ho messo del tempo per superarla. È passato qualche altro uomo, ma poi non si è fermato. Poi ho fatto le valigie, ho chiuso la casa a Padova, ricomprata a fatica, e sono venuta a stare a Milano.

Milano ha il grande vantaggio di non farti mai sentire estraneo. A Roma, a Napoli, se non sei nato lì non ti sentirai mai completamente del posto, mentre Milano è democratica, dà la cittadinanza a tutti. Sei di casa non appena hai i tuoi posti, quando vivi tutta la tua vita nel quartierino, quando eviti la corsa in via Torino o al Duomo nei giorni di punta, quando passi le serate in osteria in Porta Romana, quando conosci a memoria le linee della metro.

Allora mi sono trasferita qui e non è sempre bello. A volte ci sono gli amici, gli amanti, i parenti, le cose da fare, da vedere. Altre volte sei sola con te stessa e il gatto e vorresti scappare lontano, magari vedere il mare, salpare su un cargo battente bandiera liberiana e non tornare più.

Adesso vivo di espedienti, ho pochi lavori, pochissimi soldi, qualcosa da scrivere, un affitto, una coinquilina, solo amici a cui voglio bene, qualche uomo di passaggio e mai troppo giusto, qualche progetto che non ho la grinta di portare avanti, il mio blog.

Sono morta un anno fa e adesso un po’ rinasco, mi alleno, cambio pettinatura ogni due mesi, imparo a sorridere, non racconto più a nessuno i fatti miei, quando mi feriscono riparo con il cabernet, ho una terribile paura nel futuro, ma dicono che significa essere vivi. Allora vivo.

Disperati e belli

Oggi piove. Non pioveva così tanto da tempo. Milano con la pioggia è Milano, così umida e grigia, così sporca e lucida, così veloce e piena. La osservo dalla finestra e non ho voglia di uscire e il mio mondo è in uno schermo e non ho bisogno di docciarmitruccarmivestirmi per andare a lavorare.

Sono giorni disperati perché non riesco a fare quello che dovrei, non riesco a finire le cose, a scrivere, a pagare i debiti. Sono giorni disperati e belli, perché sono pieni di ritorni, di incontri, di parole e bicchieri di vino.

Ho camminato per chilometri e chilometri e poi il tempo è passato. Un tempo credevo di poter vivere di arte e talento, adesso inizio a credere che servano disciplina e metodo. E fortuna. Serve tanta fortuna.

Mi sono circondata solo di persone a cui voglio bene e che mi vogliono bene. Cammino ancora a zig zag per evitare gli ostacoli e per evitare te. Oggi piove e mi sento serena. Sono giorni disperati e belli. Meno male che ho l’ombrello.

Ne vale la pena

Mi sono fermata a pensare a quello che resta e quello che passa. Quello che resta riempie a malapena una stanza e poi quasi tutto il cervello e il cuore. Quello che passa è andato, a volte non ci penso nemmeno più.

Dormo molto perché è primavera e poi sogno e a volte ti sogno. Devo iniziare le cose nuove e procrastino, posticipo, trovo scuse, mi mento, mi arrotolo come un gatto sul letto e non ho voglia.

È tutto nuovo e Milano ha altri colori oltre il grigio. Sono senza un soldo e ho una strana fiducia nel futuro. Un anno fa ero morta e adesso cambio vita di continuo.

Tutto sommato, ne vale la pena.

Il pane come la Francia

Ho mangiato un pezzo di pane che somigliava alla Francia e mi sono ricordata di te.

Chi lo sa se poi ci siamo davvero voluti bene, in quei vent’anni splendidi e problematici, tra quelle pareti piene piene di libri e di ricordi non nostri.

Mi sono ricordata di te e poi di com’ero e cosa pensavo e cosa volevo, quando pensavo che non avrei mai lasciato il teatro e Parigi e gli amici e quella casa così bella e quei capelli corti come adesso che tu mi carezzavi prima di dormire.

Ho mangiato un pezzo di pane che somigliava alla Francia e non ho voglia di cucinare e continuo a bere caffè e a pensare a quello che dovrei fare, scrivere, finire, iniziare.

Sono senza un soldo, come allora, ma non sono più così giovane e non farò la cameriera in un bistrot per riuscire a pagare il nostro vino. Anche Milano a volte sembra essere magica, ma non ci troveresti i tuoi fantasmi. E poi chi lo sa se disegni ancora, se ancora hai la barba lunga, se ancora fotografi tutto quello che ti piace.

Stamattina ho perso tempo invece di lavorare e poi sono inciampata nei ricordi e non c’è sole e il cielo è grigio e non lo so, non ho voglia e sono in ritardo e il mio conto corrente piange e fuori c’è il mercato e forse farò due passi, forse andrò in palestra, forse ti cercherò per sapere come stai. O forse no.

Le cose piccole

Di un anno intero che è passato ricordo solo le cose piccole, i viaggi in treno sempre da sola, i libri letti, i caffè nelle case in cui ero ospite, quel paio di scarpe bello che mi faceva così male, i camerini troppo bui prima di andare in video, le parole scritte che tu non hai letto, le passeggiate con la musica nelle orecchie, le lacrime che sporcano di rimmel i cuscini, gli abbracci agli amici, il vento sulla spiaggia di Jericoacoara, quel pomeriggio da sola nel Marais.

Ricordo lo stomaco chiuso, l’alcol che cura, le attese che durano e durano e poi finiscono, il ticchettio della sveglia nelle notti insonni, i numerosi tagli di capelli diversi, la paura di fare tardi, la certezza che è ormai troppo tardi, è troppo tardi, è troppo tardi.

Dobbiamo essere pronti per le cose nuove, perché c’è molto, ma molto manca ancora, e tutto arriva quando sei distratto, quando stai guardando altrove e non sei pronto. E mi distraggo spesso e non so se cerco e se non cerco non trovo e quando arrivi non ti vedo e non so se è il tempo che passa senza chiedere il permesso o sono io che non so aspettare, ma ho molta fretta di tutto, di tutto.

Sono stata al mare e c’era il vento forte e il freddo e le onde alte e la sabbia che si alzava e che finiva tra i capelli e ho pensato che è bello quando tutto è agitato e tu speri che finisca, ma non puoi fare a meno di guardare, perché la furia ti attrae e mentre aspetti il sereno guardi l’acqua agitata e te la senti dentro. C’è ancora tanto mare in tempesta qui intorno e io lo osservo e mi si muove dentro e va tutto bene. Ho il frigo pieno e la birra e le cose da finire e quelle da iniziare, le pagine da scrivere, le città da rivedere, gli uomini che rimangono un po’, quelli che si fermano una notte e poi non li vedi più e ti sembrano porti in cui fermarti a fare il marinaio e poi salpare.

Di un anno intero che è passato ricordo solo le cose piccole. L’anno che verrà sarà quello delle grandi cose. Non fare tardi.