Vado a Cuba, fate i bravi

Domani parto per Cuba.
Volevo visitarla da tanti anni, ma poi il lavoro, i traslochi, la vita, le consegne, altri viaggi, compagni d’avventura andati ed altri ritrovati mi hanno distratta. Soltanto la bandiera americana che di nuovo sventola sull’ambasciata all’Avana mi ha fatto tornare in mente che ora o mai più.

Parto dopo aver consegnato il nuovo romanzo e aver dato disposizioni al compagno temerario su come accudire i gatti.

Per quindici giorni mi dimenticherò della rete, dei social, delle email, di whatsapp, del telefono e di questo blog, che ormai trascuro come un figlio troppo adulto.

All’inizio del mese di agosto, Malafemmena ha compiuto dodici anni. Non male, per un diario.

Ci sentiamo a metà settembre, cicloni permettendo.

Fate i bravi.

Tutta colpa di Chanel

Sono una sbadata.

Mi ero dimenticata di dirvi che da più di un mese trovate in libreria e in ebook Tutta colpa di Chanel, con questa bellissima copertina.

Tutta colpa di Chanel

Il libro è la raccolta dei primi due romanzi su Rebecca Bruni (Via Chanel n.5 e I love Chanel), una specie di ripassone per chi si forse perso le avventure della nostra Coco made in Italy. E per tutti quelli che me l’hanno chiesto, no, non è un romanzo nuovo. Non ancora.

Che significa ? Vuoi forse dire che hai cambiato idea e stai pensando a…?

Chissà! Magari a Natale potreste trovare una sorpresa in libreria.

Intanto godetevi ‘sta ventata di buon profumo. E buone vacanze!

Le frasi sul mestiere di scrittore che mi fanno schiumare di rabbia

(Considerato il grande successo, riporto anche qui il post sul mestiere di scrivere scritto oggi su Facebook, affinché non si perda per sempre nella serendipity zuckembergiana).

Le frasi sul mio lavoro che mi fanno schiumare di rabbia:

Ma tanto puoi scrivere ovunque, basta portarti dietro il computer!
No, perché, come per tutti i mestieri, hai bisogno di uno spazio dedicato, comodo, confortevole e silenzioso. E soprattutto che conosci e in cui ti senti a tuo agio. Non so scrivere sul divano di mia zia, nel baretto sotto casa o sul charter per Fortaleza. Io scrivo al mio tavolo di lavoro, nel silenzio.

– Ma se scrivi 10 ore al giorno, in una settimana hai finito il libro.
Se scrivi 10 ore al giorno, la maggior parte delle pagine sarà ahdjaduhaihdafuehnandahehakdnahdajdfhehifhfjhakdha perché l’attenzione creativa non dura per ore (dicono che oltre i 45 minuti hai bisogno di un break). Devi fare spesso pause, a volte fissi il foglio per un pomeriggio senza scrivere nulla, altre passi notti senza alzare mai le mani dalla tastiera. Se ci fosse una regola fissa ore di scrittura/pagine scritte, saremmo tutti Dostoevskij.

– Ma scusa, non ti dicono loro che storia devi scrivere?
Loro chi? Gli alieni? Gli spiriti? I Marò? Le storie sono una mia invenzione e sono l’80% del lavoro di uno scrittore. Come e cosa racconti vanno di pari passo e non importa se sono storie autobiografiche, storiche, inventate o rielaborate. Dovrebbero essere tue. Anche perché, che interesse avrebbe un editore a far pubblicare chi non ha niente da raccontare? Sarebbe un folle a inventare TUTTI i soggetti dei libri che pubblica. Oppure sarebbe un genio.

– Va be’, ma quest’anno hai scritto solo per tre/quattro mesi, il resto del tempo non hai fatto un cazzo.
Leggere, prendere appunti, viaggiare, parlare con la gente, intervistare, andare al cinema, studiare sceneggiature, discutere con editor ed editori, leggere ancora e poi leggere ancora fanno parte del lavoro. Una grande parte del lavoro. Poi ci sono quelli che scrivono una pagina al giorno, ogni giorno per tutto l’anno e gli altri, come me, che si chiudono in casa e in un mese e mezzo sfornano il libro, perché sanno mettere su carta tutto quello pensato e immaginato solo sotto pressione.

-Che significa che hai “il blocco”? Tu comincia e scrivere e poi la storia viene.
Sei un cretino.

-Ma si guadagna a scrivere libri?
Una volta per tutte e definitiva: non si guadagna a scrivere libri. Si guadagna a venderli. E su quello nessuno può esserne certo. Non è un modo per arricchirsi, a patto di non essere bravissimo o fortunatissimo. È un modo per vivere una vita bellissima, anche, magari, facendo la fame.