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Closer è un film bellissimo

Sono andata in palestra la domenica mattina. Non avrei dovuto farlo. Era affollata, c’era la fila per gli attrezzi, fila per gli armadietti, fila per docce, fila per phon. E poi i corsi erano di livello base, perché le sciure della domenica vengono in palestra truccate e non possono sudare.

In palestra mi guardo allo specchio, tantissimo, e a volte mi dico diomio, ma cos’è quella cosa?! e altre mi dico niente male, davvero niente male.

Penso di essere soddisfatta di quello che sono diventata.
No, non è quello che sognavo da bambina. Che poi, da bambina, cambiavo idea ogni tre mesi. Un giorno volevo essere un’archeologa, il giorno dopo una regina, poi una scrittrice, poi una ballerina, poi una delle sorelle Occhi di Gatto, poi un benzinaio.

Sono soddisfatta perché sono stata capace di cambiare, perché ho imparato a chiedere scusa, perché riesco ancora a pagarmi le spese, senza dover tornare in un ufficio, perché ho accettato il tempo che passa, perché ho tagliato i ponti con persone-cose-luoghi che mi rendevano una brutta persona.

Un tempo mi sarei logorata all’idea di non aver avuto di più. Adesso vivo con la certezza che dovrei essere io a dare di più.

Poi ho imparato una cosa difficile difficile che mi ha resa cintura nera del saper vivere. Ho imparato a dire di no.

No alle situazioni sgradevoli, no ai compromessi professionali, no alle umiliazioni per soldi, no alla ruffianeria, no agli impegni mondani pieni di gente che odio, no alle amicizie ipocrite e interessate, no agli appuntamenti con uomini ricchi e famosi, ma interessanti come la lettiera del mio gatto.

Sono soddisfatta perché ho superato le mie durezze e non ho più paura di dire ti amo per prima. Perché quello che lo dice per primo, si sa, è quello che si fa più male.

Non ho più paura, perché ho imparato che, quando incontri la metà esatta della mela, non puoi permetterti di perdere tempo.

Non c’è tempo da perdere, non c’è da riflettere, quando arriva quello giusto. Anche se dice che Closer è un brutto film. Non può pensarlo davvero. L’ha detto così, dai, per fare il macho. Closer è un film bellissimo. Deve ammetterlo. Magari ne riparliamo domani e anche dopodomani. In fondo, sono io la donna. Non può fare altro che rassegnarsi e darmi ragione.

 

È tutto. Anzi, no.

Il blog è migrato (finalmente) sul nuovo server.
Ringrazio tanto, tanto, tantissimo Andrea Beggi per il prezioso aiuto tecnico. Un giorno, questo salvatore del wordpress verrà ricordato nei libri di storia.

Tra qualche giorno partirà il Dania World Tour: 8 febbraio a Roma, 9 a Padova, dal 10 al 13 a Parigi, 14 e 15 a Roma, dal 16 al 18 a Padova, brevissima sosta a Milano e partenza il 19 febbraio per il Brasile, con rientro a Milano il 6 marzo.

Mi scuso con i creditori e, soprattutto, con la mia meravigliosa editor (sì, sto cercando di blandirti) per i ritardi che accumulerò.

Fatemi un fischio se la situazione in Italia precipita. Potrei decidere di restare nel Maranhão.

È tutto.

Anzi, no: l’amore è una cosa faticosissima. E fa bruciare molte meno calorie del Body Pump. Non sono mica sicura che ne valga la pena.

Il futuro è già iniziato da un pezzo

Ieri sera camminavo nella nebbia, rientrando da una cena con amici. Camminavo nella nebbia gelida, con i capelli gonfi di umidità e le dita ghiacciate, ascoltando la musica e pensando alle cose.

Pensavo che per me il presente è sempre stato una sala d’aspetto del futuro. Tutto sarebbe successo poi: la serenità, la felicità, i progetti, i traguardi, i successi, i soldi, la vita.

Mentre ero ferma al semaforo pensavo che ho sempre vissuto ora come se il domani sarebbe stato meglio, pensando che un giorno tutto sarebbe stato perfetto, senza sbavature, senza fastidio, senza dolore, senza intoppi.

A vivere pensando al futuro, spesso non ti accorgi del presente. Lo senti, ti attraversa, ti invischia, ma non lo vivi davvero.

E se quello che aspettavo, per cui ho patito tanto, per cui ho atteso, per cui ho lottato, per cui ho perso e per cui ho vinto, fosse già qui?

Se questo fosse tutto? Se fosse arrivata l’ora di raccogliere e smettere di seminare?

Pensavo a queste cose, mentre camminavo nella nebbia, ieri sera, con le dita ghiacciate e i capelli gonfi.

E pensavo a quando mi hai detto che avremmo passato tutto il futuro insieme, fino a diventare vecchi.

Ecco, non so come dirtelo… il futuro, il nostro futuro è già iniziato da un pezzo.

 

Quella cosa che mi manca

Sento che mi manca qualcosa. La cerco ovunque. Scaricando email, rovistando nell’armadio, sfogliando libri, passando per le strade che abbiamo attraversato insieme.

Cerco quella cosa che mi manca e non so dov’è, come quando non trovo quella borsa che mi piaceva tanto, come quando non so dove sono finiti i guanti, dove ho lasciato gli occhiali, dove ho messo le chiavi. Quella cosa che mi manca e che adesso è la più importante, quella fondamentale.

In questi giorni c’è la nebbia e l’umidità gonfia i capelli e appanna i vetri e ti fa sentire più grigia del solito. Indosso stivali caldi e quintali di mascara. Mi proteggono dall’inverno.

Sento che mi manca qualcosa. Apro i cassetti, chiamo gli amici, rileggo cose lette centinaia di volte, bevo vino, mi tuffo nei saldi, mi chiudo in palestra.

Da qualche parte devo averla messa. Da qualche parte al sicuro. Quella cosa che mi manca e che conosciamo solo io e te.

Io e te.

Ci puoi scommettere

Tra pochi giorni sarà il mio compleanno.
Non mi è mai piaciuto invecchiare. E non mi piace festeggiare subito dopo il tripudio natalizio, capodannesco e dell’Epifania.
Non amo invecchiare, ma quest’anno mi sembra più accettabile, meno crudele.

Dicono che succede quando diventi adulto.

Ho capito delle cose, ultimamente. Delle cose che erano lì, a ronzarmi nella testa da anni, ma che sembravano distanti, criptiche, complicate, inopportune.

Ho capito che ci sono stagioni della vita e sono tutte belle e impegnative ed emozionanti. Ma bisogna saperle accettare. E a me non andava proprio a genio di lasciare andare i vent’anni, così comodi, così ribelli, così leggeri, così appassionati.

Un giorno ti svegli, ti guardi intorno, e hai costruito delle cose. Non tutte reggono, non tutte funzionano. Il lavoro va e viene e ti angoscia, ti mortifica, ti dispera o ti gratifica sempre di più. I tuoi amici hanno fatto dei figli, hanno comprato automobili grandi, hanno iniziato a fare le ferie in montagna o al lago, passano le sere a guardare reality in TV. I tuoi genitori sono invecchiati, ti chiamano in continuazione per delle sciocchezze, ripetono sempre le stesse cose, diventano meno indipendenti, hanno più bisogno di attenzioni.
Non fa male essere cambiati, essere cresciuti. Infilarsi a letto il sabato sera a mezzanotte sembra quasi una conquista: non devi più dimostrare niente, non devi più aggredire il mondo, non devi più trasgredire.
Anche se poi lo fai quando ne hai voglia e con più stile e con più classe e con più lentezza.

Non so esattamente cosa volessi dire.

Non credevo che la mia vita sarebbe stata questa. Poteva andarmi peggio.
Ho passato tanti anni ad avere fretta. Sempre di corsa. Sempre di corsa.
Avevo fretta di vivere, di provare, di sentire, di fare tutto tutto, di rompere gli schemi, di andare oltre le regole.
Sempre di corsa. Sempre di corsa.
A volte arrivavo prima. E magari il portone era chiuso e dovevo comunque aspettare che qualcuno mi venisse ad aprire.

Per colpa di desideri o di ambizioni sbagliate, ho passato tanto, troppo tempo, circondata da persone che non mi hanno fatto bene. Ho usato parole belle che si sono consumate in fretta e allora mi sono nascosta nelle parole brutte, violente, faticose.

Sono scappata innumerevoli volte e non sono tornata quasi mai, perché ho sempre considerato i ritorni dei fallimenti.

Adesso sono adulta e capisco e non ho fretta e aspetto e scelgo. Soprattutto scelgo. Le persone, i colleghi, i posti, gli affetti, l’amore.

Anche l’amore diventa diverso, quando non hai più vent’anni.

Ho desiderato tutta la vita uomini che non potevo avere o uomini che fuggivano o uomini tormentati, strambi, eccentrici, figlidiputtana.

Ho passato la vita a cercare l’uomo che mi facesse vivere continuamente con le farfalle nello stomaco, che mi dicesse no, no, non posso, non voglio, non voglio stare con te, non posso stare con te. Un passo avanti, due passi indietro. Un passo avanti, due passi indietro.

Non so perché l’ho fatto. Per sfida, per paura, per desiderio. C’è così tanta passione nelle storie difficili! Non sarebbe bello vivere in un romanzo di quelli incasinati, ma che, poi, finisce bene?

Ho passato la vita a cercare la metà della mela. Perfetta. Precisa. Ho fatto un po’ di strada con uomini speciali, ho costruito castelli, case, sogni, desideri. Poi è tutto finito.

Passi tutta la vita a idealizzare l’uomo giusto, il principe azzurro, l’artista bello e dannato, e poi ti innamori di un esattore delle tasse o di un maestro elementare o di un metallaro quarantenne dai capelli lunghi.

L’amore è la cosa più ridicola e bella che ti possa capitare.

Alla mia età lo accetti e impari.

Impari che non è necessario riempire i vuoti e avere fretta e accontentarsi e rinunciare ai propri sogni e mettere le ambizioni e i desideri in un cassetto.
Impari che se non credi in te stesso, nessuno crederà in te, che se non impari a stare da solo, nessuno starà bene con te, che se non impari a godere delle cose che hai, non sarai mai sazio.

Tra pochi giorni è il mio compleanno.
Ho quasi capito cosa voglio fare da grande.
Ho capito che non bisogna dare agli altri illudendosi che un domani diano a te.
Ho capito che c’è ancora tanto lavoro da fare.
Ho capito che l’unico amore per cui vale la pena di lottare è quello che ti dice “voglio stare con te. Anche se fa paura, fa male, è difficile, è complicato, io voglio stare con te”.
Ho capito che tutto passa.
Ho capito che senza di te spariscono i colori.
Ho capito che nei fine settimana Milano si svuota.
Ho capito che sarà un grande anno. Il migliore.
Ci puoi scommettere.

Cose che mi ha insegnato il 2012 e che spero di ricordare a lungo

La prima regola per non soccombere è imparare a dire di no.

Le occasioni si presentano sempre quando sei disposto a cambiare strada.

La notorietà è effimera. Conta molto più chi sei di quello che sembri essere.

Le storie che hai dentro sono tutte importanti, soprattutto se sei pronto a raccontarle.

Non pensare ai tuoi successi come a traguardi, ma come a punti di partenza.

Se non sei in grado di gioire del successo e della felicità altrui, non sei pronto a meritarti il meglio.

Gli amici veri non chiedono, non pretendono, ascoltano, capiscono, sorridono, abbracciano, ridono. E ti fanno il culo quando stai sbagliando.

Sforzati di esserci, quando gli altri hanno bisogno di te. Fallo sempre.

Non importa l’età. Continueremo, tutta la vita, a innamorarci come adolescenti.

L’amore non basta. No, non basta. Ci vogliono presenza, gioco, desiderio, comprensione, compromessi e pazienza.

Il tempo cura davvero tutte le ferite.

Non è mai troppo tardi.

Non è mai troppo tardi.

Non è mai troppo tardi.

E questo mi basta

Se avessero ragione loro, i Maya, e domani finisse davvero tutto, il mondo e tutta, tutta la vita, non mi dispiacerebbe poi tanto.

Perché sono piena di debiti che non vorrei saldare.

Perché sono senza lavoro e non mi piace lavorare.

Perché devo pulire casa e detesto fare la massaia.

Perché non ho voglia di farmi la ceretta.

Perché odio le feste e non ho comprato i regali di Natale.

Perché non voglio vedere gli italiani votare di nuovo un uomo di merda.

Perché sono stanca di invecchiare.

Perché ti ho detto “sono innamorata di te” e tu hai risposto “anch’io”. E questo mi basta.

Non piove quasi mai

L’autunno non mi piace. Mi massacra, mi appesantisce. Dormo molto e non mi riposo mai. Mai.

Mi sveglio la mattina con le occhiaie. Mi trascino in cucina per farmi il caffè, con gli occhi ancora chiusi. Il gatto mi fa le feste e io grugnisco.

Sono stanca e faccio cose. Un sacco di cose. E penso. Ma non molto. Non come dovrei.

Vado in giro. Per la promozione del libro. Per lavoretti. Per fare l’opinionista che significa sedersi davanti a una telecamera e dire la tua. Che di solito è una cosa molto poco interessante. Forse nemmeno brillante. Non sono mica tanto brillante d’autunno.

Mia mamma dice che col trucco giusto e le luci giuste sembro quasi caruccia. Mia madre. Ecco.

E io ancora penso che sia molto buffo che mi sia ritrovata a scrivere d’amore. Io. Cioè, proprio io. Ci avresti mai creduto?

Faccio un sacco di cose che mi capitano anche un po’ per caso e sono sempre stanca e vado in palestra quasi tutti i giorni e mangio sano, tranne quando mi abbuffo come se il mondo dovesse finire domani, e il mondo finisce spesso domani, molto spesso.

L’autunno mi massacra, ma non importa. Sto iniziando a parlare come te. E rido per le cose che farebbero ridere te. E penso a tutte le cose che vedo e alle persone che incontro e vorrei che le vedessi anche tu. Non ti piacerebbero. E penso che sono veramente stanca, anche se dormo un sacco. E non capisco se sia più estenuante l’autunno o l’amore. Forse tutte e due. Ma almeno, nell’amore, non piove quasi mai.

Play it again, Sam

L’altro giorno sono uscita con gente giovane.

Anche io sono giovane, ma era gente più giovane. Gente che ricorda ancora cosa ha detto all’esame di maturità, gente che ha festeggiato da poco gli ‘enti, gente che solo per un pelo è riuscita a guardare Bim Bum Bam.

L’altro giorno sono uscita con gente giovane e ho detto “ai miei tempi”. Come se questi non fossero i miei tempi. Come se fosse già tutto finito, ti ricordi com’era?, ah, com’eravamo migliori di questi qui che ai loro tempi nemmeno sanno com’erano i nostri tempi.

Insomma, ai miei tempi si ascoltava la musica con le cassette. Quelli prima di noi avevano i dischi di vinile, noi no, le musicassette. Fragili, deperibili, meravigliose cassette. Noi registravamo le compilation, non come si fa adesso che selezioni i file da iTunes et voilà, senza fatica, senza sbattimento.

Noi avevamo gli stereo con due scomparti per le cassette e mettevamo da una parte quella vergine (da 45, 60 o da 90 minuti) e dall’altra quella con la musica e premevamo REC e PLAY e registravamo e poi interrompevamo col dito appena era finita la canzone che ci interessava e nelle cassette delle compilation c’era sempre qualche secondo di silenzio tra una canzone e un’altra oppure si accavallavano, oppure si interrompevano a metà, quando registravi direttamente dalla radio.

Quando volevi ascoltare proprio quella canzone lì, mandavi avanti la cassetta e poi indietro e poi avanti e non beccavi quasi mai il momento giusto, quindi ascoltavi quasi sempre un po’ della canzone prima o dopo.

E quando finiva il lato della cassetta, dovevi tirarla fuori e girarla, a meno che tu non fossi uno di quei maledetti fortunati con l’autoreverse. E quando uscivi, se volevi più di un disco alla volta, dovevi portarti dietro più cassette, che durante le ore di storia e di latino avvolgevi con l’aiuto di una matita, per non consumare le pile del walkman.

Adesso ho un telefono che fa le foto, che fa i video, che archivia, che manda le e-mail e che riproduce la musica. Tanta musica. Così tanta che se fosse in cassetta dovrei andare in giro col trolley per portarla dietro.

E il telefono ha questa funzione bellissima che è la riproduzione casuale. Decide lui che canzone farti ascoltare in quel preciso momento. Un po’ come se creasse per te una cassetta-compilation nuova ogni attimo, sorprendendoti, irritandoti o commuovendoti.

Ai miei tempi tu non c’eri, ma stamattina l’iPhone, mentre correvo all’ennesimo treno e pensavo che tutto non va mai come deve andare e che l’inverno mi fa paura e che le cose rotte, quando si aggiustano, restano con le crepe e che bisogna davvero essere adulti e forti, l’iPhone, dicevo, stamattina ha scelto per me quella canzone che ti somiglia, ci somiglia. E io ho rallentato il passo e ho pensato cazzo! è un segnale, una coincidenza, è così che dovevano andare le cose, era destino, non potevano andare altrimenti, non potevano andare altrimenti, non potevano proprio.

In questa riproduzione casuale c’era un destino, era come se il regista di questa mia maledetta vita avesse scelto perfettamente la colonna sonora dei pensieri di questa mattina nella stazione di Torino Porta Nuova.

Quella canzone apparsa per caso mi ha fatto capire che c’è qualcosa di drammatico e crudele nelle scelte giuste, che non bisogna mai accontentarsi del troppo poco, ma pretendere il meglio, che non bisogna mai aspettare chi non è disposto ad arrivare, che non bisogna mai avere paura di chiedere di essere amati di più, di più, di più.

Ai miei tempi facevamo le cassette e ce le regalavamo e coloravamo le copertine con l’Uniposca e scrivevamo le dediche sugli adesivi da attaccare alla plastica.

Erano tempi belli, i miei tempi. Sono belli anche adesso, questi tempi qui, dove a volte ci siamo incontrati e siamo stati vicini e sembravano davvero momenti perfetti, riprodotti chissà come, così, in maniera casuale.

Domani mattina

Quello che ci frega è che abbiamo tutti e due un passato.

Abbiamo vissuto tanto e visto e viaggiato e provato e assaggiato. Abbiamo pianto tutte le lacrime del mondo e goduto e ferito e siamo fuggiti e siamo tornati. Abbiamo seppellito i nostri padri sbagliati, distratti, crudeli e lontani. Abbiamo pianto amici che non ci sono più. Abbiamo detto mille volte ti amo e mille volte è finita. Abbiamo lavorato e fatto cose che ci hanno resi migliori e cose che ci hanno resi brutti e cinici e meschini e piccoli. Abbiamo detto basta e abbiamo detto ancora.

Sono adulta da una vita. Lo sono diventata troppo presto. Succede. E non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto perdermi la spensieratezza e il disimpegno e i capricci e i sogni leggeri e stupidi.

Sono adulta da una vita e ho già imparato tanto e sono caduta tante volte e mi sono rialzata quasi sempre e qualche volta sono rimasta a terra ad aspettare, ad ascoltare le voci distratte intorno a me che si allontanavano, a darmi la spinta per riportare le spalle in alto.

Sono la somma di tutte le cose che ho vissuto, di tutte le cose che ho imparato, di tutte quelle che ho dimenticato. Sono l’insieme del bello che ho incontrato, dei sorrisi, delle carezze rubate, dei baci, delle urla disperate, dei silenzi, degli occhi lucidi, degli schiaffi, del dolore.

Quello che ci frega è che abbiamo tutti e due un passato e fantasmi e scheletri e zaini pesanti sulle spalle e parole lasciate in sospeso e bisogni inconfessabili e paure e desideri.

Quello che ci frega è che il passato non possiamo cambiarlo. Non ce la possiamo fare.

Possiamo cambiare il futuro.

Magari ci proviamo domani mattina.

L’umidità

Quelle giornate in cui il cielo è bianco vorresti soltanto rimanere a letto e rigirarti tra le lenzuola e non aprire gli occhi, fino a quando non fanno male i muscoli o devi fare la pipì, e restare fermo, nel dormiveglia, a pensare e sognare, sognare e pensare.

Quelle giornate umide e grigie, come oggi, come forse l’altro ieri, non sono fatte per vivere, sono fatte per resistere, sono fatte per escogitare una fuga, sono fatte per sopravvivere.

Così cammino poco, leggo, scrivo, però lascio a metà le frasi, rileggo dieci volte le e-mail prima di spedirle, prendo il telefono, provo a chiamarti, poi prima del primo squillo metto giù. Ti chiamo dopo. Anzi ti scrivo.

È umido. Il gatto dorme da ore. Ho rotto quella regola che mi ero imposta di non bere più caffè il pomeriggio, dopo le sei.

Ascolto una canzone, ma la interrompo a metà. Preferisco il silenzio, oggi. E il rumore lontano della strada che entra dalla mia finestra al quinto piano.

È umido. Ho i capelli gonfi. Tu non rispondi. Ti scrivo ancora. Poi conto fino a cento. Poi ti chiamo. Faccio solo tre squilli. Se non rispondi metto giù. Se rispondi, ti dico che mi manchi.

E poi aspetto che faccia buio buio, chiudo la finestra, accendo la TV e guardo e penso e mi addormento sul divano, senza dire una parola.