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La mia storia con internet

Mi hanno chiesto di raccontare “la mia storia con internet” in un’intervista video e mi sono resa conto che, per moltissimi anni, è girata tutta intorno a questo blog.

Da quando nel 2003 ho aperto Malafemmena, prima su Splinder e poi su questo dominio, la mia vita è cambiata del tutto. Non è stato rapido, non è stato indolore, ma è stato un percorso emozionante, pieno di persone, di posti visitati, di parole scritte e di parole lette.

La mia storia con internet è una storia di passione e lacrime, come tutte le più grandi storie d’amore, con alti e bassi, fatica, fallimenti e soddisfazioni.

Non è più il mio tempo. Me ne rendo conto sempre più, perché questi sono gli anni degli influencer, degli youtuber, delle star vere con un seguito enorme, che nascono e restano online e non si limitano a trovare, come facevamo noi, una professione, ma diventano loro stessi un lavoro.
Eppure, nonostante sia una cariatide che ha assistito (e contribuito in minuscola parte) alla nascita del web in Italia, sento di avere ancora cose da fare. In piccolo, con il solito entusiasmo di sempre, con i miei tempi dilatati e il mio ristretto pubblico amatissimo.

Abbiamo un futuro pieno di possibilità e io voglio essere ottimista. La rete imparerà ad autoregolarsi e smetterà di essere lo sfogatoio di ogni frustrazione.
Resteremo chiusi nelle nostre bolle, ma riusciremo a renderle più variegate.
Smetteremo di cercare consenso a tutti i costi e torneremo a cercare relazioni.
Daremo un valore diverso al tempo passato a navigare, senza FOMO o dipendenze.
Inventeremo nuovi mestieri che ci daranno il pane.
E soprattutto smetteremo di aggiungere la gente ai gruppi di Facebook, senza chiedere il permesso, perché davvero non se ne può più.

P.S. Lo so, nel video sembro stanca e trascurata. È che in realtà lo sono davvero. Ma sono felice, non vi preoccupate.
P.P.S. potete raccontare anche voi la vostra storia, usando l’hashtag #lamiastoriaconinternet

Vado a Cuba, fate i bravi

Domani parto per Cuba.
Volevo visitarla da tanti anni, ma poi il lavoro, i traslochi, la vita, le consegne, altri viaggi, compagni d’avventura andati ed altri ritrovati mi hanno distratta. Soltanto la bandiera americana che di nuovo sventola sull’ambasciata all’Avana mi ha fatto tornare in mente che ora o mai più.

Parto dopo aver consegnato il nuovo romanzo e aver dato disposizioni al compagno temerario su come accudire i gatti.

Per quindici giorni mi dimenticherò della rete, dei social, delle email, di whatsapp, del telefono e di questo blog, che ormai trascuro come un figlio troppo adulto.

All’inizio del mese di agosto, Malafemmena ha compiuto dodici anni. Non male, per un diario.

Ci sentiamo a metà settembre, cicloni permettendo.

Fate i bravi.

Mancarsi

È bello ogni tanto esserci meno.
Meno al telefono, meno agli eventi, meno nella vita degli altri, meno sui social. Circoscrivere la presenza, limitarsi, usare meno parole e meno energie. Centellinarsi per ridarsi valore, per lasciare il tempo di elaborare l’assenza, per far sentire la mancanza.
Dimenticare per un momento la schiavitù del ci sono.

Si riscoprono molte cose quando si rimane soli con se stessi. Il rumore delle proprio parole, per esempio, e non solo quello della propria voce, il piacere del proprio corpo e non solo un corpo usato per piacere, il silenzio come musica, il territorio sconfinato dei piccoli spazi che ci appartengono.

Quest’estate è caldissima e crudele e io ci sono meno. Mi fermo nelle lettere dei prossimi libri e faccio un passo indietro.
Sarà bello ritrovarsi, dopo esserci mancati.
Ne sono sicura.

10 motivi per cui le liste di 10 motivi hanno successo

Impazzano su quotidiani online, siti, blog e social network. Sono le liste della qualunque, che ci insegnano a fare qualsiasi cosa, ci spiegano il mondo, ci aiutano a essere persone migliori.
Tutto in otto o, massimo, dieci punti.
Come nasce questa fissazione collettiva per l’enumerazione? Davvero possiamo ridurre ogni cruccio o dilemma a un elenco puntato? Perché abbiamo iniziato a ragionare per schemi?

Proverò a spiegarvi io il successo delle liste.
In soli 10 punti.

1. Tutti sanno contare fino a dieci. Anche gli analfabeti, i bambini, Salvini.

2. Il giornalista/blogger/redattore ci mette meno di 10 minuti a scrivere una lista e può dedicare più attenzione al suo vero lavoro in pizzeria che gli permette di pagare l’affitto.

3. Si leggono velocemente. Così hai più tempo per leggere altre liste.

4. Puoi sempre interrompere la lettura e ricominciare dopo aver servito queste quattro margherite al tavolo 2.

5. Sono spesso accompagnate da belle gallery fotografiche. A volte ci sono anche maschi muscolosi nudi. Non in questa lista, purtroppo.

6. Sono spiritose.

7. Ci fanno sentire ggiovani perché cello, cello, mimanca.

8. Sono piene di consigli utili.

9. Per togliere il cattivo odore dal frigo, basterà riporre all’interno una ciotola con dei fondi di caffè.

10. Quando finisci di leggerle, hai sempre voglia di condividerle sulla tua bacheca, aggiungendo il commento “tutto vero, tranne la 6”.

 

Non è davvero mai troppo tardi

Ogni età ha i suoi rimpianti.
Quando inizi a camminare, vorresti ancora le braccia di tua madre. Quando inizi a lavorare, ti mancano i pomeriggi di cazzeggio studio con gli amici. Quando convivi, ti manca il bagno che usavi da solo. Quando sei solo, rimpiangi qualcuno che ti porti il caffè a letto la mattina.
Ogni volta che finisce una fase della tua vita, pensi che le cose belle andate non torneranno più, che il tempo stia per finire, che il meglio è già tutto alle spalle.
E mentre cammini distratto, guardando indietro, non ti accorgi che c’è ancora una sacco di strada da fare. Tantissima. Emozionante. Faticosa, ma a volte in discesa. Bella.

Ho sempre vissuto con la sindrome da enfant prodige, soffrendo ogni volta che sentivo di aver superato l’età per alcuni traguardi, di aver perso alcuni di treni, di aver sprecato certe occasioni.
Poi, però, sono passati altri treni, sono arrivate altre possibilità, ho stretto mani diverse, ma altrettanto decisive, ho avuto nuove possibilità di scelta.

Non è davvero mai troppo tardi per vivere la vita che vorresti. Non quella che sogni senza contatto con la realtà (quella possono viverla solo i personaggi dei romanzi), ma quella che sei sicuro di poter affrontare con un po’ di coraggio, entusiasmo e incoscienza.

Dopo 12 anni lunghi di blog, Malafemmena ha cambiato ancora una volta abito, io ho cambiato di nuovo la testa, ho cambiato gusti, ambizioni, passioni, amori. Ho capito che oggi possono iniziare cose nuove. E anche domani. E domani ancora. E ancora e ancora.

Template 2012

(Grazie ai ragazzi di Pholpo, a Barbara e al mitico Andrea per il restyling del sito).

Prima di sparire

Sto scrivendo molto poco in questo periodo.
Non aggiorno il blog, non aggiungo pagine ai capitoli dei nuovi romanzi, non mando email agli amici.
Pur avendo tantissime idee, tantissimi progetti più o meno interessanti che mi si affollano nella testa, riesco a prendere solo qualche sintetico appunto su qualcuno dei miei confusi quaderni.

In questo periodo ho bisogno di nutrimento. Non quello di cui mi abbuffo quotidianamente, per poi lamentarmi con chiunque dei miei chili di troppo (ehi, a voi l’ho detto che sono a +5?), ma quello che serve a creare, inventare, ricostruire mondi nuovi.
Ho bisogno di alimentare quella macchinetta imperfetta che è il mio cervello e il carburante migliore sono le storie degli altri.

Mi sono concessa qualche settimana per rimpinzarmi di libri e film e telefilm e mostre e giornali e conferenze. Un tempo di apparente improduttività (avete notato che tutto ciò che non è fatturabile non è considerato né utile né benefico? Che reputiamo deprecabile tutto ciò che non produce un immediato guadagno, dimenticandoci che tutto ciò che c’è di sublime al mondo non è monetizzabile?) che scopro essere salvifico.
I libri mi hanno sempre salvato la vita. Non quelli pubblicati da me, che sono stati un gioco senza alcuna pianificazione, ma quelli in cui sono inciampata senza volerlo o quelli che sono andata a scegliermi con determinazione.
Sono giorni intensi, in cui fatico anche a rispondere al telefono, perché sono così occupata a scivolare tra una pagina e l’altra che ho paura di perdere il ritmo.
Ho sognato tutta la vita di potermi permettere qualche mese passato così, mesi in cui non avere l’ansia dell’affitto, delle bollette, del futuro, delle scadenze. Adesso che sta succedendo, ogni giorno mi sveglio con il terrore di non meritarlo, di non riuscire a farlo fruttare, di non essere mai in grado di prendere tutto quello che mi sta entrando dentro e trasformarlo in qualcosa di buono.

Ho sempre paura che le cose belle finiscano senza lasciare nulla. Però non accade quasi mai. Come quando te ne sei andato tu e pensavo che il mondo si sarebbe fermato e non ci sarebbero stati più i rumori e invece c’era ancora il battito costante del cuore che mi avevi riparato per bene, prima di sparire.

Una nuova copertina

Poco più di un mese fa, la mia dichiarazione di intenti: tornerò a bloggare come se fosse il 2003!
E mi ci sono messa, perché ho davvero voglia di farlo, di scrivere, di raccontare storie senza linea editoriale, senza sponsor, senza conteggio dei click, senza ansie da classifica. Così mi sono fatta una scaletta, ho preso appunti, ho provato.
Ma mi sono accorta che il contenitore non era più adatto al contenuto e non sono riuscita a scrivere tutti i giorni. Mi sono seduta davanti al monitor e no. Perché gli anni mi hanno reso una malafemmena diversa. Sono meno aggressiva (almeno esternamente), meno sarcastica (almeno interiormente), meno seducente a tutti i costi, meno tacco a spillo.
Come dicono i miei amici fumettisti, quando il tipo di carta non ti piace, ti viene meno voglia di disegnare.
Sto cercando una carta migliore per i miei pensieri virtuali.

Ho lanciato un appello per trovare un grafico che si accollasse l’onore di rifare il mio sito, che negli anni è passato dal naïf splideriano alla complessità wordpressiana, e credo di averlo trovato. Spero di poter avere a breve una copertina che mi somigli di più. Non più vecchia, eh, solo più “matura”.

Nell’attesa, aggiorno quando posso e lavoro al (ai) nuovo (nuovi) libro (libri).

Il resto sono solo parole.

 

Ed ecco la vera novità

Le mie vacanze brasiliane sono ormai un ricordo. Un bel ricordo, così lontano che quasi non sembrano essere passate solo due settimane.

Il nuovo libro, A noi donne piace il rosso, è uscito (potete comprarlo qui in ebook e qui in cartaceo). È un libro bello. Fossi in voi lo leggerei e poi lo regalerei a chiunque.

Milano è grigia come solo Milano sa essere. E a me piace. Mi piacciono le strade bagnate dall’umidità e dalla pioggia, i bar riscaldati pieni di gente, le enoteche con la musica bassa, in cui riesci a parlare senza urlare, i supermercati colmi di panettoni, i negozi del centro con le vetrine natalizie, le bancarelle in Duomo.

L’amore sta bene, mai stazionario, perché se lo fosse non sarebbe più amore, ché quel sentimento è una montagna russa, un altalena, una corsa a perdifiato, un giro di rock&roll.

La dieta non sta funzionando, i jeans non mi stanno più entrando e rinunciare ai carboidrati sta diventando una prova di forza.

E fin qui, tutto bene.

Ma la vera notizia, quella che wow, la decisione che cambierà il corso dei miei prossimi giorni, mesi, anni, che modificherà l’asse terrestre e l’attrazione lunare e gli orari dei treni, è che ho deciso di tornare a scrivere sul blog.
Nel senso di spesso, non come adesso. Di farlo tutti i giorni. Come undici anni fa. Come ai tempi in cui non c’era mondo senza blog, non c’era il mio mondo senza blog.
E non lo faccio per motivi commerciali, non divento una fashion/beauty/food/cosa/salcazzo blogger, non metto banner, non vi scrivo quanto è buono lo stracchino con un paio di anfibi griffati e il rossetto color mattone.
Voglio solo recuperare un rapporto con la scrittura più rilassato, meno – siete pronti per la parolona orrenda? – performante, che non preveda tot visite e clic per essere pagato, tot vendite per diventare un beSSeller, tot pagine per andare in stampa. Una scrittura anarchica, libera, indipendente, personale, non legata per forza alla cronaca, alla televisione, alla moda.
Voglio tornare a scrivere per me. Voglio raccontare le storie che mi passano per la testa, le mie idee, i miei pensieri. Senza linea editoriale, senza briefing del cliente. E ho capito che l’unica cosa che ho sempre scritto senza regole è stata Malafemmena.

Quindi rifarò una cosa che, spero, darà l’inizio al primo fenomeno di vintage blogging mondiale: tornerò ad aggiornare alla maniera 1.0.

Non è facile. Perché la vita è diventata più frenetica, perché ho sempre meno tempo ed energie, perché sono spesso in giro e perché devo e voglio continuare anche a scrivere per mangiare. E non è facile perché questo posto non è più quello di tempo e anche perché i lettori, voi, non siete più quelli di un tempo e adesso si sta su Facebook, si commenta su Twitter, si comunica su WhatsApp. Non voglio dire che siete invecchiati, eh, però… mi capite, vero? Vi ricordate che c’era un mondo, pochi anni fa, che non è più lo stesso?

Non sarà facile, ma una cosa che sento di fare, che mi sembra importante iniziare. Mi sembra bella. Per me. E faccio questo annuncio nella speranza che, se non dovessi mantenere l’impegno, anche solo una persona me lo faccia notare e mi motivi. Dopo avermi cazziato.

Oggi è il 1° dicembre ed è l’inizio del nuovo inizio.

Sono quasi pronta. Spero avrete voglia di fare ancora due chiacchiere con me. Sarete sempre i benvenuti.

Spengo e scrivo

Non aggiorno il blog da 33 giorni.

È finito Sanremo, abbiamo un nuovo presidente del consiglio, è arrivata la primavera, ho iniziato il corso di fitboxe, ho rimosso dall’iPhone quell’app conta calorie che mi stava togliendo il gusto di vivere, ho preso un chilo e sei etti (ma sono solo muscoli, eh…), ho un nuovo lavoro che mi impegna più di quanto avessi preventivato.

Ho cambiato orari e ritmi. E non sto scrivendo più. A fatica, lentamente. Ci sto pensando di più. Limo le pagine come se fosse miniature di una Bibbia medievale. Rileggo ad alta voce. Lascio perdere. Ci torno su. Mi dilungo. Cancello. Riscrivo. Passo le poche ore libere a guardare l’icona del file .doc, col nome del libro, e immagino come mi sentirò quando sarà tutto finito (e salvato in duecento copie, al sicuro).

Fare una cosa in cui credi davvero è molto più difficile di farne una di cui ti frega poco. Lo so, dovrebbe essere il contrario, e invece no. Quando in un progetto creativo metti tutto quello che hai dentro, i tuoi mondi, il tuo passato, i tuoi occhi, le tue idee, le cose immaginate, i viaggi che hai fatto, le fughe e i ritorni, le parole nuove e quelle a cui sei affezionato, le speranze, le visioni, hai sempre la paura di perdere tutto. Perché temi che, se fallissi con qualcosa che è tutto te stesso, non riusciresti più a fare altro.

È una cosa che succede spesso: scrivi un romanzo per gioco e hai fortuna, poi magari pubblichi il libro della vita e non se lo fila nessuno. Mettilo in conto. Metti in conto che quello in cui ti impegni di più potrebbe non piacere a tutti.

E dopo che l’hai accettato, impara a capire che il tempo non è solo un nemico, ma un alleato. Che la fretta da scaffale non è sempre la soluzione migliore. Che per raccontare questa storia che ti esplode dentro hai bisogno di più mesi, di più cose lette e viste, di più chiacchiere, di più bozze riviste e corrette, di più tentativi, di più incipit rimaneggiati. Che non sarà come i precedenti, con l’acqua alla gola, perché non ti perdonerai mai di aver tolto tempo a una cosa a cui tenevi davvero.
E impara anche che, però, a un certo punto devi darti una mossa. Che devi fare delle scelte, avere il coraggio di chiudere, di decidere, di terminare. E questa volta lo devi fare senza una data di consegna che ti metta il pepe al culo. Lo devi fare perché ne hai bisogno.

La benzina della mia esistenza è sempre stata il senso di colpa, misto ad un’altalenante disciplina.

Oggi, 26 marzo 2014, ho promesso che non avrei più tolto tempo alle cose con cui spero di lasciare il segno. Una mia rivelazione alla Jep Gambardella. Senza Roma sullo sfondo, ma con il pollo allo spiedo di Giannasi, in Porta Romana.

Mi sono fatta una promessa che spero di mantenere.

Quindi, adesso spengo il router e il telefono e scrivo.

Spengo e scrivo.

SpeCLICK

 

Il prossimo anno voglio essere felice

Non piacerebbe anche a te, certe mattine, che una voce fuori campo riassumesse il tuo passato come prima dei telefilm quando “nelle puntate precedenti…”?

Avevo voglia di raccontare, come ormai faccio da dieci anni, e di condividere gli ultimi dodici mesi, ma mi rendo conto che quest’anno ho fatto già tantissimi bilanci che ho vissuto un capodanno ogni trimestre. Ogni cambiamento è stato un inizio: i viaggi, gli addii, i successi e gli insuccessi, il lavoro perso, gli amici ritrovati.
Stamattina ho la sensazione che non sia l’ultimo giorno di qualcosa, ma l’ennesimo giorno meraviglioso e complicato di questo reality che si chiama vita.
Gli anni meno faticosi passano più in fretta. Il 2013 è stato forse un periodo di transizione. Sto meglio, molto meglio, rispetto a un paio di anni fa in cui tutto è andato a pezzi ed era impossibile anche solo alzarsi la mattina.

Ho lavorato poco. Il 2012 avevo guadagnato la metà esatta dell’anno precedente e quest’anno ancora un terzo in meno. Molto di quello che ho guadagnato non mi è stato ancora pagato. Vivo di prestiti, risparmi e speranza e, se non fossi così incosciente, se avessi una famiglia, dei figli da mantenere o anche solo un’automobile, se non fossi pronta ad arrangiarmi, sarebbe molto più drammatico. Ma siamo quasi tutti su questo barcone sgangherato e ci facciamo forza e sappiamo che qualcosa prima o poi cambierà. E se è vero che non sempre abbiamo fatto abbastanza per lavorare di più e meglio, spesso abbiamo dato il massimo senza avere un ritorno.

I giorni che non ho lavorato, ho scritto. Tanti articoli, tante lettere, un romanzo nuovo e un romanzo breve che ho amato molto, ma i lettori meno. Poi mi sono presa una pausa. Per cambiare. Perché questi libri che ho pubblicato non sono io. Non sono Daniela. E forse non sono nemmeno tanto Dania. Sono piena di storie, ma storie diverse, linguaggi differenti, personaggi che mi somigliano molto di più, che dicono parolacce, che viaggiano in seconda classe, che indossano anfibi e vanno a fare la spesa al mercato.
Allora ho deciso che basta, che voglio scrivere una storia mia.
Quindi niente terzo capitolo della saga Chanel, niente glamour, niente amore.
E pensavo che sarebbe stato tutto più facile, invece è un casino e ho la testa che esplode e la pagina bianca davanti agli occhi che è come una ferita sanguinante.
Il tempo che passa, ormai, è scandito solo dalla persistenza delle mie pagine vuote. Fa male.

Prima o poi anche i libri mi verranno pagati (i diritti arrivano con molta calma) e inizierò a vivere questo tempo china sulla tastiera come un vero lavoro. Forse allora sarò più motivata, forse le parole usciranno più in fretta e più disciplinate. O forse no.

Ho viaggiato, non quanto vorrei, ma ho preso gli aerei giusti e ho passato dei giorni di tale serenità che mi sono chiesta perché non averlo fatto prima, sorvolare l’Oceano, riunire la famiglia, visitare i posti che ho sempre desiderato, mangiare tutto, ma proprio tutto quello che mi va.

Certi mesi mi sono scivolati addosso, perché non c’era niente da conquistare, altri sono stati delle battaglie, infinite.

L’amore è stata la cosa più complicata (non è sempre così?). Due passi avanti, uno indietro, addii, ritorni, promesse e lacrime, baci lunghissimi, fughe, parole scritte e tante parole non dette, canzoni, film, accuse, dichiarazioni. Colpi di scena.

È stato come avere di nuovo vent’anni, vivere le relazioni alla giornata, non sapere se domani sarà ancora tutto bello, avere il terrore di progettare insieme.
Ormai siamo arrivati fin qui, non possiamo tornare indietro, non possiamo buttare tutto, ce lo siamo guadagnato, conserviamolo, proteggiamolo.

È stato un anno disordinato, che mi ha insegnato che gli altri non possono sempre diventare alibi per la nostra negligenza, che se vogliamo cambiare, dobbiamo farlo e basta, noi da soli, perché tutti possono cambiare. Mi ha insegnato che c’è sempre una seconda occasione e, se non dovesse esserci, ci sarà un‘altra occasione, diversa ma non meno importante. Mi ha insegnato che le persone belle devi tenertele strette, a costo di superare la pigrizia e l’egoismo e la paura, perché il tempo passa e cancella tutto e l’unica cosa che conserverai per sempre sono i compagni di viaggio. Mi ha insegnato che i soldi e il successo e l’apparenza e la bellezza possono essere importanti, ma non a costo di non riconoscerti più, di modificare i tuoi sogni; che tra un mese dimenticherai la tua ospitata in TV, ma ricorderai per sempre le serate a ridere con gli amici, la coda lunghissima per  salire in cima a un grattacielo per guardare il tramonto, le canzoni urlate durante un concerto in uno stadio pieno di gente.

Mi ha insegnato che non c’è un arrivo, che la strada è infinita, che possiamo fare una sosta, per stanchezza, per rabbia, per pigrizia, ma poi dobbiamo rimetterci in viaggio, noi che siamo i nomadi del nostro destino.

Il prossimo anno voglio essere felice.
È un proposito folle, credete che non lo sappia?
Ma voglio metterci pazzia nel futuro.
Voglio scrivere il mio romanzo, voglio stare solo con le persone belle e tenere tutti gli altri a distanza, i gatti e le volpi, i falsi, gli approfittatori, le galline tutte tette e sorrisi e niente cervello, gli insicuri che ti succhiano il sangue, gli invidiosi. Voglio viaggiare di più, ma molto di più, voglio guadagnare abbastanza da poter tirare il fiato, voglio dire no a tutte le cose che non mi piacciono, le serate con i dress code, i finti amici, i locali con la lista all’ingresso, le cene in cui “voglio parlarti di un lavoro” e invece è solo marpionamento, le comparsate che chissenefrega, le foto fatte solo per dire io c’ero, le competizioni non richieste, gli insulti gratuiti di troll e stalker, quelli che “non ti fai mai sentire” e non ti chiamano mai.
Voglio stare con te, non solo il prossimo anno, ma tutta la vita, a costo di inseguirti e poi fuggire, di cambiare e poi tornare indietro.
E poi dormire un anno intero senza prendere sonniferi e mangiare senza sensi di colpa e sorridere solo se ne ho veramente voglia e non avere sempre l’ansia spaventosa di perdere tutto.

Voglio arrivare a fine anno e dire che meraviglia! Hai visto che non era impossibile? Che ce la potevo fare?
E se non ce la dovessi fare, poi ci sarà l’anno successivo e quello dopo ancora.
Non ci fermiamo mai.
Non voglio fermarmi mai. Ho le scarpe giuste, il fiato allenato, la borsa leggera e la colonna sonora perfetta.

BUON ANNO NUOVO.

Il punto di non ritorno

Il punto di non ritorno è quando il viaggio diventa interiore.
Parti, ti decontestualizzi e vedi le cose da una prospettiva diversa, con colori che non ti erano sembrati mai di quella tonalità, con i suoni che ti sorprendono alle spalle e ti fanno sentire teso come un animale selvatico. Pronto all’attacco. Pronto.
I viaggi più incredibili sono quelli che ti succedono dentro, quando sei a casa e non la riconosci, quando le persone che ti stanno intorno tornano a essere mondi nuovi e ti sembra che tutto possa, debba, iniziare da zero.

Ricordo il primo lungo viaggio che ho fatto da sola con mio fratello. Avevamo vent’anni, un padre appena seppellito, il bisogno di sentirci vivi e la fame di scoperta. Mi è sembrato eterno ed è durato soltanto due settimane e poi mesi e mesi dopo, dentro, trasformandomi in qualcosa di diverso.

Non importa dove vai, ma come ci vai. E come torni, quando torni e se mai torni.

Sono rientrata piena di entusiasmo e di appunti. Mi sono detta adesso scrivo e scrivo e allora acquisterà un senso tutto quest’anno passato a dire che bisogna fare delle proprie passioni un mestiere, sarà servito a qualcosa rinunciare al terzo libro previsto a Natale di una trilogia che non finirà, per raccontare le storie che mi vivono dentro da un po’.
Mi sono detta torno a commentare la politica e l’attualità, riprendo il mio blog sull’Unità, sarò più presente su twitter, mi infilerò in tutti questi spazietti lasciati liberi dai veri intellettuali per dire la mia, mi risveglierò dal torpore accidioso e terrò duro fino a quando non mi arriveranno un po’ di soldi e potrò tirare il fiato.
Ho dormito per due giorni e ho sentito i muscoli rilassati e ho fatto una scorpacciata di sogni confusi.
Mi sono seduta al tavolo bianco della sala milanese, quella con le finestre grandi che guardano in due direzioni e che a volte ammiccano, col sole forte, e ti danno l’idea di affacciarsi sul mare.
Nulla.
Non è successo nulla.
Ho risposto alle email, fatto un paio di lavoretti piccoli piccoli, ho guardato tanti telefilm, ho sfogliato i giornali online, ho letto le notizie e ho pensato bisognerebbe indignarsi, scrivere, dire, fare qualcosa, fare davvero qualcosa. E poi non ho fatto nulla.
Sono uscita a passeggiare e mi sembrava tutto nuovo. Il caldo imprevisto di ottobre, il cielo grigio senza speranza, le mani degli amici, i banconi dei bar.
Un pomeriggio sono uscita per fare qualcosa che nemmeno ricordo e non l’ho fatta. Mi sono infilata in una libreria e mi ci sono persa e alla fine non so quanto tempo sia passato e tutte quelle quarte di copertina erano pianeti e dovevo scegliere dove atterrare per fare rifornimento.
Leggo. In silenzio. E poi interrompo le persone quando parlano e dico le cose che mi passano per la testa.
Questo è un viaggio nei miei limiti, nei ricordi, a volte felici e molto spesso dolorosi. È il parto di un cambiamento, la nascita di qualcosa che non poteva più non venire fuori.

Va tutto bene, l’amore, gli amici, il nipotino che cresce, la salute, l’autunno leggero, i miei libri sugli scaffali. Eppure non ho voglia di ritornare in me, forse perché sono troppo pigra o forse perché, se questa volta dovessi fallire, non potrei perdonarmelo.

A volte vado a correre, senza averne voglia. La cosa più difficile sono i primi passi. Non mollare. E poi altri ancora. E il corpo che continua e il cervello che ti chiede perché lo fai? perché insisti? Non vuoi essere qui, vuoi restare sul tuo divano, immobile, a immaginare corse infinite che non inizierai mai. E supero il primo chilometro e mi dico fino a qui tutto bene e mi dimentico quello che stavo pensando un attimo prima e i polmoni si riempiono e la fronte suda e vado avanti, perché non c’è altro da fare.
Andare. Avanti.

Ulisse ci ha messo dieci anni per ritornare a casa e il viaggio era la vita stessa, l’avventura. Io rientro con lentezza e qualcosa intorno a me sarà sicuramente cambiata. L’energia, l’entusiasmo, le distanze tra me e gli altri, i bisogni, la storia nuova che avrei dovuto buttare giù due mesi fa e che ancora sto pensando, i silenzi confortanti di cui mi nutro per giorni interi, le giornate che diventano corte, ed è subito sera.