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I nostri deserti diventeranno spiagge

Forse succede a tutti così, incosciamente, subdolamente.
Tu nasci, vivi, festeggi compleanni, scandisci il tempo, scherzi sulla tua età e compi i tuoi riti di passaggio, belli o brutti, necessari o superflui.
Studi, cerchi un lavoro, a volte lo trovi e riesci a costruire qualcosa di decente, una sopravvivenza dignitosa, ti innamori, poi non ami più, poi soffri, poi ami ancora.
Procedi in avanti, a volte in linea retta, un percorso pianeggiante, altre volte, più spesso, a zigzag, al buio, a tentativi, in salita. Spesso fai un passo indietro e, se sei fortunato, è solo per prendere la rincorsa.
Razionalmente sai che sei diventato un adulto. O quasi. O almeno per le statistiche, anche se cercano di indorarti la pillola e ti lasciano davvero credere che l’adolescenza possa durare fino ai 35 anni e che sia plausibile, giustificabile, normale, non esserti emancipato, non averci nemmeno provato, nonostante l’alibi della crisi.
Lo sai che sei adulto, ma non lo realizzi. Allo specchio noti qualche rotolino, una ruga che – cazzo! – da dove salta fuori?, qualche riga bianca tra i capelli, i primi acciacchi, ma sei sempre un ragazzino, sei qualcuno che ha ancora tanta strada da fare, la vita davanti, l’energia.
Il figlio adolescente dei vicini di casa ti incontra in ascensore e ti dà del lei e tu pensi “dev’essere perché stamattina ho il viso stanco” e magari provi a vestirti come uno studente del liceo, senza che ti sfiori alcun imbarazzo, quarantenni vestiti Desigual senza vergogna.
Non ti rendi conto di essere diventato quello che un tempo erano i tuoi genitori, non capisci che sei passato dalla parte dei grandi.
Apri gli occhi bruscamente solo quando riesci a permettertelo e fai un figlio. O quando perdi un amico della tua età, all’improvviso e non per incidente. Quando una persona che ami si ammala e conta su di te. Quando perdi il posto e hai debiti e non ci sono genitori come rifugio sicuro. Quando devi sbrigartela da solo e non puoi fallire.

Io ho realizzato di essere diventata adulta in un viaggio, lungo, lontano, come tanti fatti e altri ancora da fare, e per la prima volta non ho avuto il desiderio di fuggire, perché non è più il momento di ricominciare, perché finalmente ho trovato una casa, una strada, una professione.
E quando fa tutto schifo, mi metto lì e lo restauro, invece di distruggerlo e ricostruirlo.

Ho capito che sono grande perché dimentico le cose e devo appuntarmi tante note sul telefono, perché anche se faccio tardi la notte, mi sveglio presto la mattina, perché non digerisco più la cipolla, perché bevo responsabilmente, perché mi viene istintivo controllare con la coda dell’occhio il nipotino che gioca, perché non si faccia male, perché sono io a chiedere a mia madre se ha bisogno di qualcosa e a preoccuparmi che stia bene, perché devo parlare con la banca per il mutuo, con l’amministratore del condominio per i lavori al tetto, con lo Stato per le tasse.

Ho sempre avuto paura che gli anni in più sarebbero stati chili aggiunti al mio bagaglio esistenziale, che avrebbero reso più faticoso ogni viaggio. Invece l’età adulta mi ha reso più leggera.
Una leggerezza diversa dall’inconsapevolezza dei ventenni. La leggerezza di chi ha capito come funzionano le cose e non ha più bisogno di troppi strumenti per procedere. Può finalmente viaggiare leggero.
Gli anni passati non mi spaventano più, anche se ho spesso il terrore di quelli che verranno. Non mi disturbano le distanze da compiere per realizzare sogni, ma le distanze fisiche dalle persone che amo. Non ho paura delle rughe, ma di perdere le idee, di non avere più parole belle da raccontare. Non mi interessano successo e soldi, ma la speranza di scrivere il romanzo della vita.

Sono ancora in uno di quei viaggi, lunghi, lontani, in cui realizzo di essere seduta al tavolo dei grandi.
Fa caldo, c’è un bel venticello e questa parte di mondo non sembra l’altro lato del pianeta. Anche se lo è. E quando mio fratello va a letto, io in Italia mi sveglio per andare a lavoro.
Non conta niente altro che abbracciarsi e ridere e bere il caffè insieme, prima che io riparta. Niente altro.
Perché la vera avventura degli anni a venire non sarà la fuga, ma il ritrovarsi. Perché i deserti si trasformeranno in spiagge e le difficoltà in sfide. Perché adesso siamo grandi e sappiamo fare le cose e non importa farle bene o male, correggerle, sbagliare e riprovare, purché si faccia tutto insieme, purché ci siamo sempre, l’uno per l’altra.
Lontani, vicini, che importa?
Io ci sono. Conta pure su di me. Sono diventata grande.

Fino a quando sbocceranno le viole

Non mi dispiace l’alternarsi delle stagioni. Primavera-estate-autunno-inverno.

Non riuscirei a tollerare una vita senza imprevisti meteorologici, senza l’attesa che le giornate si allunghino, nel terrore che si accorcino, togliendoti il sole che ti eri guadagnata, senza la fatica del cambio di stagione, che ti convince a spendere i soldi che non hai negli ultimi saldi.

Mio fratello vive da anni in Brasile, con la famiglia, a due passi dall’equatore. Sempre caldo, sempre sole, qualche pioggia tropicale, alba e tramonto sempre alla stessa ora. Sì, puoi andare a mare tutto l’anno e stare in infradito per 12 mesi e tenere l’aria condizionata accesa perennemente e cenare all’aperto ogni sera.
Sempre lo stesso.
Non fa mai freddo, non c’è la neve, non c’è la nebbia, non ci sono i maglioni di lana e i cappotti e i calzettoni e gli UGG e i guanti e le sciarpe e le stufe a fungo fuori dai locali per i fumatori.
Sempre lo stesso.
E chissà come fai ad accorgerti del tempo che passa, forse dalle vetrine dei negozi, dalle commesse in T-shirt e cappellini da Babbo Natale quando c’è da festeggiare.
Non lo so.
Se poi lavori, non ci vai in spiaggia tutti i giorni e anche se fosse, alla fine ti romperesti le scatole anche della sabbia, tutti i giorni.

Ci pensavo guardando fuori dalla finestra. Un sabato lento, di grigio milanese, una pioggia leggera, nemmeno un’ombra della neve che ci hanno promesso.
Mi consola sapere che l’inverno non dura per sempre e che domani, o forse dopodomani, o dopodopodomani, tornerà la primavera.
Perché la primavera torna sempre e io credo che ci sia qualcosa di magico, nel guadagnarsi un po’ di luce in più, nel togliere gli strati, nello scoprire il pallore, nel prepararsi alle prove costume che non superiamo quasi mai.
Non mi dispiace l’alternarsi delle stagioni, il caldo e freddo, e i periodi di mezzo, gli autunni romantici, il maggio tiepido in cui tutto sembra poter essere migliore.
Mi piace l’idea di conquistarci il bello, di non darlo per scontato.

Non è vero che sono giorni brutti brutti. C’è qualcosa di speciale anche in questo pigro inverno.
Tipo restare qui, e non uscire mai mai mai da questo piumone caldo fino a quando sbocceranno le viole.

Parto prima io

Io sono una che corre. A dispetto della mia pigrizia, dell’accidia, del terrore di sbagliare, della malinconia sempre infilata tra le ossa. Sono una che corre, perché bisogna andare avanti e arrivare e realizzare, perché bisogna guadagnare il proprio posto al sole, che è sempre un po’ oltre, più avanti, più avanti.

Sono una che corre e inciampa e cade e si sbuccia le ginocchia e si rialza e poi corre ancora. Prima o poi si arriva. Prima o poi.

Mi capita di fermarmi, a volte, per scelta o accidente, per motivi tristi e motivi felici, e metto a posto i tasselli, tutto in fila, tutto in ordine.

Perché le cose non le capisci mentre corri, ma quando ti fermi a riprendere fiato.

E capisci che gli affetti, le risate, le cene insieme, seduti a tavola per ore, il bagno a mare e nei fiumi scuri, le foto con i sorrisi, i regali, soprattutto quelli superflui, i pianti liberatori e gli abbracci, i progetti e i ricordi, raccontati davanti a una birra ghiacciata, valevano tutti gli ostacoli e tutti gli affanni.

La vera fortuna nella vita non è avere tutto con facilità, ma riuscire a capire il valore di quello che hai.

Ieri l’ho capito. E mi sono asciugata di nascosto una lacrima infame.

I colori, i suoni, le parole, le risate, il vento caldo, i silenzi sono tutti dove dovrebbero essere.

Abbiamo fatto proprio bene a fermarci a riposare qui. Domani torneremo a correre, con le gambe leggere e lo zaino sulle spalle.

Parto prima io e prendo il posto per tutti.

E non c’è nulla di male

Questa volta sono dall’altro lato del mondo.

Se c’è una cosa che amo più dell’esercizio dei miei diritti democratici è la mia famiglia.

Non stavamo tutti insieme dal 2008. Quasi sei anni. Sei anni in cui skype e aerei ed email e pacchi postali sono stati il legame fondamentale.

Il 20 febbraio è nato Diego. In Brasile. Da mamma boliviana e padre italiano. Nei pochissimi giorni della sua nuova vita, ha vissuto in una chiassosa e ansiosa babele. Lo spagnolo della madre e della nonna materna, il nostro italiano, il brasiliano degli amici e dei vicini.

Ogni volta che siamo qui, in questo paese bellissimo e pieno di contraddizioni, ci chiediamo sempre la stessa cosa: chi ha avuto ragione? Hanno fatto bene loro a partire o noi a restare? Sono più coraggiosi loro o noi? La nostra è dedizione o incoscienza?

Ogni volta progettiamo anche noi una fuga. Qui si cresce, si fanno figli, si comprano case senza essere strangolati dai debiti, nei fine settimana si mangia pesce sulla spiaggia.
Da noi no. Da noi si sopravvive, ci si guarda alle spalle sospirando e davanti con terrore, si fanno debiti, si chiedono prestiti a genitori sempre più stanchi, si progetta un mese alla volta.

Ogni volta, trasportata dall’entusiasmo e dallo sdegno, ho pensato a quali ritorni mi avessero provocato più rimorso. Tutte le volte che ho vissuto all’estero, poi sono tornata. A volte con sollievo, spesso con nostalgia.

La mia generazione ha avuto come unica alternativa la fuga. Sempre meno una scelta, sempre più una necessità. Abbiamo studiato insieme, nelle aule vecchie dei nostri atenei dal passato glorioso, abbiamo provato e poi ce ne siamo andati. Continuando a occuparci di quello che succede, informandoci, sperando di poter tornare e intanto costruendo equilibri sempre più negati a casa nostra.

Ieri, a cena nel patio, provando a godere del vento fresco della sera, durante una discussione sul futuro politico del Paese, noi qui, la gente a casa in cui riporre fiducia, ho realizzato per la prima volta il perché dei miei continui ritorni.
Sopra ogni cosa, al di là di ogni difficoltà, più di tutto il resto del mondo, io amo l’Italia. Non solo perché io sia in grado solo di scribacchiare e di parlare parlare parlare e non potrei farlo altrove. Anche perché c’è qualcosa di coraggioso, temerario e folle nel provare a cambiare le cose, quando tutto sembra ormai disperato.

Il vero coraggio non è partire, ma restare.

Come quegli eroi dei film che si sacrificano per mettere in salvo tutti gli altri e restano sulla barca che affonda o sull’astronave che esplode, dopo aver aiutato anche l’ultimo essere vivente a fuggire.

Siamo quelli che restano mentre Tara brucia, quelli che annegano per salvare donne e bambini sul Titanic, i 300 spartani che si immolano per una causa più grande di loro.

Siamo quelli che rischiano di più e che soffrono e che si fanno un mazzo così grande che nemmeno il Colosseo potrebbe contenerlo.

Siamo, forse, i folli che non ce la faranno mai. Ma quante cose fuori di testa si fanno per amore.

Anche questa volta tornerò, ma senza pentirmene. Non c’è posto migliore in cui vivere di quello che consideri casa. Anche se è la peggiore, la più sgarrupata, la più marcia e corrotta delle case.

Qualcuno dovrà pur restare per mettere tutto in ordine. E per lamentarsi. E per indignarsi e poi indignarsi ancora. E per resistere.

Resistere.

Resistere.

Perché solo gli amori folli sanno essere così ottusi, suicidi e disperati.

E non c’è nulla di male ad amarla, davvero, la nostra piccola Italia.

Non perdo mai il vizio di tornare

Nel bilancio di questo pezzo di vita, scopro parità di rimpianti e rimorsi. E sono dolorosi entrambi e difficili da mettere da parte, rannicchiati e nascosti tra i ricordi, sempre pronti a saltarti alla gola.

Ho l’età della consapevolezza, delle prime rughe leggere e invisibili ai lati degli occhi, del riscoperto e incredibile amore per il silenzio e il riposo, della tolleranza per i difetti di chi amo e l’odio brutale verso le piccolezze di chi non amo più.

Viaggio molto, alla scoperta del passato lasciato in sospeso e del futuro ancora da iniziare.

Vorrei portarti con me. E tu sei fermo alla tua scrivania, con i tuoi disegni e le tue storie e le parole e l’inchiostro e le matite.

Stasera prendo un volo per l’altro lato del mondo. Vado a circondarmi di famiglia. La mia famiglia autentica, quella che non ho scelto, ma che mi è stata data in dono.

Vado al sole e al caldo, con la valigia piena di regali e di costumi.

Questa volta torno. Come sempre. Non perdo mai il vizio di tornare.

Non si sta così male qui. Il caffè e il vino sono buoni e anche noi, in fondo, non siamo così male.

È tutto. Anzi, no.

Il blog è migrato (finalmente) sul nuovo server.
Ringrazio tanto, tanto, tantissimo Andrea Beggi per il prezioso aiuto tecnico. Un giorno, questo salvatore del wordpress verrà ricordato nei libri di storia.

Tra qualche giorno partirà il Dania World Tour: 8 febbraio a Roma, 9 a Padova, dal 10 al 13 a Parigi, 14 e 15 a Roma, dal 16 al 18 a Padova, brevissima sosta a Milano e partenza il 19 febbraio per il Brasile, con rientro a Milano il 6 marzo.

Mi scuso con i creditori e, soprattutto, con la mia meravigliosa editor (sì, sto cercando di blandirti) per i ritardi che accumulerò.

Fatemi un fischio se la situazione in Italia precipita. Potrei decidere di restare nel Maranhão.

È tutto.

Anzi, no: l’amore è una cosa faticosissima. E fa bruciare molte meno calorie del Body Pump. Non sono mica sicura che ne valga la pena.

Avvisi (che, poi, anche chissene)

L’elettricista, dopo mesi di solleciti, non è mai passato. Non credevo che Milano avesse così tanto bisogno di luce.

Ho ripreso a drogarmi di carboidrati.

Anche domani mattina, alle 10.25, sarò in diretta da Unomattina Rosa, RaiUno. Meno male che mia madre è in pensione e può guardarmi. Qui trovate le puntate precedenti.

A metà febbraio, vado in Brasile a diventare zia.

Sono in ritardo con le consegne e, per la disperazione, perdo tempo.

È sempre il momento giusto per un boccone di mozzarella di bufala. Anche a colazione.

Cose che ho capito in viaggio e che farei bene a ricordare più spesso

Esistono persone che ti vogliono bene sempre, qualunque cosa ti succeda, qualunque scelta tu faccia, qualunque errore tu compia, in qualunque essere umano tu ti trasformi.

Esistono persone a cui vuoi bene sempre, nonostante i chilometri che vi separano, il tempo lunghissimo passato lontani, le vite che diventano sempre più diverse, i capelli bianchi che si nascondono tra le chiome nere.

Bisognerebbe prendere più aerei, guidare di più, raggiungersi, parlare di più, ma molto di più, stare abbracciati, raccontarsi quello che abbiamo dentro e che non possiamo dire a nessun altro, proprio a nessuno, bere di più, guardare più tramonti, mangiare più spesso insieme, scambiarci più spesso i libri, essere più spesso fratelli come lo eravamo anni fa.

Nessun posto è così lontano per nasconderti da te stesso.

Vedere luoghi meravigliosi, mangiare pesce sulla spiaggia, fare il bagno nelle lagune d’acqua dolce, bere caipiroska sulla sabbia, correre sulle dune con il Dune Buggy, ascoltare la musica, sempre, ridere, ricordare i tempi belli, camminare sotto al sole, fermarsi a parlare con gli animali come se ci potessero capire, guardare la luna piena, preparare il caffè e guardarsi in silenzio, perché non serve aggiungere altro. Queste cose fanno stare bene.

Il mondo è pieno di possibilità, di differenze, di colori e sapori mai visti e provati, di persone che hanno dentro altri mille mondi, di milioni di idee, di occasioni infinite.

Anche da adulto sei impotente di fronte alle disgrazie e quando capitano alle persone care ti senti come un ragazzino. Non puoi fare altro che dire “io ci sono sempre”.

Sbagliare ti obbliga a diventare migliore. Per poi sbagliare ancora. E diventare ancora meglio.

Quando diminuisce il dolore, quando passa la rabbia, quando passa il rancore, poi riesci a capire che verranno cose nuove. E che le cose vecchie sono andate e, giusto o sbagliato, non tornano. Che il passato non si cambia, nemmeno se ci ripensi in continuazione. Che a volte si ferisce senza volerlo, si soffre senza volerlo. Che chi ti ha fatto male, spesso sta male anche lui. Che ci saranno sempre le occasioni per perdonarsi. Che nessuno lo perdi per sempre. Che a volte un solo potente sorriso riesce a cancellare mesi di lacrime.

Nonostante la scorza che mantieni per proteggerti, in silenzio riesci ad augurare davvero a chi non c’è più di essere felice, anche senza di te.

Non abbiamo tutto il tempo, ma abbiamo ancora tanto tempo.

Essere felici è un lavoro faticoso a tempo pieno, che devi fare da solo e non puoi delegare a nessun altro.

Estrela mágica

C’è questa donna, Estrela, che ha tappezzato tutta la Beira Mar di Fortaleza di piccoli manifesti in cui c’è scritto che ha il poter di portarti la persona amata.
Ti fa i tarocchi, l’oroscopo e ti prepara amuleti e pozioni.

Allora mi sono ricordata che anche a Napoli era pieno di donne e uomini e santoni che ti promettevano di portarti l’amore. Io sono cresciuta ascoltando storie di malocchi, incantesimi, fatture fatte coi capelli dell’amato, con i denti da latte, con la biancheria intima, con le lenzuola usate per fare l’amore.

È che l’amore è una cosa che succede senza ragione. Una cosa che capita. È la cosa più vicina alla magia che io conosca, perché non la so spiegare.

Ci sono quelli che dicono l’amore mi è successo così e cosà, lei era perfetta, aveva tutto quello che mi serviva e allora io mi sono messo d’impegno e mi sono innamorato. Ma l’amore non succede mai così. L’amore lo ricostruisci a posteriori, lo giustifichi, ma ti capita sempre senza la tua volontà, come una fortuna. O come una sciagura.

Per esempio, a me nella vita è successo che mi sono innamorata quasi sempre di uomini che non mi volevano. Amici che stavano bene con me e il sesso era favoloso e sei importante per me e non potrei vivere sapendoti fuori dalla mia vita.

Ma non ti amo.

Ti-voglio-bene-ma-non-ti-amo. La sfumatura dei sentimenti del cazzo.

Ho contato che mi è successo sette volte.

Compresa quella volta del francese je-t’aime-bien-mais-je-ne-t’aime-pas. La sfumatura di significato nella lingua del cazzo.

Di sette volte in cui il cuore mi è scoppiato, cinque sono state quelle in cui gli uomini non mi amavano perché amavano una mia amica. Lo sai, lei è perfetta per me, lei ha quella cosa che tu non hai, tu che sei importante per me e non potrei vivere sapendoti fuori dalla mia vita.

E non ti amo.

Di cinque amiche, tre si sono fidanzate. Una mi ha chiesto se davvero era un problema per me perché non avrebbe mai voluto farmi soffrire. Due mi hanno detto che ero una stronza ad amare i loro uomini.

La causa-effetto ognuno la racconta a modo suo, in amore.

Quelle come me, si dice, se sopravvivono ai petardi nel petto, diventano streghe. E forse non è nemmeno un brutto mestiere.

C’è questa donna, Estrela, che ha tappezzato tutta la Beira Mar di Fortaleza di piccoli manifesti in cui c’è scritto che ha il poter di portarti la persona amata e dicono che funziona, che fa innamorare tante persone che non si amano e la gente si rivolge a lei in preghiera, come una santa.

L’amore ti succede e tu decidi se ti è successo per destino o per magia.
Per Estrela o per le stelle.

E se non ti succede bevi e piangi. Ma soprattutto bevi.

Una volta ho chiesto a un’amica, a Napoli, che accompagnava la zia a farsi fare i tarocchi, perché la sua parente non avesse scelto di affidarsi a un santo cattolico per chiedere il miracolo di trovare l’amore. E lei mi ha risposto: «Ai santi veri non si chiedono mai ‘ste scemità. Si chiedono solo salute e soldi.»

 

Via

Domani parto per il viaggio che avrei dovuto fare a gennaio.

Se fossi partita allora, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Starò via meno della metà del tempo che avevo programmato, sempre che decida di tornare.

Buone vacanze a (quasi) tutti.

Cose che scrivo qui così mia madre legge e non mi chiama

La prossima settimana parto per il Brasile. Rientro a metà agosto. Poi proverò a ripartire per Parigi. E a non rientrare più.

Non ho ancora trovato casa a Milano. Non so se voglio trasferirmi a Milano. Sarebbe più comodo che Milano si trasferisse da me. Io aspetto.

Forse ho capito cosa voglio fare da grande. L’ho capito appena ho scoperto di essere già grande. Le cose ti succedono. A volte sono quelle giuste. A volte sono quelle sbagliate e ci bevi su.

Non sono mai stata così al verde e non me n’è mai fregato così poco dei soldi. È un modo stupido e bellissimo di vivere.

Sono tornati i Macchianera Blog Awards. Se mi candidate ancora come blogger erotica, vi si seccherà lo scroto, vi cadrà e al suo posto vi crescerà un libro di poesie di Bondi.