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La felicità è un esercizio di sottrazione

Ieri era il tuo compleanno, a due giorni dal Natale, e mi è tornata in mente quella sera di cinque anni fa, quando ho deciso di chiudere il capitolo della mia vita che non funzionava più e tu eri lì. Poi ci sono stati terremoti e lacrime, fughe e viaggi in treno, abbracci e sospiri, camere in affitto e tentativi, parole che non hanno funzionato e silenzi troppo efficaci, scelte che hanno fatto male e non scelte che sono state ancora peggio.
Quella sera di cinque anni fa sono corsa via senza una spiegazione ed è uno dei più grandi rimpianti di sempre, perché ora che non ci sei più vorrei tanto ordinare un altro bicchiere di rosso e raccontarti tutto, tutto quello che ti sei persa, tutto quello che ancora resta.
Vorrei dirti che ho imparato a stare a galla, che non sono più in guerra col mondo. Che ho imparato a dire no e a tenere lontane le persone che non vanno, a prendere le decisione giuste, a firmare i contratti senza clausole scritte troppo in piccolo. Ho capito come farla funzionare, la vita che tu amavi più di me, e adesso è tutto chiaro, tutto quasi perfetto. Adesso che ho tolto la rabbia, l’ansia da prestazione, la paura di fallire, la sensazione di non essere all’altezza. Adesso che ho tolto le ipocrisie dalle amicizie, le insoddisfazioni dal lavoro, i tentennamenti dall’amore, adesso è tutto più facile.

La felicità è un esercizio di sottrazione.

E quando tutto diventa più semplice, quando ti spogli dalle corazze, quando ti svuoti da tutti i pensieri che tieni dentro e non vuoi esprimere mai, quando spieghi le tue ragioni fino all’ultima sillaba, quando provi fino all’ultimo alito di fiato, allora tutto va come deve andare. Ed è bello. E si sta bene.

Quella sera del tuo compleanno di cinque anni fa non potevo saperlo, che un giorno sarei stata felice. Vorrei potertelo dire adesso. Vorrei che potessimo riderne insieme. Vorrei poterti abbracciare e confessare “Axi, avevi ragione”.

Tu non ci sei più, ma molto resta ancora ed è stato un anno bello, il primo di sempre senza aver paura, e so che molti altri verranno e io non fuggirò più via e li affronterò ridendo, come avresti fatto tu.

Io sono lei

Sono una persona riservata, poco incline alle dimostrazioni fisiche d’affetto, abbraccio e bacio poco i miei amici, sono pudica in pubblico, quando mi trovo in un ambiente nuovo mi sento timida e osservo tanto, prima di partecipare.
Sono divertente, simpatica, sdrammatizzo sempre, non mi spaventano la morte e la solitudine, perché le ho conosciute tanti anni fa e mi sembrano così umane da non fare paura. Ci sono sempre per le persone a cui voglio bene, a qualsiasi ora, in qualsiasi parte del mondo. Non mento mai, se non per proteggere, non mi tiro mai indietro nelle mie responsabilità. Mi lamento tanto, ma mi tiro sempre su le maniche e vado avanti. Ho una strana e rigida idea calvinista del lavoro, non ho mai pensato di farmi mantenere, ho cominciato a guadagnare presto e solo con le mie forze, ho sempre saldato i miei debiti e, quando ho vissuto al di sopra delle mie possibilità, l’ho fatto solo per dimostrare a me stessa che potevo ottenere di più. Odio le ingiustizie e le denuncio sempre, anche a costo di danneggiarmi professionalmente.
Mi piace mangiare e cucino bene, così bene che lo faccio sempre meno spesso, perché voglio restare snella. Non guido, anche se ho la patente. Preferisco andare a piedi, prendere i mezzi, andare in bici. Cammino da sempre, in qualsiasi condizione meteorologica, con qualsiasi tipo di calzature. Amo comprare scarpe, in numero esagerato, che magari non metterò mai. Parlo con gli animali e con le piante e sono convinta che loro mi capiscano. Ogni volta che leggo qualcosa di interessante o guardo un film commovente, ho voglia di raccontarlo a tutti i miei cari. Spesso vivo così intensamente qualche episodio di un romanzo che continuo a raccontarlo in giro come se fosse accaduto a me. Non posso fare a meno di cantare Battisti e Mia Martini ad alta voce. A volte mi arrabbio e punto i piedi e sono testarda e cerco di avere ragione a tutti i costi. Poi mi fermo, respiro, ripenso, rifletto e chiedo scusa. Sono diventata brava a chiedere scusa. Piango quando è il momento di versare lacrime e quando non c’è più tempo per la commiserazione mi asciugo gli occhi e torno a combattere. Credo che ci sia qualcuno più grande di me che mi protegge ovunque io vada, credo che la fortuna sia importante come la determinazione, credo che non sia mai troppo tardi per ricominciare, credo che le persone che mi hanno fatto soffrire non siano cattive, ma solo incapaci, credo che la cosa più bella non sia possedere, ma donare a chi ami.

In tutto questo io sono mia madre. Proprio simile, uguale a lei. Come in quelle piccole rughe ai lati della bocca che ci sono venute fuori negli anni, identiche, dopo tutte le volte che abbiamo riso insieme.

I nostri deserti diventeranno spiagge

Forse succede a tutti così, incosciamente, subdolamente.
Tu nasci, vivi, festeggi compleanni, scandisci il tempo, scherzi sulla tua età e compi i tuoi riti di passaggio, belli o brutti, necessari o superflui.
Studi, cerchi un lavoro, a volte lo trovi e riesci a costruire qualcosa di decente, una sopravvivenza dignitosa, ti innamori, poi non ami più, poi soffri, poi ami ancora.
Procedi in avanti, a volte in linea retta, un percorso pianeggiante, altre volte, più spesso, a zigzag, al buio, a tentativi, in salita. Spesso fai un passo indietro e, se sei fortunato, è solo per prendere la rincorsa.
Razionalmente sai che sei diventato un adulto. O quasi. O almeno per le statistiche, anche se cercano di indorarti la pillola e ti lasciano davvero credere che l’adolescenza possa durare fino ai 35 anni e che sia plausibile, giustificabile, normale, non esserti emancipato, non averci nemmeno provato, nonostante l’alibi della crisi.
Lo sai che sei adulto, ma non lo realizzi. Allo specchio noti qualche rotolino, una ruga che – cazzo! – da dove salta fuori?, qualche riga bianca tra i capelli, i primi acciacchi, ma sei sempre un ragazzino, sei qualcuno che ha ancora tanta strada da fare, la vita davanti, l’energia.
Il figlio adolescente dei vicini di casa ti incontra in ascensore e ti dà del lei e tu pensi “dev’essere perché stamattina ho il viso stanco” e magari provi a vestirti come uno studente del liceo, senza che ti sfiori alcun imbarazzo, quarantenni vestiti Desigual senza vergogna.
Non ti rendi conto di essere diventato quello che un tempo erano i tuoi genitori, non capisci che sei passato dalla parte dei grandi.
Apri gli occhi bruscamente solo quando riesci a permettertelo e fai un figlio. O quando perdi un amico della tua età, all’improvviso e non per incidente. Quando una persona che ami si ammala e conta su di te. Quando perdi il posto e hai debiti e non ci sono genitori come rifugio sicuro. Quando devi sbrigartela da solo e non puoi fallire.

Io ho realizzato di essere diventata adulta in un viaggio, lungo, lontano, come tanti fatti e altri ancora da fare, e per la prima volta non ho avuto il desiderio di fuggire, perché non è più il momento di ricominciare, perché finalmente ho trovato una casa, una strada, una professione.
E quando fa tutto schifo, mi metto lì e lo restauro, invece di distruggerlo e ricostruirlo.

Ho capito che sono grande perché dimentico le cose e devo appuntarmi tante note sul telefono, perché anche se faccio tardi la notte, mi sveglio presto la mattina, perché non digerisco più la cipolla, perché bevo responsabilmente, perché mi viene istintivo controllare con la coda dell’occhio il nipotino che gioca, perché non si faccia male, perché sono io a chiedere a mia madre se ha bisogno di qualcosa e a preoccuparmi che stia bene, perché devo parlare con la banca per il mutuo, con l’amministratore del condominio per i lavori al tetto, con lo Stato per le tasse.

Ho sempre avuto paura che gli anni in più sarebbero stati chili aggiunti al mio bagaglio esistenziale, che avrebbero reso più faticoso ogni viaggio. Invece l’età adulta mi ha reso più leggera.
Una leggerezza diversa dall’inconsapevolezza dei ventenni. La leggerezza di chi ha capito come funzionano le cose e non ha più bisogno di troppi strumenti per procedere. Può finalmente viaggiare leggero.
Gli anni passati non mi spaventano più, anche se ho spesso il terrore di quelli che verranno. Non mi disturbano le distanze da compiere per realizzare sogni, ma le distanze fisiche dalle persone che amo. Non ho paura delle rughe, ma di perdere le idee, di non avere più parole belle da raccontare. Non mi interessano successo e soldi, ma la speranza di scrivere il romanzo della vita.

Sono ancora in uno di quei viaggi, lunghi, lontani, in cui realizzo di essere seduta al tavolo dei grandi.
Fa caldo, c’è un bel venticello e questa parte di mondo non sembra l’altro lato del pianeta. Anche se lo è. E quando mio fratello va a letto, io in Italia mi sveglio per andare a lavoro.
Non conta niente altro che abbracciarsi e ridere e bere il caffè insieme, prima che io riparta. Niente altro.
Perché la vera avventura degli anni a venire non sarà la fuga, ma il ritrovarsi. Perché i deserti si trasformeranno in spiagge e le difficoltà in sfide. Perché adesso siamo grandi e sappiamo fare le cose e non importa farle bene o male, correggerle, sbagliare e riprovare, purché si faccia tutto insieme, purché ci siamo sempre, l’uno per l’altra.
Lontani, vicini, che importa?
Io ci sono. Conta pure su di me. Sono diventata grande.

Finché dura

Da anni, ogni tanto, qualcuno grida da qualche pagina di blog che i blog sono morti e, all’improvviso, tutti noi sperperatori di tempo e byte ci sentiamo in dovere di pregare per l’anima dei nostri diari virtuali.

I blog che parlano di blog non sono affascinanti come i libri che parlano di libri, come i film che parlano di film.

Questi diari sono solo posti in cui siamo arrivati perché volevamo dire qualcosa.

C’è chi ha detto tutto, chi ha preferito continuare a dire sui social network, chi si è accorto di non avere un cazzo da dire o di non avere più voglia di dirlo.

C’è chi rimane, perché non riesce a farne a meno, perché gli strumenti nuovi, i facebook, i twitter, i friendfeed, sono più conversazione e meno riflessione, perché ha voglia di scrivere senza essere fagocitato dalla serendipity, perché l’archivio dei suoi post gli ricorda dove è stato e dove sta andando.

Un paio di anni fa avevo pensato di uccidere il blog.

E poi non l’ho fatto.

Ho passato quasi otto anni della mia vita tra queste pagine e non saprei come si fa a tornare a vivere senza rielaborare i monologhi interiori in forma di post.

Dopo quasi otto anni il mio blog è cambiato, sono cambiata io, sono cambiati i tempi, le idee, le percezioni, le ambizioni, i ritmi, le persone, gli spazi, i lettori, il personaggio, le parole.

Dopo quasi otto anni il mio blog è diventato il posto delle cose non urlate, il posto dove mi sono accorta che c’è una crasi perfetta tra Dania e Daniela.

Un giorno non avrò più niente da dire e dirmi e spegnerò la luce anch’io e di tutto quello che è stato scritto non saprò cosa fare.

Quel giorno credo che mi sbronzerò.