Che, poi, la cosa più difficile è stata dormire.
Dormire una notte intera, senza svegliarsi ripetutamente, senza fissare il soffitto per ore, la sveglia con i numeri verdi, le tre, le quattro, le cinque, l’alba, la luce dalla finestra, senza pensare e pensare e pensare e ripensare a tutto, senza ricordare, senza ripetere tutte le parole dette e le parole scritte, tutte le parole scritte, a memoria.
La memoria mi ha fottuta. Io ricordo tutto. Tutto. Le parole, le frasi, gli sguardi, le smorfie della bocca e i tuoi imbarazzi, le lacrime, le cose dette a bassa voce, quelle dette senza pensarci e non ci hai pensato tu, ma io ripetutamente e tu dimentichi in fretta e io no, mai, è una maledizione, una tortura, e se non dormi poi tutti i ricordi stanno lì, uno sull’altro, non ti danno tregua, ti stringono nel letto, li rimetti in ordine, in fila, li ripensi, li sudi, ogni volta ci capisci una cosa nuova, ogni volta ci cerchi una soluzione. Non ci sono soluzioni nei ricordi. I ricordi sono finiti. I ricordi sono il passato.
Il passato è passato per tutti, ma non passa se non dormi. Io avevo deciso che questi mesi erano una bolla chiusa, io, lui, l’altro, l’altra, in cui si ripetevano gli stessi errori, le stesse scene madri, gli stessi silenzi che volevano dire tutto e io non capivo, non volevo capire. Ho bevuto litri di caffè. Se non dormi poi di giorno sei a pezzi, hai i riflessi lenti, sei come dentro un liquido denso, ti pesano i muscoli, sei piena di lividi, non ricordi come te li sei fatti. La gente ti parla e tu non ascolti, senti le voci lontane, ma non ti concentri. Non sei nemmeno stanca. Sei esausta.
Sei esausta, ma giochi al massacro. Non molli. Non superi. Non chiudi occhio. A volte crolli. Mezz’ora. Quarantacinque minuti. Ti rialzi. Ripensi. L’amore diventa odio che diventa amore che diventa ossessione che diventa odio che diventa amore. Non ha nemmeno più senso. È finito. È finito. Ma tu non dormi, quindi non lo sai. Non ti ricordi se sono passati tre giorni, tre settimane. A volte sembra ieri, a volte sembra così lontano. Non ti ricordi le facce. Non ricordi la voce. Una sera ho bevuto troppo, sono crollata, li ho sognati, erano così nitidi. Mi sono svegliata. Erano solo le quattro. Non mi ricordo se sono passati tre giorni, tre settimane.
Sono passati otto mesi. Non sono mai andata in un ufficio. Ho scritto moltissimo. Ho lavorato, ma non ricordo bene quando, come. Sorridevo. Per lavoro devo sorridere. Io odio sorridere. Mi piace ridere, non sorridere. Prima delle grandi giornate non ho mai dormito. Avevo delle occhiaie enormi. Bevevo molto caffè. Poi c’era l’adrenalina. I truccatori mi dicevano ah, ma tu fai le ore piccole. E sorridevano complici. Ma io odio sorridere. Ero stanca, poi mi dicevo faccio questo e poi parto e poi non faccio più nulla e scappo e poi lascio tutti i fantasmi qui e non mi seguiranno e vado lontanissimo e poi sarò libera e poi non penserò più e lui sparirà per sempre. Ogni volta dicevo la prossima settimana parto e poi non partivo, c’era sempre altro da fare, c’era sempre da sorridere. Faccio l’ultima, poi basta. Poi ancora un’altra. E poi scrivevo e poi sorridevo.
Poi sono partita, ma era tardi e non dormivo e poi il jet-lag e tutto diverso e tutto quel sole e nessun rifugio e i giorni a disposizione per riposare e invece, cazzo, non fare nulla è un suicidio, tutti i pensieri erano lì, mi sono saltati alla gola e io ero molto stanca. Da quanto tempo non mangio? Ho perso otto chili. Non mi va più nemmeno un vestito. Li compro nuovi. Finisco il credito della carta, non me ne accorgo, da quanto non controllo il saldo? E i pagamenti delle fatture? E il mutuo? Sono tornati tutti, erano lì, i ricordi, i pensieri. Non dormivo, bevevo molto, mangiavo poco. Potevo diventare un anacronistico poeta beat. Ma non scrivo se sono sbronza. È stato come un viaggio nel deserto con lo spirito guida. Ho capito le cose. Sono andata fuori di testa. Ho rivissuto tutto. Ho capito gli errori. Avevo fatto degli errori. Avevo fatto soffrire anche io. Però tutti erano andati avanti, io no, perché il passato non passa se non dormi, e non è mai sera e non è mai mattina, ti muovi lentamente e poi a scatti, piangi molto, moltissimo, ripeti sempre le stesse cose, non te ne fai una ragione, non te ne fai una ragione, non te ne fai una ragione. Arrivi al punto di rottura. Ti rompi. Muori.
Rientro, mi trascino dal medico. Mi chiudo in casa. Dormo tre giorni. Mia madre è preoccupata. Elena è preoccupata. Come avrei fatto senza Elena? Non ci siamo frequentate per anni. Mando giù con un bicchier d’acqua. Dormo ancora. Non mangio per tre giorni. Mi alzo per bere e per nutrire il gatto. Ogni notte riposo, mi alzo solo quando fanno male i muscoli, quando finisce l’effetto del sonno profondo. La casa è un po’ più vuota, ci sono meno fantasmi, ci sono meno parole ripensate, molte meno.
Mi ricordo di quel paio di occhi che avevo notato appena in questi mesi. Sono occhi molto belli.
Mangio un po’. Nel pomeriggio riposo. Il nono mese rinasco.
La presente vale anche come scuse.