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Va bene così

Ogni tanto, i miei monologhi interiori si trasformano in dialoghi.

Succede mentre cammino ascoltando la musica che mi fa bene e quella che mi fa male, mentre sono seduta sul divano, in silenzio, mentre mi sveglio di notte, all’improvviso, con il respiro affannato, mentre sono distrattamente in compagnia, mentre prendo il treno per farmi dire le faremo sapere, mentre sono seduta sull’erba a un concerto.

I dialoghi interiori hanno parole perfette e se non sono perfette basta solo ripeterli, cambiando un sì in un no, un no in un forse, un forse in un mi manchi, un mi manchi in un sorriso.

Nei miei dialoghi interiori a volte mi dico cose che non vorrei sentirmi dire, ma di cui ho bisogno, per allontanare il dolore atroce dei silenzi, il vuoto degli addii senza sguardi.

Nei miei dialoghi interiori a volte parlo con te e mi accorgo che quasi non ricordo la tua voce e penso che va bene così, perché nei dialoghi interiori non ci sei, ma parlo con me stessa, con l’io che aspetta e non si rassegna, con l’io che non dimentica e non riesce mai a dormire.

E parlo con me stessa, che sei tu e sono tanti altri che non ci sono più, e ogni volta dico quello che avrei voluto dire e non ho potuto, quello che avrei potuto dire e non ho voluto, quello che mi succede e tu non saprai mai e va bene così.
Va bene così.

La primavera sembra fare sul serio

In alcuni momenti ti distrai da te stessa e sembra che le cose siano al loro posto.
Il solito disordine in cui ritrovi tutto, i soliti colori, il caldo di fine maggio, le scatole con i vestiti leggeri, sparpagliate per le stanze in attesa della voglia di un vero cambio di stagione, i libri iniziati e lasciati a metà per leggere altri libri, le chiavi sul muretto dell’ingresso, le scarpe abbandonate in salotto, i cucchiaini nel lavello, i jeans sulla sedia vicino alla finestra.

Resisti e il tempo scorre ed è la vita e la conosci. Ti sembra di saperla interpretare, questa vita con le cose a posto, e allora vivi, ti muovi nel tuo spazio, senti la primavera che entra dalla finestra, sorridi, canti le canzoni ad alta voce.

Poi inciampi in qualcosa, in un’intuizione, in un ricordo che non sapevi di aver lasciato lì.

Ti accorgi che l’assenza non è in quello che manca, ma nel troppo che rimane, nella caffettiera da due tazze che finisci ormai da sola, nel lato del letto che non usi, nel piatto di pasta che avanza e conservi in frigo, nel latte che non consumi tutto e che va a male, nel cesto dei panni sporchi che ancora mischia un po’ di tuo e un po’ di suo, nell’abitudine del messaggio di buonanotte che non mandi più quando sei in viaggio, nella giacca appesa nell’armadio, nelle fototessere nascoste nel portafogli sotto la patente.

Lasci le cose come stanno e a volte parli con le cose e poi succede che sorridi, senza motivo, e senti che non hai perso per sempre, che tutto rimane nella vita che hai vissuto, in tutta la meraviglia e la bellezza di ieri, e ti farà compagnia ancora, come il formicolio di un arto amputato che senti di continuo attaccato a te.

Non puoi perdere una parte di te, nemmeno se ci provi; te la porti dietro anche se manca.

La primavera, questa volta, sembra fare sul serio. Presto ti deciderai a svuotare gli armadi e a riempirli di abiti leggeri, di colori chiari, di abitudini nuove e di ricordi dolci.