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Le piccole cose piacevoli

Diventa sempre più difficile godere delle piccole cose, un caffè con un amico, l’ultimo capitolo di un libro amato, il ritornello della canzone preferita cantata ad alta voce, un complimento sul lavoro, un chilo perso o preso, il rossetto nuovo dal colore allegro, l’abbraccio di un genitore anziano, i progetti fatti ad alta voce con la persona che ami, un morso al panino più buono dell’anno. Difficile goderle e basta, senza doverle immortalare, raccontare in diretta, condividere. Guardare tuo figlio che sorride e non twittarlo, ricevere un fiore che vuol dire ti amo senza instagrammarlo, avere un’opinione e non postarla, provare un dolore e non farlo sapere a tutti gli estranei con cui sei in contatto.

È bello far sapere che si è felici solo se non si ricerca la felicità nell’approvazione, solo se la gioia resta a prescindere dall’esistenza di un pubblico.

Amo tutto di internet, perché mi ha resa la persona che sono più di tanti altri strumenti usati nella vita e tante altre avventure vissute, eppure sto facendo qualche passo indietro per recuperare il piacere effimero e personale delle piccole cose.

Cerco di liberarmi dall’ansia della cronaca continua della vita. Non è facile. Perché in maniera stupida vivo anch’io la sensazione di perdere delle occasioni, occasioni di popolarità che mi cambieranno la vita. Pur sapendo che non modificheranno davvero nulla. Perché alla fine, la vita è proprio l’insieme delle piccole cose che succedono quando non c’è nessun pubblico a guardarti. E spesso sono cose davvero belle.

Così sono diventata migliore

Mi piace pensare che tutte le persone possano cambiare.
A me è successo, dopo eventi traumatici, abbandoni, lunghi viaggi; dopo amori che mi hanno rimescolato le budella, mettendo in forse tutto il prima e ipotecando il dopo.

Sono cambiata molto. A fatica, perché trasformarsi è sempre una piccola sconfitta, è accettare di avere dei difetti di fabbricazione, di avere qualcosa di sbagliato, di funzionare male. Quando si cambia in meglio. Perché a cambiare in peggio si fa molto più in fretta, e io lo so perché ho visto tutte le puntate di Breaking Bad.

Ho sempre giustificato le mie mancanze, verso gli altri e verso me stessa, come bisogni. Faccio così perché ho bisogno di, non riesco a darti quello che vuoi perché ho bisogno di, non riesco a esserti fedele perché ho bisogno di, non posso essere più presente perché ho bisogno di. Il mio bisogno di era l’alibi peggiore.
Mi è capitato di ferire le persone per immaturità, egoismo, distrazione, rabbia, invidia, pigrizia e troppe poche volte sono riuscita a chiedere perdono. Ancora meno a ottenerlo.
Così sono diventata migliore. A costo di darmi di meno, di fare un passo indietro, di metterci meno me stessa. Ho imparato che è meglio non fare, se fare può far soffrire le persone che amo. Ho imparato che è meglio fare un passo verso gli altri che aspettare che ti inseguano.
Ho imparato a trasformarmi, con un lungo allenamento, come quello che ho fatto per mantenere i glutei alti e la pancia piatta.

Sono stata ferita spesso, nella vita. Poche volte mi hanno chiesto scusa. Perché quando sei dura e severa e introversa e solitaria, gli altri credono che non ti spezzerai. Non lo fai. Ti crepi dentro, ti si aprono voragini enormi che fai fatica a riempire di cose belle.
Cambiando, imparo a schivare i colpi. Sono troppo vecchia per attaccare, devo solo provare a non farmi troppo male.
Quando qualcuno mi sgretola dentro, mi allontano. Quando chi mi ama non fa nulla per proteggermi, scappo via.

Mi piace pensare che tutte le persone possano cambiare. Mi piace pensare che possano diventare migliori. Mi piace immaginare che non siamo destinati all’infelicità.  E se ci sono riuscita io, puoi farlo anche tu.

Ci puoi scommettere

Tra pochi giorni sarà il mio compleanno.
Non mi è mai piaciuto invecchiare. E non mi piace festeggiare subito dopo il tripudio natalizio, capodannesco e dell’Epifania.
Non amo invecchiare, ma quest’anno mi sembra più accettabile, meno crudele.

Dicono che succede quando diventi adulto.

Ho capito delle cose, ultimamente. Delle cose che erano lì, a ronzarmi nella testa da anni, ma che sembravano distanti, criptiche, complicate, inopportune.

Ho capito che ci sono stagioni della vita e sono tutte belle e impegnative ed emozionanti. Ma bisogna saperle accettare. E a me non andava proprio a genio di lasciare andare i vent’anni, così comodi, così ribelli, così leggeri, così appassionati.

Un giorno ti svegli, ti guardi intorno, e hai costruito delle cose. Non tutte reggono, non tutte funzionano. Il lavoro va e viene e ti angoscia, ti mortifica, ti dispera o ti gratifica sempre di più. I tuoi amici hanno fatto dei figli, hanno comprato automobili grandi, hanno iniziato a fare le ferie in montagna o al lago, passano le sere a guardare reality in TV. I tuoi genitori sono invecchiati, ti chiamano in continuazione per delle sciocchezze, ripetono sempre le stesse cose, diventano meno indipendenti, hanno più bisogno di attenzioni.
Non fa male essere cambiati, essere cresciuti. Infilarsi a letto il sabato sera a mezzanotte sembra quasi una conquista: non devi più dimostrare niente, non devi più aggredire il mondo, non devi più trasgredire.
Anche se poi lo fai quando ne hai voglia e con più stile e con più classe e con più lentezza.

Non so esattamente cosa volessi dire.

Non credevo che la mia vita sarebbe stata questa. Poteva andarmi peggio.
Ho passato tanti anni ad avere fretta. Sempre di corsa. Sempre di corsa.
Avevo fretta di vivere, di provare, di sentire, di fare tutto tutto, di rompere gli schemi, di andare oltre le regole.
Sempre di corsa. Sempre di corsa.
A volte arrivavo prima. E magari il portone era chiuso e dovevo comunque aspettare che qualcuno mi venisse ad aprire.

Per colpa di desideri o di ambizioni sbagliate, ho passato tanto, troppo tempo, circondata da persone che non mi hanno fatto bene. Ho usato parole belle che si sono consumate in fretta e allora mi sono nascosta nelle parole brutte, violente, faticose.

Sono scappata innumerevoli volte e non sono tornata quasi mai, perché ho sempre considerato i ritorni dei fallimenti.

Adesso sono adulta e capisco e non ho fretta e aspetto e scelgo. Soprattutto scelgo. Le persone, i colleghi, i posti, gli affetti, l’amore.

Anche l’amore diventa diverso, quando non hai più vent’anni.

Ho desiderato tutta la vita uomini che non potevo avere o uomini che fuggivano o uomini tormentati, strambi, eccentrici, figlidiputtana.

Ho passato la vita a cercare l’uomo che mi facesse vivere continuamente con le farfalle nello stomaco, che mi dicesse no, no, non posso, non voglio, non voglio stare con te, non posso stare con te. Un passo avanti, due passi indietro. Un passo avanti, due passi indietro.

Non so perché l’ho fatto. Per sfida, per paura, per desiderio. C’è così tanta passione nelle storie difficili! Non sarebbe bello vivere in un romanzo di quelli incasinati, ma che, poi, finisce bene?

Ho passato la vita a cercare la metà della mela. Perfetta. Precisa. Ho fatto un po’ di strada con uomini speciali, ho costruito castelli, case, sogni, desideri. Poi è tutto finito.

Passi tutta la vita a idealizzare l’uomo giusto, il principe azzurro, l’artista bello e dannato, e poi ti innamori di un esattore delle tasse o di un maestro elementare o di un metallaro quarantenne dai capelli lunghi.

L’amore è la cosa più ridicola e bella che ti possa capitare.

Alla mia età lo accetti e impari.

Impari che non è necessario riempire i vuoti e avere fretta e accontentarsi e rinunciare ai propri sogni e mettere le ambizioni e i desideri in un cassetto.
Impari che se non credi in te stesso, nessuno crederà in te, che se non impari a stare da solo, nessuno starà bene con te, che se non impari a godere delle cose che hai, non sarai mai sazio.

Tra pochi giorni è il mio compleanno.
Ho quasi capito cosa voglio fare da grande.
Ho capito che non bisogna dare agli altri illudendosi che un domani diano a te.
Ho capito che c’è ancora tanto lavoro da fare.
Ho capito che l’unico amore per cui vale la pena di lottare è quello che ti dice “voglio stare con te. Anche se fa paura, fa male, è difficile, è complicato, io voglio stare con te”.
Ho capito che tutto passa.
Ho capito che senza di te spariscono i colori.
Ho capito che nei fine settimana Milano si svuota.
Ho capito che sarà un grande anno. Il migliore.
Ci puoi scommettere.

Cose che mi ha insegnato il 2012 e che spero di ricordare a lungo

La prima regola per non soccombere è imparare a dire di no.

Le occasioni si presentano sempre quando sei disposto a cambiare strada.

La notorietà è effimera. Conta molto più chi sei di quello che sembri essere.

Le storie che hai dentro sono tutte importanti, soprattutto se sei pronto a raccontarle.

Non pensare ai tuoi successi come a traguardi, ma come a punti di partenza.

Se non sei in grado di gioire del successo e della felicità altrui, non sei pronto a meritarti il meglio.

Gli amici veri non chiedono, non pretendono, ascoltano, capiscono, sorridono, abbracciano, ridono. E ti fanno il culo quando stai sbagliando.

Sforzati di esserci, quando gli altri hanno bisogno di te. Fallo sempre.

Non importa l’età. Continueremo, tutta la vita, a innamorarci come adolescenti.

L’amore non basta. No, non basta. Ci vogliono presenza, gioco, desiderio, comprensione, compromessi e pazienza.

Il tempo cura davvero tutte le ferite.

Non è mai troppo tardi.

Non è mai troppo tardi.

Non è mai troppo tardi.

Sono pigra

Io, più di ogni altra cosa, sono pigra.

Sono pigra in tutto, nelle decisioni, nelle azioni, nelle emozioni.

Sono pigra la mattina, quando fatico a svegliarmi, sono pigra il pomeriggio, quando procrastino all’infinito.

Sono pigra negli inizi, sono pigrissima nelle fini.

Sono pigra quando devo cominciare una nuova vita e posticipo sempre e dico di no agli inviti e dico vengo dopo e poi non vado e resto a sguazzare nella pigrizia di chat lunghe, di divano, di libri lasciati a metà, di pantofole calde, di lunghissime docce bollenti, di telefonate mai fatte, di email mai spedite, di lavori da finire, di gatto che miagola e mi fissa.

Sono pigra e malinconica e poi di colpo faccio mille cose per riuscire ad avere il tempo libero di non fare nulla.

Mi piace perdere tempo per poi sentirmi in colpa per averlo perso. È un godimento malato e perverso.

Più di ogni altra cosa sono pigra. E aspetto solo perché è meno faticoso di cercare.

Non ho un cane perché sono troppo pigra per portarlo giù a pisciare. Non fumo perché sono troppo pigra per andare a comprare le sigarette.

Adesso mi è finito il caffè, ma sono troppo pigra per andare a comprarlo.

Mi faccio un tè. A me fa schifo il tè, ma sono pigra.

Più di ogni altra cosa sono pigra.

Quindi bevo il tè e aspetto la tua telefonata. Se non chiami tu, io non lo farò.

Più di ogni altra cosa sono pigra. Però sono anche un po’ stronza, mi dispiace.

Come Forrest Gump

Da quel giorno lì che ho sentito la frattura, ho iniziato a correre prima che la crepa si allargasse troppo.

E più correvo più si allargava e io mi dicevo devo andare avanti, non mi devo fermare, non mi devo fermare.

Da quel giorno che ho sentito che tutto si era rotto, ho iniziato a correre e avrei voluto trascinarti per mano e farti correre con me e non farti cadere nella crepa e dirti salta, salta adesso che ce la possiamo fare e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci.

Da quel giorno lì che ho sentito quel boato, che era dentro, proprio in fondo, e io pensavo che si fermasse il mondo, invece era un rumore assordante solo nel mio troppo silenzio, ho iniziato a correre e non sono riuscita, non ce l’ho fatta, a dire tutto, a finire tutto, a chiudere tutto, a salvare tutto.

Ogni tanto mi dicevo devo tornare indietro e continuavo a correre e poi mi giravo e mi dicevo ma forse anche lui, anche loro mi corrono dietro e vogliono raggiungermi e non mi lasceranno sola.

Da quel giorno che ho sentito che era il momento, che niente sarebbe più stato lo stesso, che non ce l’avevo fatta, che non c’era salvezza, non c’erano ritorni, ho iniziato a correre e ho corso così tanto che non avevo più fiato e non avevo più forze e non avevo più strada e non avevo più meta.

E poi oggi mi sono ritrovata così, a correre senza fermarmi, in Corso Buenos Aires e c’era un caldo torrido e c’era la folla che mi passava accanto e c’erano cose che avevo già visto e niente mi apparteneva ed era un luogo anonimo e largo e con troppa luce.

E allora mi sono fermata. Ché se corri e corri e corri per mesi, tra le macerie, tra il vuoto e il troppo pieno, e poi ti ritrovi lì, in questa Milano che è sempre di tutti e di nessuno, in cui non ti senti mai estranea e mai a casa, piena di cose da fare e con poche persone a cui dire, se corri e corri per mesi e ti trovi, col mal di piedi e con la testa piena, in Corso Buenos Aires, con la canicola e i pensieri ammassati e senza nessuno che ti aspetta e senza nessun impegno, se corri e corri, poi dici basta, ho corso troppo, adesso basta.

Ho corso abbastanza per sfuggire a tutto e ho lasciato tutto alle spalle e ho perso tutto e correndo ho trovato cose nuove, ma non le ho portate dietro con me, perché correndo devi stare leggera, senza bagagli, senza fardelli.

Ho corso abbastanza e mi fermo.

Sono un po’ stanchina.

Aspettando

Sono passati sei mesi.
Lavoro molto meno, faccio cose che mi piacciono molto. Guadagno più o meno lo stesso, ma è tutto pagato a novanta, centoventi giorni. Scrivo tanto, leggo meno di quello che vorrei, parlo molto, viaggio sempre, tutte le settimane, più volte alla settimana, prendo treni, dormo da amici, dormo in hotel, dormo in monolocali in prestito. Quando riesco. Per il resto non dormo, prendo sonniferi, se li dimentico sto sveglia, guardo gli oggetti, penso, ripenso, rifletto, penso, ricostruisco.
Esco con persone che non frequentavo da anni, esco con persone che non avevo mai visto. Bevo, mangio poco, faccio sport, provo a non ingrassare di nuovo, provo vestiti, compro vestiti, pago con la carta, controllo il saldo della carta.
Cerco casa, torno a casa, compro casa, vendo casa, pago affitti, pago spese.
Sono passati sei mesi e ho vissuto tre vite.
Ho cambiato la pelle, svuotato la testa con un cucchiaio da zuppa. Ha fatto male, malissimo. Adesso lascio che si asciughi prima di riempirla di nuovo.
Sono passati sei mesi dall’inizio della nuova vita, ma proprio tutta nuova e che fatica! e che difficile! e il senno di poi sempre col fiato sul collo.

Sono passati sei mesi – ecchecazzo! – e ho pianto, sospirato, fatto strage di fantasmi, pulito, aperto le finestre, comprato sandali nuovi, visto il mare, fatto spazio, comprato vino buono, pettinato i capelli, lucidato le labbra.

Adesso mi siedo e aspetto le cose belle.

Se quattro mesi vi sembran pochi

Lasciare il lavoro, iniziare a vivere della propria arte senza avere talento, cambiare città, cambiare amici, cambiare abitudini, viaggiare sempre, scrivere, parlare tanto, ricevere proposte professionali insperate, ritrovare amici persi da anni, amare, smettere di amare, incasinare le relazioni, confondere i sentimenti, pretendere ciò che non puoi avere, perdere ciò che avevi, piangere, avere paura, scoprire di essere umana, imparare a chiedere aiuto, bere con amiche bellissime, leggere sui treni, dimagrire di due taglie, cambiare taglio di capelli, cambiare guardaroba, ripeterti che ce la puoi fare, ricominciare da tre.

Ce ne dobbiamo fare una ragione

Ci sono quei periodi in cui il mondo sembra essersi fermato, in cui tutto è in equilibrio e tu stai bene e ti sembra di non voler desiderare altro, di poter stare lì a vivere la vita immobile, senza cambiare nulla, senza spostare nulla.

Poi arriva, un giorno, un nuovo impercettibile desiderio e provi ad allungare una mano, a fare un passo, a spostare gli oggetti, a toccare le persone. Arriva il giorno in cui ti muovi e perdi l’equilibrio e la vita torna a essere un torrente e le cose cambiano e cambiano, lo fanno senza chiederti il permesso, senza aspettare che tu sia pronto.

Ce ne dobbiamo fare una ragione.

Niente resta sempre uguale, niente dura per sempre.

Ce ne dobbiamo fare una ragione.

E possiamo provare a resistere, a lottare, a cercare di tornare indietro, a implorare le persone di non andarsene, a gridare aiuto, a piangere, a spaccare gli oggetti, a strapparci i capelli, ma la vita se ne fotte, ce ne dobbiamo fare una ragione.

Dopo aver provato tutto, dopo aver usato tutte le parole, anche le più crudeli e difficili, dopo aver ucciso il nostro orgoglio ed esserci mostrati fragili, dopo aver sofferto e fatto soffrire, dopo aver amato e aver smesso di amare, dopo aver sbagliato e aver chiesto perdono, non ci resta che farci trascinare dalla corrente.

Non possiamo che scorrere, in questo torrente del cazzo che è la vita, e accettare la fine e aspettare gli inizi, coltivare le speranze giuste e abbandonare le illusioni, trattenere chi vuole essere trattenuto e lasciare andare chi vuole starci lontano.

Le cose cambiano senza chiederci il permesso e un giorno ci distruggono e un giorno ci ricostruiscono.

Domani andrà meglio, lo so. Oggi, però, resto qui a cercare di farmene una ragione.

Chi ben comincia

I momenti che preferisco di più nella vita sono quelli in cui inizio a realizzare progetti.

Amo le startup personali, quelle in cui organizzo le mie risorse, azzardo, provo a credere in me stessa, festeggio ogni piccolo traguardo, sbaglio, piango, mi perdono l’errore (a fatica) e vado avanti.

Sono i periodi più felici e quelli più disperati, in cui mi sveglio la mattina in lacrime e vado a dormire sbronza e sorridente.
Sono i periodi di più grande emotività, quelli in cui ho voglia di parlare con le persone, di vederle, di toccarle, di sentirle in continuazione, di spiegarmi e farmi spiegare, di abbracciarle, di capire se posso fidarmi di loro, di capire se ho fatto bene a tenerle distanti, se ho fatto bene a farle entrare così tanto dentro di me.
Sono i periodi in cui sono più molesta, più cacacazzo. Però divertente.
E sono i periodi di cui ho più paura, perché quando il progetto partirà, quando il dado sarà tratto, sarà il momento di capire se sarò all’altezza, se ce la farò davvero, se sarò abbastanza adulta, se potrò sopravvivere a un sì o a un no.

Vorrei potermi fermare al progetto, un attimo prima che sia definitivo, per poter modificare, ripensarci, aggiustare, migliorare, tornare indietro, rifare tutto, riprovare all’infinito.

Vorrei poter essere una startup perenne, nella vita, nel lavoro e in amore. Avere sempre l’entusiasmo dell’inizio, avere sempre la certezza che posso riprovarci, posso ricominciare.

Vorrei essere come Penelope, disfare la mia tela di notte per essere obbligata a ripartire dall’inizio e non finire mai.

Vorrei essere meno pigra e meno spaventata, perché, come dici tu, solo quando avrò smesso di progettare e mi sarò buttata nella mischia potrò abbandonare i miei fantasmi passati e vivere davvero la mia ennesima vita nuova.

Perfezionista

All’università ho preso tutti 30 e lode, tranne a due esami, nei quali ho preso un 28 e un 29.

Volevo rifiutarli, ma non avendo mai ripetuto un esame, nei pochi momenti tra la declamazione del voto e la firma sul libretto, ho dovuto decidere, a fatica, se il mio orgoglio avrebbe retto meglio la non perfezione o la replica.

Il resto della mia vita è stato sempre così, un compromesso tra orgoglio e limiti, tra perfezionismo e umanità. Non sempre mi è stata concessa una seconda occasione. Non sempre ho accettato di poter sbagliare.

Ho imparato, però, a sopravvivere meglio sia ai successi che ai fallimenti.

Ho imparato a sopravvivere meglio perché il tempo mi ha insegnato una grandissima lezione: non importa se a volte non riesci a essere perfetta. L’importante è trovare, sempre, qualcuno a cui dare la colpa.

Stiletto Academy

Ho cambiato vita ed è cambiato anche il blog.

Sono diventata più saggia e sentimentale, vado in palestra, sono dimagrita senza volerlo, non prendo più i treni tutte le mattine, sono una libera professionista e non più una dipendente, ho una socia in affari bionda, creo il caos nella vita di amori e amici (questo l’ho sempre fatto, ma adesso lo faccio a tempo pieno), bevo meno caffè, ma lo bevo più buono, scrivo di più, dormo di più, non parlo quasi mai al telefono, ho trasformato la camera verde della casa nuova nel mio ufficio, ho ritrovato vecchi amici, sto provando ad aggiustare le cose.

Ho tanti progetti nuovi e un cassetto pieno di altre idee.

Il primo progetto neonato è la Stiletto Academy, che è quella meravigliosa cosa per cui due donne brillanti decidono che hanno voglia di insegnare ad altre donne a sorridere della vita e a sentirsi le femmine che hanno sempre sognato di essere. Tutto sui tacchi a spillo.

Inauguriamo l’agenzia sabato prossimo, il 26 febbraio, a Milano, con un workshop su tacco 12, il 12camp, un pomeriggio di lezione sui tacchi, di consigli sul portamento, di benessere, di aperitivi e di ricchi premi e cotillon.

Le iscrizioni sono già sold out, ma potete seguire l’evento in diretta streaming dalla pagina di facebook.

E il resto ve lo racconto poi.

Adesso devo indossare tacchi e mantello e tornare a salvare il mondo.