La prima volta che ho preso un aereo avevo appena compiuto due anni. I miei genitori erano ancora sposati e ci stavamo trasferendo in Olanda, a Deen Haag. Mia mamma aveva il pancione, aspettava mio fratello. Siamo partiti di notte, da Roma, con un volo della Thai che faceva scalo a Scheveningen. Non ricordo quasi nulla. Dev’essere stato bello.
Il volo più emozionante che ho fatto è stato quello il secondo anno di università, per Damasco. Era un viaggio organizzato con i compagni del corso di arabo. Nessuno sull’aereo allacciava le cinture o stava seduto e io mi sentivo come in partenza per la scoperta del mio futuro. Un futuro da antropologa del Medio Oriente che ho abbandonato tre anni dopo la laurea.
Il volo con più aspettative è stato quello da Venezia per Parigi, quando mi sono trasferita per l’Erasmus. La borsa di studio durava nove mesi. Sono rientrata in Italia dopo due anni.
Il volo più silenzioso che ho fatto è stato quello da Monaco a Mosca. Stavo raggiungendo il mio ragazzo dell’università. Ero innamorata come una scema. Non capivo una sola parola di russo. Lui si è presentato all’aeroporto con un’ora di ritardo. Stava giocando a calcetto.
Il volo più divertente è stato durante il mio primo viaggio in SudAmerica. Con la mia splendida cognata Irma, siamo partite da Santa Cruz de la Sierra per Cochabamba, in Bolivia. Da brave sudamericane, ci eravamo presentate la mattina nell’aeroporto sbagliato. Così abbiamo preso un taxi e ci siamo ritrovate nell’aeroporto giusto con solo 20 minuti di anticipo sul volo. Erano tutti divertiti. Non hanno fatto passare i bagagli nello scanner, ci hanno aperto un enorme portone e ci hanno lasciate correre per la pista per salire sull’aereo con i motori già accesi.
Il volo più turbolento è stato quello di rientro da Lampedusa, per Catania, nell’estate più bella della mia vita. L’aereo aveva cominciato a ballare come un Tagadà. Ero con gli amici di una vita. Ci siamo tutti guardati e, per istinto, ci siamo fatti il segno della croce. E poi siamo atterrati sani e salvi per raccontarlo.
Il volo che ho più rimpianto è stato quello che ho perso nel settembre scorso, per New York. Non sono partita, rinunciando a un viaggio che desideravo da tanto tempo e che spero di fare presto.
Poi ci sono tanti, tanti voli belli e brutti che ho preso e tanti, tantissimi ancora da fare. Volare non è come viaggiare in treno o in macchina. Ogni viaggio in aereo è l’inizio o la fine di un’avventura.
Appena laureata avevo fatto le selezioni per fare la hostess. Ma poi ho capito che lavorare su un aereo non era una cosa per me.
Io voglio guardare fuori dal finestrino e leggere e stringerti la mano e sorriderti e farti appoggiare la testa sulla mia spalla e sconfiggere il mal d’orecchie e prendere in giro quelli che applaudono all’atterraggio e lamentarmi di quelli che non riescono a tenere spento il cellulare e studiare il catalogo di meraviglie che ti vendono a bordo e che non comprerei mai e immaginare come sarà, una volta scesi a terra, dopo aver recuperato il bagaglio e varcato l’uscita e respirato l’aria dell’ennesimo altrove.
(Domenica sarò ospite all’inaugurazione del terzo satellite di Malpensa, insieme a Linus, Nicola Savino e tanti altri. Sarà divertente passare la giornata in aeroporto. Se passate, ci vediamo lì. E se ci va, prendiamo il primo e volo e non torniamo più).