-Che hai fatto in tutti questi mesi, Dania?
-Sono andata a letto presto. Ah, e ho letto tanti libri.
Avevo immaginato una gravidanza diversa, piena di progetti portati a termine, viaggi, cose da fare e persone da vedere perché poi non avrò più il tempo di, lavori accumulati per guadagnare il più possibile, soggetti da completare e spedire agli editori per assicurarmi di non essere dimenticata troppo presto. Non ce l’ho fatta. Ho scritto e pubblicato il mio ultimo romanzo durante i tre mesi di nausee, ho passato una bellissima estate al mare a non fare assolutamente nulla, ho lavoricchiato, ho visto amici, ho fatturato quello che ho potuto, sono ingrassata, ho preparato il nido, sono ingrassata un altro po’ e lo sto ancora facendo.
I libri mi hanno fatto compagnia nelle giornate lunghissime in cui non potevo correre/saltare su un aereo/fare sforzi/bere vino, alcuni divorati in un pomeriggio, altri trascinati a lungo in giro per i caffè della città, altri ancora abbandonati dopo poche pagine.
Vi racconto quelli che più hanno alimentato sogni e incubi di queste notti lunghe, sperando che vi venga voglia di leggerli o di non leggerli mai, perché così dovrebbe funzionare con le storie: non tutte devono essere per forza vissute da noi impavidi ed esigenti lettori.
Pronti per la mia (breve, lo giuro!) lista? Cominciamo.
Sono una lettrice snob e come i miei simili ho un’avversione per i successi annunciati, mi provocano un dolore quasi fisico, simile all’orticaria e all’alluce che si schianta contro il bordo del divano. Se lanci un romanzo dichiarando che è “il libro dell’anno” e magari siamo al 6 gennaio e non l’ha ancora letto nessuno, mi fai venire voglia di non acquistarlo e sfogliarlo mai mai mai.
Le ragazze di Emma Cline (Ed. Einaudi, 18 euro) era destinato a essere uno dei titoli che non avrebbero mai trovato rifugio sui miei scaffali, esordio di un’autrice poco più che ventenne “taggato” già in fascetta come capolavoro, piazzato strategicamente nei posti migliori delle mie librerie di fiducia e consigliato da tutte le persone del cui giudizio mi fido pochissimo. E invece…
Evie, fresca adolescente annoiata, figlia di una madre benestante e new age e di un padre patetico che lascia tutto il poco che ha per un’amante più giovane, è in cerca di attenzioni. I suoi quattordici anni le calzano male come un vestito preso in prestito e ha una fretta molesta di emozioni, cambiamenti, amore. I giorni si susseguono uguali e noiosi come il ritornello di una canzone brutta, fino a quando non incontra le “ragazze” in un parco cittadino, capelli lunghi, vestiti corti, sfacciate, terribili e si lascia trascinare da loro in quella che le sembra essere la vita vera. Finisce al ranch, una comune tra le colline, zozza e libertina come i meravigliosi anni ’60 ormai al tramonto, guidata dal carismatico Russell, wannabe musicista e improvvisato santone che gode della venerazione di molti seguaci. La storia è un déjà-vu, se come me avete visto in una sola settimana tutte le due stagioni di Aquarius e avete googolato tutto lo scibile su quelle simpatiche canaglie di Charles Manson e i suoi scagnozzi: il crescendo di rabbia e frustrazione, il delitto famoso, le donne che eseguono e il guru che fa da mandante, la droga, il sesso, il sangue.
I fatti sono quelli della triste cronaca, quello che colpisce, però, è il punto di vista, il racconto di un’adolescenza da cui forse non ci emancipiamo mai, le sensazioni della fatica e dello stupore di vivere che subiamo a quindici anni e che forse segnano davvero tutto il resto della nostra esistenza.
Ho rivissuto emozioni (spesso sgradevoli) che avevo rimosso, così attenta come sono stata a seppellire il disagio provato ere geologiche fa di non essere più bambina e non essere ancora adulta.
Ho gradito meno la retorica che ogni tanto affiora sul bisogno delle donne di seguire un uomo comunque e ovunque, ma ho cercato di circoscriverla al tempo storico in cui è ambientato per la maggior parte il romanzo.
E poi, Emma Cline scrive dannatamente bene!
Siamo sicuri che abbia solo 24 anni? Che il traduttore non sia intervenuto per rendere più gradevole un testo acerbo? Che non ci sia troppo cesello di un bravo editor, dietro? Perché quando incontro penne così felici, anche se la trama non mi toglie il fiato, non riesco comunque a staccare gli occhi dalle righe (e ho bisogno di tanto zucchero per rimettere in sesto la mia autostima).
“A quell’età il desiderio era spesso un atto di volontà” e “c’era solo la soffocante, perenne presenza di me stessa, una compagnia stupida e disperata” sono solo un paio delle frasi che ho sottolineato, che riassumono perfettamente il mio pensiero su quel periodo della vita che non ho amato per nulla (povero figlio mio, quando ci arriverai!).
Un romanzo che consiglio, scorrevole, potente, con una storia non troppo originale, ma di sicuro gradevole.
Se il mondo fosse un posto giusto, l’autrice dovrebbe aspettare almeno la mia età per pubblicare un altro bel libro (e non farmi sentire ormai troppo vecchia).