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Il tempo quando non fa il galantuomo

È il primo novembre, dal 2011, in cui non uscirà un mio nuovo romanzo in libreria. Stava diventando una piccola tradizione a cui iniziavo a legarmi. Era confortante sapere di avere un appuntamento fisso con i lettori più affezionati.

Quest’anno è stato professionalmente tutto più difficile, perché la maternità è un’esperienza totalizzante, un lavoro 24/7, è vivere la vita di un altro essere umano dall’inizio, nutrirlo (letteralmente) col tuo corpo, essere presente a tutte le sue prime conquiste, restare sveglia per notti intere, e per settimane o per mesi riuscire a riposare poco e male, col rischio di concentrarti pochissimo, avere tempi di recupero eterni, non essere mai disponibile negli orari in cui dovresti.

Sono stata fortunata perché ho comunque lavoricchiato, su progetti belli, per agenzie e riviste serie e professionali, con colleghi pazientissimi, soprattutto considerando che ho la nonna che vive a 250 chilometri di distanza e un budget molto risicato per assistenza specializzata (sante tate, carissime tate!). Ho provato a incastrare tutto tra un riposino, la notte, un giorno libero del mio compagno, qualche mattina di autonomia.

Però un libro no, non ce l’ho fatta. Ho trovato un’agente (e avrei dovuto farlo due anni fa), abbiamo scelto un soggetto da sviluppare tra i tanti che avevo in mente, un editore a cui proporlo, e adesso non mi resta che provare a scrivere uno e due capitoli per capire se è nelle mie corde. Ma il tempo della scrittura è un tempo infame, che non ha rispetto dei programmi, che non sfrutta le ore libere, che ti lascia a marcire giorni interi davanti a una pagina bianca e poi spinge e preme quando non hai in mano nemmeno il cellulare per prendere appunti, figuriamoci un pezzo di carta!

È vero, come mi ripetono in tanti, che quest’anno ho dato alla luce il mio più grande capolavoro, (mio figlio, eh, e non lo trovate sugli scaffali), ma è altrettanto vero che è frustrante rendersi conto di non riuscire a fare tutto, di dover rallentare, mollare la presa, accorgersi che il tempo non sa fare il galantuomo come dicevano, e a volte corre troppo in fretta, quando non riesci a lavorare, e va tanto lento quando sei immersa nelle cose meno piacevoli, come la gastroenterite che il tuo piccolo ha preso dopo nemmeno una settimana di inserimento al nido.

Non sarà sempre così, lo so. Ci saranno altri libri e spero resteranno anche lettori curiosi di leggerli. E ci saranno altri lavori, quando tornerò efficiente al millepercento. Lo so e lo sanno tutte le mamme.
Ma trattateci bene, quando abbiamo paura di non tornare più le stesse di prima, perché forse è vero che non lo torneremo più. Forse saremo migliori. Forse scriveremo dei libri meravigliosi che non sapevamo nemmeno di avere in testa e ci ricorderemo di questi momenti fragili e irripetibili con tenerezza.
Forse.

Io voglio pensare che dopo sia sempre meglio di prima.

(Se non hai mai letto i miei libri e sei curioso o li hai letti e hai nostalgia, li trovi tutti qui).

Libri in attesa: Le ragazze di Emma Cline

-Che hai fatto in tutti questi mesi, Dania?
-Sono andata a letto presto. Ah, e ho letto tanti libri.

Avevo immaginato una gravidanza diversa, piena di progetti portati a termine, viaggi, cose da fare e persone da vedere perché poi non avrò più il tempo di, lavori accumulati per guadagnare il più possibile, soggetti da completare e spedire agli editori per assicurarmi di non essere dimenticata troppo presto. Non ce l’ho fatta. Ho scritto e pubblicato il mio ultimo romanzo durante i tre mesi di nausee, ho passato una bellissima estate al mare a non fare assolutamente nulla, ho lavoricchiato, ho visto amici, ho fatturato quello che ho potuto, sono ingrassata, ho preparato il nido, sono ingrassata un altro po’ e lo sto ancora facendo.
I libri mi hanno fatto compagnia nelle giornate lunghissime in cui non potevo correre/saltare su un aereo/fare sforzi/bere vino, alcuni divorati in un pomeriggio, altri trascinati a lungo in giro per i caffè della città, altri ancora abbandonati dopo poche pagine.

Vi racconto quelli che più hanno alimentato sogni e incubi di queste notti lunghe, sperando che vi venga voglia di leggerli o di non leggerli mai, perché così dovrebbe funzionare con le storie: non tutte devono essere per forza vissute da noi impavidi ed esigenti lettori.

Pronti per la mia (breve, lo giuro!) lista? Cominciamo.

Le ragazze

Sono una lettrice snob e come i miei simili ho un’avversione per i successi annunciati, mi provocano un dolore quasi fisico, simile all’orticaria e all’alluce che si schianta contro il bordo del divano. Se lanci un romanzo dichiarando che è “il libro dell’anno” e magari siamo al 6 gennaio e non l’ha ancora letto nessuno, mi fai venire voglia di non acquistarlo e sfogliarlo mai mai mai.
Le ragazze di Emma Cline (Ed. Einaudi, 18 euro) era destinato a essere uno dei titoli che non avrebbero mai trovato rifugio sui miei scaffali, esordio di un’autrice poco più che ventenne “taggato” già in fascetta come capolavoro, piazzato strategicamente nei posti migliori delle mie librerie di fiducia e consigliato da tutte le persone del cui giudizio mi fido pochissimo. E invece…

Evie, fresca adolescente annoiata, figlia di una madre benestante e new age e di un padre patetico che lascia tutto il poco che ha per un’amante più giovane, è in cerca di attenzioni. I suoi quattordici anni le calzano male come un vestito preso in prestito e ha una fretta molesta di emozioni, cambiamenti, amore. I giorni si susseguono uguali e noiosi come il ritornello di una canzone brutta, fino a quando non incontra le “ragazze” in un parco cittadino,  capelli lunghi, vestiti corti, sfacciate, terribili e si lascia trascinare da loro in quella che le sembra essere la vita vera. Finisce al ranch, una comune tra le colline, zozza e libertina come i meravigliosi anni ’60 ormai al tramonto, guidata dal carismatico Russell, wannabe musicista e improvvisato santone che gode della venerazione di molti seguaci. La storia è un déjà-vu, se come me avete visto in una sola settimana tutte le due stagioni di Aquarius e avete googolato tutto lo scibile su quelle simpatiche canaglie di Charles Manson e i suoi scagnozzi: il crescendo di rabbia e frustrazione, il delitto famoso, le donne che eseguono e il guru che fa da mandante, la droga, il sesso, il sangue.
I fatti sono quelli della triste cronaca, quello che colpisce, però, è il punto di vista, il racconto di un’adolescenza da cui forse non ci emancipiamo mai, le sensazioni della fatica e dello stupore di vivere che subiamo a quindici anni e che forse segnano davvero tutto il resto della nostra esistenza.
Ho rivissuto emozioni (spesso sgradevoli) che avevo rimosso, così attenta come sono stata a seppellire il disagio provato ere geologiche fa di non essere più bambina e non essere ancora adulta.
Ho gradito meno la retorica che ogni tanto affiora sul bisogno delle donne di seguire un uomo comunque e ovunque, ma ho cercato di circoscriverla al tempo storico in cui è ambientato per la maggior parte il romanzo.
E poi, Emma Cline scrive dannatamente bene!
Siamo sicuri che abbia solo 24 anni? Che il traduttore non sia intervenuto per rendere più gradevole un testo acerbo? Che non ci sia troppo cesello di un bravo editor, dietro? Perché quando incontro penne così felici, anche se la trama non mi toglie il fiato, non riesco comunque a staccare gli occhi dalle righe (e ho bisogno di tanto zucchero per rimettere in sesto la mia autostima).
A quell’età il desiderio era spesso un atto di volontà” e “c’era solo la soffocante, perenne presenza di me stessa, una compagnia stupida e disperata” sono solo un paio delle frasi che ho sottolineato, che riassumono perfettamente il mio pensiero su quel periodo della vita che non ho amato per nulla (povero figlio mio, quando ci arriverai!).

Un romanzo che consiglio, scorrevole, potente, con una storia non troppo originale, ma di sicuro gradevole.
Se il mondo fosse un posto giusto, l’autrice dovrebbe aspettare almeno la mia età per pubblicare un altro bel libro (e non farmi sentire ormai troppo vecchia).

Perché non dovresti mai leggere libri (nemmeno se costretto)

In Italia si legge poco, pochissimo.
Una famiglia su dieci non ha nemmeno un volume in casa, poco più di un terzo della popolazione ha sfogliato un libro l’anno scorso e la metà dei ragazzini sotto i 17 anni non ha letto nulla al di fuori dei testi scolastici.

È allarme! È analfabetismo di ritorno (ma se n’era davvero andato?)! È panico tra gli addetti ai lavori, le case editrici, gli intellettuali, gli insegnanti! C’è terrore tra gli scrittori (soprattutto i wannabe).

Eppure, a rigor di logica, se la maggior parte degli italiani non legge, non saremo forse noi, la minoranza, a sbagliare? È davvero così importante amare i libri? E se fosse solo un complotto radical chic?

Ci ho riflettuto a lungo e ho tratto le mie conclusioni. I libri sono un pericolo. Ecco perché non dovresti mai leggerli:

Leggere fa perdere un sacco di tempo.  Sfogliare un libro la sera vuol dire non poter stare immobili davanti alla tv a fare zapping, leggere in metropolitana o sull’autobus significa rinunciare alle partite di Candy Crush, leggere in treno è sacrificare le telefonate a voce altissima, i sonnellini, il fissare il vuoto. Leggere prima di andare a dormire ti toglie tempo per lamentarti della giornata col tuo partner. Leggere in spiaggia ti distrae dalla tintarella. Leggere mentre sei in coda (dal medico, in posta, in aeroporto) ti impedisce di mandare mille messaggi vocali su Whatsapp. E chi ce l’ha il tempo per leggere?

I libri si riempiono di polvere.  E non saprei dove metterli. Le mensole del salotto mi servono per le bomboniere dei matrimoni degli amici e per i decoder. Gli ebook? No, ma non sono libri veri! Piuttosto allora non leggo proprio. E poi i libri costano e io voglio cambiarmi l’iPhone, appena esce il prossimo modello.

I libri fanno apprendere cose nuove. Ma ci rendiamo conto? Ho finito le scuole dell’obbligo. Ho preso anche una laurea. Secondo te, devo imparare altro? Sto a posto così!

I libri fanno perdere i pregiudizi. Ti fanno il lavaggio del cervello. E se leggi poi è un attimo che inizi a pensare che siamo tutti uguali, che abbiamo gli stessi diritti, che certe cose andrebbero cambiate, che esistono altri punti di vista. È già un mondo sull’orlo del baratro, senza farsi venire tutte queste strane idee. Non si stava forse meglio secoli fa, quando alle donne e ai poveri era impedito di imparare a leggere e scrivere?

Per leggere c’è bisogno di concentrazione. E io non amo concentrarmi durante il tempo libero (al massimo mi concentro nella guida in mezzo al traffico per arrivare al centro commerciale affollato).

Leggere fa vivere altre vite. Ed è già complicato viverne una!

Leggere fa sognare. E i sogni sono pericolosi, perché ti fanno venire il desiderio di essere migliore, di cercare di più (e poi inizi a lamentarti se ti porto ogni domenica al centro commerciale).

Leggere ti fa innamorare. Non una, ma cento, mille volte. E, diciamocelo, questa è una cosa un po’ da zoccole.

I personaggi dei romanzi che hai amato rimarranno tuoi amici per tutta la vita. Grazie, ma io sono a quasi cinquemila su Facebook e già mi sembrano troppi.

Libreria Acqua Alta di Venezia
Libreria Acqua Alta di Venezia

Il blocco dello scrittore e la fatica dei ricordi

Ogni scrittore ha le sue tecniche per la redazione di un testo e la sua disciplina (o presunta tale).
Alcuni riescono a creare pagine ogni giorno, altri hanno bisogno di un periodo di distacco dal foglio bianco (che è quasi sempre, per tutti, uno schermo bianco), altri ancora – i più invidiati da chi fa questo mestiere – sono organizzati come dei veri ragionieri della letteratura, con scalette, scadenze, numeri di pagina per capitolo e tot parole per paragrafo.

Prima di iniziare un nuovo libro, io devo vedere e vivere tutta la storia nella mia testa, dall’inizio alla fine, perché scrivo sempre come se rielaborassi un ricordo. 
Come se i personaggi li avessi visti e conosciuti e, solo poi, mi fossi decisa a raccontarli, come si racconta un aneddoto durante una cena tra amici.
Per molti mesi studio, leggo tantissimo, guardo numerosi film e tante serie Tv, viaggio, parlo con le persone, osservo come muovono le mani, come camminano, guardo dentro i cortili dei palazzi o attraverso le finestre senza tende, spio tutti, sperando di trovare in un gesto o nell’inflessione della voce uno dei miei protagonisti. Poi la storia cresce, riemerge nella memoria. Sono frasi spezzate, suggestioni, battute, scene osservate in soggettiva o riportate da qualche compagno di avventura.
A volte la memoria del mio libro, quella che rielaboro nella mia mente prima di fissarla con le parole, fa cilecca. Certi libri sono dolorosi, anche se leggeri, altri sono fuggevoli, come ricordi distratti, vita che hai vissuto mentre eri occupato a fare altro. Altri sono troppo intensi e non riesci mai a trovare il tono giusto, l’inflessione giusta, la lingua in grado di rendergli giustizia.
L’ultimo romanzo è nella mia testa da così tanto tempo che a volte penso che non troverà mai la luce. È così mio che non riesco a rivelarlo nel modo in cui vorrei,  come le storie d’amore, che quando le racconti ad alta voce sembrano meno speciali e intense di come sono nella tua testa.

Ogni scrittore ha le sue tecniche e le mie non sono mai state da professionista. Sono umorale, malinconica, timida (estremamente pudica, quando si tratta delle mie parole), spaventata, distratta, sempre e perennemente in lotta con la mia autostima.
Vorrei che questo racconto fosse uguale a quello che ho in testa, fosse simile alla storia che mi ripeto da tempo, fosse potente come le immagini che vedo quando chiudo gli occhi. Lo vorrei e a volte penso di esserne capace. Fino a quando non mi ritrovo davanti alla mia tastiera, senza coraggio e senza forza. Perché scrivere è un mestiere bello, ma crudele e a volte frustrante. Perché ogni persona che vive dentro le pagine potrà confermarlo: i libri più belli sono quelli che abbiamo pensato per tantissimo tempo e non siamo mai stati capaci di scrivere.

Coco sta tornando

Sono partita, poi rientrata e poi sparita.
Eppure avrei tanto, tantissimo da dire, da raccontare, da commentare.
Il blog sarà uno dei progetti che tornerò presto a seguire, intanto segnatevi la data del 12 novembre: in libreria ed ebook uscirà il mio nuovo romanzo.

Quando ormai pensavo che fosse una storia definitivamente archiviata (come tante storie d’amore nella vita), Rebecca Bruni è tornata a bussare alla mia porta e a chiedermi di fare pace.

Così è nato Natale da Chanel, terzo e ultimo episodio della vita della nostra Coco.

Perché nessuno racconta mai quello che succede nelle favole dopo il “vissero felici e contenti”…

Natale da Chanel
Natale da Chanel

Tutta colpa di Chanel

Sono una sbadata.

Mi ero dimenticata di dirvi che da più di un mese trovate in libreria e in ebook Tutta colpa di Chanel, con questa bellissima copertina.

Tutta colpa di Chanel

Il libro è la raccolta dei primi due romanzi su Rebecca Bruni (Via Chanel n.5 e I love Chanel), una specie di ripassone per chi si forse perso le avventure della nostra Coco made in Italy. E per tutti quelli che me l’hanno chiesto, no, non è un romanzo nuovo. Non ancora.

Che significa ? Vuoi forse dire che hai cambiato idea e stai pensando a…?

Chissà! Magari a Natale potreste trovare una sorpresa in libreria.

Intanto godetevi ‘sta ventata di buon profumo. E buone vacanze!

Le frasi sul mestiere di scrittore che mi fanno schiumare di rabbia

(Considerato il grande successo, riporto anche qui il post sul mestiere di scrivere scritto oggi su Facebook, affinché non si perda per sempre nella serendipity zuckembergiana).

Le frasi sul mio lavoro che mi fanno schiumare di rabbia:

Ma tanto puoi scrivere ovunque, basta portarti dietro il computer!
No, perché, come per tutti i mestieri, hai bisogno di uno spazio dedicato, comodo, confortevole e silenzioso. E soprattutto che conosci e in cui ti senti a tuo agio. Non so scrivere sul divano di mia zia, nel baretto sotto casa o sul charter per Fortaleza. Io scrivo al mio tavolo di lavoro, nel silenzio.

– Ma se scrivi 10 ore al giorno, in una settimana hai finito il libro.
Se scrivi 10 ore al giorno, la maggior parte delle pagine sarà ahdjaduhaihdafuehnandahehakdnahdajdfhehifhfjhakdha perché l’attenzione creativa non dura per ore (dicono che oltre i 45 minuti hai bisogno di un break). Devi fare spesso pause, a volte fissi il foglio per un pomeriggio senza scrivere nulla, altre passi notti senza alzare mai le mani dalla tastiera. Se ci fosse una regola fissa ore di scrittura/pagine scritte, saremmo tutti Dostoevskij.

– Ma scusa, non ti dicono loro che storia devi scrivere?
Loro chi? Gli alieni? Gli spiriti? I Marò? Le storie sono una mia invenzione e sono l’80% del lavoro di uno scrittore. Come e cosa racconti vanno di pari passo e non importa se sono storie autobiografiche, storiche, inventate o rielaborate. Dovrebbero essere tue. Anche perché, che interesse avrebbe un editore a far pubblicare chi non ha niente da raccontare? Sarebbe un folle a inventare TUTTI i soggetti dei libri che pubblica. Oppure sarebbe un genio.

– Va be’, ma quest’anno hai scritto solo per tre/quattro mesi, il resto del tempo non hai fatto un cazzo.
Leggere, prendere appunti, viaggiare, parlare con la gente, intervistare, andare al cinema, studiare sceneggiature, discutere con editor ed editori, leggere ancora e poi leggere ancora fanno parte del lavoro. Una grande parte del lavoro. Poi ci sono quelli che scrivono una pagina al giorno, ogni giorno per tutto l’anno e gli altri, come me, che si chiudono in casa e in un mese e mezzo sfornano il libro, perché sanno mettere su carta tutto quello pensato e immaginato solo sotto pressione.

-Che significa che hai “il blocco”? Tu comincia e scrivere e poi la storia viene.
Sei un cretino.

-Ma si guadagna a scrivere libri?
Una volta per tutte e definitiva: non si guadagna a scrivere libri. Si guadagna a venderli. E su quello nessuno può esserne certo. Non è un modo per arricchirsi, a patto di non essere bravissimo o fortunatissimo. È un modo per vivere una vita bellissima, anche, magari, facendo la fame.

Mancarsi

È bello ogni tanto esserci meno.
Meno al telefono, meno agli eventi, meno nella vita degli altri, meno sui social. Circoscrivere la presenza, limitarsi, usare meno parole e meno energie. Centellinarsi per ridarsi valore, per lasciare il tempo di elaborare l’assenza, per far sentire la mancanza.
Dimenticare per un momento la schiavitù del ci sono.

Si riscoprono molte cose quando si rimane soli con se stessi. Il rumore delle proprio parole, per esempio, e non solo quello della propria voce, il piacere del proprio corpo e non solo un corpo usato per piacere, il silenzio come musica, il territorio sconfinato dei piccoli spazi che ci appartengono.

Quest’estate è caldissima e crudele e io ci sono meno. Mi fermo nelle lettere dei prossimi libri e faccio un passo indietro.
Sarà bello ritrovarsi, dopo esserci mancati.
Ne sono sicura.

Come nascono le storie

Mi hanno chiesto “come nascono le storie?” e mi è tornata in mente quella volta che ho notato una poltrona vuota in quella grande sala d’attesa dell’aeroporto e ho capito che c’era una storia d’amore da raccontare.
Le storie nascono da ricordi, dai lunghi pianti o brevi sorrisi, da viaggi, da aneddoti ascoltati per sbaglio, dalle scadenze sempre troppo ravvicinate delle consegne, dai libri e i film che ho amato e odiato, da brainstorming, da lunghe telefonate, da un’email, da un viaggio in metropolitana, da una canzone ascoltata distrattamente, da un bicchiere di vino, da una notte insonne.
Sono piccoli puntini colorati nascosti da strati di malta bianca e bisogna rimuovere, scavare, togliere, raschiare via e restaurare, per portarli alla luce.
Non bisognerebbe mai scrivere per pubblicare, per diventare qualcuno, per riempire uno scaffale, per annusare della carta. Bisogna scrivere perché la storia diventa incontenibile e non riesci più a tenerla nella testa e spinge e preme ed erutta ed esplode.
I lettori non sono persone che comprano, ma esseri umani che si riempiono della storia che un tempo, per poco o a lungo, era stata tua.
Se non ce l’hai, se non l’hai ancora trovata, non sforzarti, non cercarla ovunque con ansia e frustrazione, non commiserarti, non sentirti orfano. Se la tua storia non arriva, leggi, vai al cinema da solo, mangia quello che ti piace, fai all’amore, piangi, ridi, ascolta musica o stai in silenzio, parla, ascolta, parti per un viaggio, annusa il vino prima di berlo, passeggia, respira. E vivi. Perché la vita è l’unica storia incredibile che puoi raccontarti solo tu.

Noi resisteremo sempre

Da giorni rimugino sulle parole di Domenico Starnone che, sulle pagine di Internazionale, ricordava che noi italiani abbiamo il triste primato di aver inventato il fascismo.

Sono stati giorni terribili per la nostra umanità, a leggere le bacheche di Facebook e Twitter, improvvisamente invase da orrendi individui senza empatia né compassione, che gioivano, rinunciando anche allo scrupolo dell’anonimato, di tante vittime del mare, che avevano la sola colpa di essere nati nel posto sbagliato.
Molti, come me, in questi tempi sono stati lontani dalle polemiche, delusi, sopraffatti dallo stupore di accorgersi che anche dietro il più assiduo frequentatore dei banchi della chiesa si può nascondere un razzista, magari anche evasore fiscale e un po’ mariuolo, però forcaiolo con chi non è della sua stessa, strettissima, razza.
Gli italiani non sono diventati peggiori, a causa di crisi e televisione e telefonini e cibo spazzatura, sono sempre stati così, come faceva notare Starnone: servili e prepotenti, opportunisti e vigliacchi, intolleranti e campanilisti, ignoranti ed esigenti.
Questo ho pensato in questi giorni grigi, di notizie pubblicate migliaia di volte e poi migliaia di volte ritrattate, commentate, screditate, urlate, taciute.

Quello che, però, avevo dimenticato, così presa dal pessimismo, è che noi italiani siamo anche il paese che ha sconfitto il fascismo, siamo il paese dei partigiani che hanno combattuto e sono morti per regalarci la libertà di poter avere e difendere, oggi, qualsiasi opinione, anche la più spaventosa.
Siamo il Paese della Resistenza, che 70 anni fa ci ha ridato dignità di essere umani.

Tra poco spariranno tutti i testimoni di quell’epoca in cui uomini piccoli resero grande l’Italia e spetterà a noi continuare a mantenere viva la memoria della storia, per salvarci dal revisionismo, dal nuovo fascismo leghista, dalla bruttura della fine della solidarietà, dalla paura costruita a tavolino solo per controllare e dominare il popolino bue.
Saremo noi la memoria e a noi è affidato il compito di coltivarla, tramandarla e proteggerla. Ed è il più grande onore che gli italiani belli potessero concederci.

C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.”

Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino.

Anche io leggo perché

Oggi, 23 aprile, è la Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore, un momento da dedicare ai nostri migliori amici di carta (e non) senza sentirci pelandroni, snob o fuori dal mondo.

Io leggo moltissimo, tutti i giorni, con avidità e con tenacia, nel silenzio. Dopo una vita passata a sognare un’esistenza diversa e a rintanarmi nella pagine dei romanzi quando tutto era solo “tirare a campare”, i libri sono diventati il mio mestiere e ho la fortuna di poter leggere per lavoro, che – vi assicuro – è molto più gratificante di scrivere per lavoro.
Sono giorni di vita intensa e di mirabolanti avventure, anche se spesso non mi alzo dal divano, e vorrei poterlo condividere con tutte le persone che amo, chiamarle al telefono per raccontare loro storie incredibili, condividere la speranza che duri per sempre e ascoltare quello che hanno letto, prendere appunti, correre in libreria a cercare i titoli suggeriti.
Sono circondata da mangialibri di ogni tipo, che fanno ogni genere di mestiere, che hanno gusti simili ai miei o diversissimi.  Eppure moltissimi nostri connazionali non leggono. Per pigrizia, disinteresse, per carenza di stimoli. A molti non è mai stato spiegato che sfogliare un libro significa attraversare un mondo diverso, emozionante e sconosciuto, ad altri è stato detto che solo alcuni libri sono da leggere, perchélascuolalaclassificaFabioFazio, ed è stato spento in loro qualsiasi entusiasmo. Ad altri ancora è stato fatto credere che leggere sia uno spreco di tempo, tolto alla televisione, agli aperitivi, al Facebook e a tutto il resto.
Perché leggere, quando puoi fare altro?

Un po’ come lo splendido Troisi che spiega perché non legge durante il suo viaggio in treno nelle Le vie del Signore sono finite.

È vero che leggere richiede tempo, richiede spazio, richiede voglia. Restituisce, però, spazi emotivi immensi, tempi interiori infiniti, desiderio di vivere. E non c’è alibi di crisi che tenga: i libri si possono trovare gratis nelle biblioteche, si possono prestare, si possono sfogliare, una pagina al giorno, mentre si va in tram a lavoro. Nei lunghi anni in cui ho fatto da pendolare tra Padova e Venezia ho letto moltissimo, così appassionatamente da dimenticare (quasi sempre) l’odore cattivo dei vagoni, i ritardi, la folla stanca e arrabbiata che viaggiava con me.

Non credo che sia obbligatorio leggere libri. Non è qualcosa da fare per forza. Si può vivere senza, continuare a respirare, lavorare, mangiare, dormire. Sono però convinta che non farlo sia un’occasione sprecata, una perdita, un peccato. Un po’ come passare una vita senza conoscere il vero amore, come crescere senza abbracci, come stare sempre a dieta e non concedersi mai mai mai una porzione di Tiramisù.
Si può vivere senza libri, anche cent’anni, ma è la qualità della vita a essere diversa. Diversa.

Stasera, in alcune città, si terranno gli eventi conclusivi della manifestazione Io leggo perché che negli ultimi mesi ha coinvolto associazioni, scrittori, lettori, radio e televisioni. Sul sito dell’evento potete trovare il calendario degli appuntamenti.
Io sarò, insieme ad altre decine e decine di scrittori, tra il pubblico della diretta di RaiTre. Presenta Pierfrancesco Favino. Ripeto per le amiche: PIERFRANCESCO FAVINO sarà a pochi metri dalla mia bava.

Adesso capite perché leggere è una cosa meravigliosa?

Io leggo perché

P.s. a differenza di molti, preferisco non suggerirvi titoli di libri da leggere. Ho gusti piuttosto personali e non sempre incontrano quelli dei miei amici. Vi invito, però, a fare il giro in qualche bella libreria indipendente (quelle poche che restano) e a chiacchierare con i librai. Sono persone piene di idee e suggerimenti e amano il loro lavoro “di frontiera”. Non ve ne pentirete.

Sesso, amore e vino in ordine sparso

***ATTENZIONE! POST AD ALTO CONTENUTO AUTOCELEBRATIVO***

Se non hai letto ancora A noi donne piace il rosso – diciamocelo – sei una brutta persona, ma per stimolarti a sfogliare il libro dal sapore di Valpolicella, forse può aiutarti questa spassosa intervista su Gioia in cui do anche qualche consiglio utile per bere bene, sia ai maschietti che alle femminucce.

E poi, stasera, ricordati di guardare Italia 1 alle 19.30, perché su Notorious c’è un servizio su di me in cui racconto come una (finta) blogger erotica precaria e sarcastica è riuscita a diventare un’autrice di best seller super romantici.
Che tu dici “culo”. E io rispondo “quasi”.

Buona visione.

Donne che amano il rosso e vanno al Vinitaly

Marzo è uno dei periodi più belli dell’anno. Perché torna la primavera e, soprattutto, perché arriva il Vinitaly.
Se sei astemio, va be’, non abbiamo molto da dirci, ma se anche tu ami i calici magici, soprattutto di nettare italiano, non mancare alla presentazione di A noi donne piace il rosso, il 23 marzo in Borgo Rocca Sveva (Soave, VR), alle 19.

Parleremo, come sempre, di amore, amicizia, libri, viaggi, sorseggiando Valpolicella Ripasso.

E se non hai ancora letto il libro, non disperare, puoi sempre rimediare (e lo accatti anche qui).

A presto e cin cin!

Borgo Rocca Sveva