La Terra, però, se ne fotte di te e continua a girare.
E viene giorno e viene sera e poi la notte e tu lo sai che non dormirai, che ti rigirerai nel letto con i soliti pensieri in testa, che percolano sul cuscino, che non vanno via nemmeno con l’alcol, che tornano a torturarti nel buio.
Poi ti svegli, bevi il caffè, fai le cose da fare. Le fai con questa fatica nuova, come se fossi una statua di gesso. Hai i riflessi lenti, i pensieri fermi, gli occhi distratti. Ti ritrovi pieno di lividi e non capisci, guardi gambe e braccia attaccate al tuo corpo e ti chiedi da dove siano venute fuori.
A volte ti incroci allo specchio e ti domandi chi sei, perché un tempo conoscevi tutti gli sguardi e questo non lo afferri, non ti appartiene.
Vivi, con quelle cose naturali del vivere: inspirare, espirare, nutrirti, lavarti, vestirti. Segui il rituale, scandisci il tempo, ma il tempo non è più lo stesso.
Il tempo del non amore è un tempo lentissimo, eterno. È un tempo che non scorre, ma gira su se stesso. È un tempo di immobilità e non progresso, è un tempo di attesa, di respiro affannato, di distrazione, di sovrappensiero.
È il tempo in cui rimani in compagnia di migliaia di parole, le parole non dette, quelle più dolorose, quelle più delicate e intense. Sono le parole che non dirai più, perché gli altri sono andati, perché seguono un tempo diverso, perché hai dovuto farli uscire dalla tua vita per sopravvivere, perché loro vanno avanti mentre tu sei fermo, perché tu hai la tua valigia di parole, troppo pesante, da trascinare.
Il tempo del non amore è un tempo per i poeti, è un tempo per i cantautori.
Il tempo del non amore, con tutte le sue parole splendide e crudeli, è un tempo da raccontare, da condividere. È il tempo delle poesie intense, è il tempo delle canzoni eterne. È il tempo che chi ha vissuto conserva per sempre nella testa, nascosto dai successivi amori, sepolto e mai rimosso, protetto.
E tu pensi sono solo un povero stronzo, fermo al mio giro di Do, con queste parole difficili, che non posso alleggerire, che non posso gridare, che non posso rendere musica. Sono solo un povero stronzo, in un tempo doloroso e lento, che non produrrà cose meravigliose, che non farà piangere le generazioni. Sono solo un povero stronzo e non un fottuto cantautore. Non è giusto che io soffra, non io, no.
Al mondo dovrebbero soffrire d’amore solo i poeti, i cantautori, gli scrittori, gli artisti, perché loro sanno cosa fare delle parole non dette.
Mentre tu non puoi fare altro che ripetertele nella testa, e ripeterle e poi ripeterle ancora, fino a quando il tempo non tornerà a scorrere e ti sveglierai una mattina – e non sai quando – con parole nuove e la solita voglia di caffè.
Ma tu le parole le trovi sempre e le usi al meglio: per me scrivi spesso poesia. Perché sei un’artista, e alla fine non te le tieni dentro, per la fortuna di chi ti legge.
Sì, ma le mie parole non mi daranno la gloria.
Solo pugni nello stomaco.
Evvabbe’
Solo chi l’ha provato con la consapevolezza delle proprie emozioni, senza infingimenti e quasi con spietatezza, vivisezionando le sensazioni così come le parole per esprimere il dolore, la noia, la delusione e la disillusione, il tempo che si suppone perso ad illudersi che sarebbe stato ciò che non è, può comprendere quanto lucidamente razionale e nel contempo lieve ed ineffabile possa essere il sentimento che descrivi nel tuo scritto…sentimento pieno della tua pienezza, sentimento filtrato attraverso il pensiero, e già solo per questo nobilitato ed elevato a più alto rango…
E forse anche questo è un modo per prendere le distanze da un dolore che può essere tagliente come una lama e vuoto come un tempo senza senso.
Ecco, grazie vitalba.
Io con le parole mai detto ho fatto dei racconti, anche se ho guadagnato solo pubblicazioni.
Che palle essere scrittore!
Meglio essere conformi alla società,mimetizzarsi con una morosa che probabilmente non ami e pagare il mutuo di una casa che ti stà stretta.
io non ti conosco, ma ti abbraccio uguale, magari fa qualcosa.
Bello da far male… Ultimamente con i tuoi post scavi dentro lo stomaco di chi ti legge senza senza paura delle conseguenze…
Scavo tutto, perché provo a fare spazio al nuovo.
Fa malissimo.
Come tutte le metamorfosi.
Dania, ti abbraccio.