È il primo novembre, dal 2011, in cui non uscirà un mio nuovo romanzo in libreria. Stava diventando una piccola tradizione a cui iniziavo a legarmi. Era confortante sapere di avere un appuntamento fisso con i lettori più affezionati.
Quest’anno è stato professionalmente tutto più difficile, perché la maternità è un’esperienza totalizzante, un lavoro 24/7, è vivere la vita di un altro essere umano dall’inizio, nutrirlo (letteralmente) col tuo corpo, essere presente a tutte le sue prime conquiste, restare sveglia per notti intere, e per settimane o per mesi riuscire a riposare poco e male, col rischio di concentrarti pochissimo, avere tempi di recupero eterni, non essere mai disponibile negli orari in cui dovresti.
Sono stata fortunata perché ho comunque lavoricchiato, su progetti belli, per agenzie e riviste serie e professionali, con colleghi pazientissimi, soprattutto considerando che ho la nonna che vive a 250 chilometri di distanza e un budget molto risicato per assistenza specializzata (sante tate, carissime tate!). Ho provato a incastrare tutto tra un riposino, la notte, un giorno libero del mio compagno, qualche mattina di autonomia.
Però un libro no, non ce l’ho fatta. Ho trovato un’agente (e avrei dovuto farlo due anni fa), abbiamo scelto un soggetto da sviluppare tra i tanti che avevo in mente, un editore a cui proporlo, e adesso non mi resta che provare a scrivere uno e due capitoli per capire se è nelle mie corde. Ma il tempo della scrittura è un tempo infame, che non ha rispetto dei programmi, che non sfrutta le ore libere, che ti lascia a marcire giorni interi davanti a una pagina bianca e poi spinge e preme quando non hai in mano nemmeno il cellulare per prendere appunti, figuriamoci un pezzo di carta!
È vero, come mi ripetono in tanti, che quest’anno ho dato alla luce il mio più grande capolavoro, (mio figlio, eh, e non lo trovate sugli scaffali), ma è altrettanto vero che è frustrante rendersi conto di non riuscire a fare tutto, di dover rallentare, mollare la presa, accorgersi che il tempo non sa fare il galantuomo come dicevano, e a volte corre troppo in fretta, quando non riesci a lavorare, e va tanto lento quando sei immersa nelle cose meno piacevoli, come la gastroenterite che il tuo piccolo ha preso dopo nemmeno una settimana di inserimento al nido.
Non sarà sempre così, lo so. Ci saranno altri libri e spero resteranno anche lettori curiosi di leggerli. E ci saranno altri lavori, quando tornerò efficiente al millepercento. Lo so e lo sanno tutte le mamme.
Ma trattateci bene, quando abbiamo paura di non tornare più le stesse di prima, perché forse è vero che non lo torneremo più. Forse saremo migliori. Forse scriveremo dei libri meravigliosi che non sapevamo nemmeno di avere in testa e ci ricorderemo di questi momenti fragili e irripetibili con tenerezza.
Forse.
Io voglio pensare che dopo sia sempre meglio di prima.