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Libri e social media: la strana coppia

Il tempo che sprechi passi su Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest, può aiutarti a stimolare la lettura? E a vendere più libri? E a scriverne?

Ne abbiamo parlato alla Social Media Week, con Barbara Sgarzi, Stefano Izzo, Claudia Consoli ed Edoardo Brugnatelli.
E abbiamo capito che sì, certo, no, boh, c’è molto lavoro da fare.

Vi posto il video dell’intervento completo. Io sono quella vestita da intellettuale con le occhiaie.

Buona visione.

Ansia da partecipazione

Dopo aver  consegnato l’ultimo racconto e aver visto le vetrine col librozzo con la copertina a cuore e aver fatto la dedica a mia madre e mia cugina, mi ero ripromessa di mettermi a scrivere un po’ “per me”.

Al momento non lavoro e l’estate fa meno male, perché tutti stanno per andare in vacanza e l’ansia per le bollette si attenua e pensi anche tu che a settembre andrà tutto meglio, pulluleranno contratti, chiamate, strette di mano, gettoni presenza.

Ho pensato riprendo il blog, torno a scrivere sull’Unità.it, scrivo tutte le cose che non ho avuto il tempo di scrivere e commentare durante l’anno, tutte le cose che mi passavano in testa mentre leggevo i giornali, guardavo la tv, viaggiavo, parlavo, bevevo l’aperitivo.

E poi non l’ho fatto. Non ci sono riuscita.

Ogni mattina aprivo un post bianco di questo vecchio blog e provavo a mettere in riga le parole ammassate dentro. E niente. Non mi andava.

Proprio non avevo voglia.

Sono andata ad allenarmi tutti i giorni in palestra e a prendere il sole sul solarium (che è un tetto in centro a Milano, con lettini e docce, e fa un caldo pazzesco, però ti abbronzi che nemmeno a Formentera, perché è come infilarsi in un forno), a camminare, chilometri e chilometri, a fare la spesa, a leggere, a morire di serie tv e film, a guardare i saldi senza comprare quasi nulla, a prendere treni per andare a Padova a fotografare la casa da mettere in vendita.

Non sono riuscita a scrivere nulla. Non ne sentivo il bisogno. E se non senti il bisogno di comunicare allora – senti a me – è meglio che non scrivi.

I primi giorni di silenzio mi sono sentita in colpa. Hai notato che, ormai, se non hai letto i titoli dei quotidiani online in tempo, ti senti in colpa? Se buchi una news su twitter, sei fuori dal mondo? Se nasce il Royal Baby e tu eri in bagno e non hai aggiornato-retweettato-instagrammato-tumblerato in tempo, nessuno ti vorrà più bene?

Non ha più importanza la tua vera partecipazione emotiva, ha importanza la tua partecipazione sociale. Mastichiamo informazioni su informazioni e siamo coinvolti così intensamente per quella manciata di minuti da farci sentire davvero parte della storia. Fino a quando arriva la nuova Ansa e si ricomincia. Se non sei infilato fino al collo nella conversazione su qualsiasi argomento hic et nunc, pur non sapendone nulla, pur attingendo informazioni dalle fonti meno attendibili, pur condividendo i post sgrammaticati di tua zia su FB che ha un’amica che ha un cugino che ha un nipote che ha un amico che sa, sei una persona spregevole.

E non importa quanto tu sia realmente impegnato civicamente, quale sia il tuo grado di cultura o sensibilità, quanto tu sia ignorante o attento. Non partecipare a questa sbronza di informazioni ti fa sentire fuori dal mondo.

Ma dura solo un paio di giorni. Un paio di giorni in cui ti sforzi di non trasformare ogni notizia di cronaca in una polemica e ogni notizia politica in una battuta su twitter (non avrei mai creduto di arrivare a detestare l’abuso di senso dell’umorismo. Un Paese di battutisti mediocri è terrificante come un Paese di politici mediocri).

Dopo due giorni passa la crisi d’astinenza e non sei più schiavo del commento compulsivo.

Ho letto il giornale tutte le mattine e sfogliato riviste e guardato programmi d’approfondimento e mi sono fatta le mie idee e non ho ritenuto di condividerle con nessuno a suon di commenti sempre più aggressivi e di sempre più millantata competenza su qualsiasi argomento. Ho parlato con gli amici e usato sempre meno il mio iPhone. Mai più quando sono a tavola. Mai più mentre mi parli e mi guardi negli occhi. Mai più sempre acceso. Mai più controllato in continuazione (a parte – ça va sans dire – quando si ripristinano le vite in Candy Crush).

Ho fatto una detox da social media e ho capito che il 70% delle cose che avrei voluto dire non erano affatto necessarie.

Milano è bella in questi giorni, perché è deserta e silenziosa. Peccato che faccia così caldo che è impossibile uscire a godersela.

Devo consegnare un lavoro per fine agosto e non ho ancora scritto una riga.

Controllo le news sul Corriere e poi mi apro una birra e mi stendo sul divano e non twitto et voilà.