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Il primo giorno dell’anno

Sono sempre stata di quelle che no, non a settembre, l’anno comincia a gennaio, perché c’è il mio compleanno e ci sono le feste e c’è il freddo cane che non lascia il tempo per andare a spasso, allora rimani a fare le somme, a elencare propositi, a farti promesse solenni che in primavera non manterrai.

Sono sempre stata di quelle che no, l’anno comincia con il calendario, da uno a trecentosessantacinque, con poche eccezioni, dal principio alla fine, inverno, primavera, estate, autunno e poi di nuovo inverno.

Poi, oggi, pioveva e pioveva, dopo tanto, quasi troppo caldo. E non avevo l’ombrello, perché sono nell’ennesima casa non mia, in attesa che comincino le cose belle, che cambino i giorni, che inizino le avventure, che si trasformino le abitudini. Non avevo l’ombrello e sono rimasta chiusa in casa e guardavo fuori dalla finestra chiusa, perché comincia a fare fresco, e pensavo che davvero è tutto nuovo, la città, il lavoro, gli amici, il mio guardaroba, il taglio di capelli. Sono nuovi i sorrisi e i locali in cui bere il vino, sono nuovi i libri, i cibi, i profumi, i desideri, i silenzi, le solitudini con la musica, sempre.

Oggi mi è sembrato il giorno giusto per un inizio, perché è tutto nuovo, l’entusiasmo, la voglia di provare, l’eccitante sensazione di libertà che ti dà solo la consapevolezza di non aver niente da perdere. Oggi era un giorno giusto per un inizio, perché va tutto bene, perché non ci sono più gli occhi lucidi e le gambe che tremano, perché desidero invece di rimpiangere, perché ho più futuro che passato.

Oggi mi è sembrato il giorno giusto per l’inizio di tutto e ho ordinato una pizza e ho ordinato una birra e ho guardato la pioggia che non smette di cadere e ho festeggiato, serena, il mio capodanno.

Aspettando

Sono passati sei mesi.
Lavoro molto meno, faccio cose che mi piacciono molto. Guadagno più o meno lo stesso, ma è tutto pagato a novanta, centoventi giorni. Scrivo tanto, leggo meno di quello che vorrei, parlo molto, viaggio sempre, tutte le settimane, più volte alla settimana, prendo treni, dormo da amici, dormo in hotel, dormo in monolocali in prestito. Quando riesco. Per il resto non dormo, prendo sonniferi, se li dimentico sto sveglia, guardo gli oggetti, penso, ripenso, rifletto, penso, ricostruisco.
Esco con persone che non frequentavo da anni, esco con persone che non avevo mai visto. Bevo, mangio poco, faccio sport, provo a non ingrassare di nuovo, provo vestiti, compro vestiti, pago con la carta, controllo il saldo della carta.
Cerco casa, torno a casa, compro casa, vendo casa, pago affitti, pago spese.
Sono passati sei mesi e ho vissuto tre vite.
Ho cambiato la pelle, svuotato la testa con un cucchiaio da zuppa. Ha fatto male, malissimo. Adesso lascio che si asciughi prima di riempirla di nuovo.
Sono passati sei mesi dall’inizio della nuova vita, ma proprio tutta nuova e che fatica! e che difficile! e il senno di poi sempre col fiato sul collo.

Sono passati sei mesi – ecchecazzo! – e ho pianto, sospirato, fatto strage di fantasmi, pulito, aperto le finestre, comprato sandali nuovi, visto il mare, fatto spazio, comprato vino buono, pettinato i capelli, lucidato le labbra.

Adesso mi siedo e aspetto le cose belle.