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La cosa bella dell’estate

La cosa bella dell’estate è che l’acqua di mare cicatrizza tutte le ferite.

Ci sono due tipi di amore: quelli che ti distruggono e quelli che ti curano.

Tu eri come l’acqua salata, che chiude la pelle, che lascia la crosta che poi scompare e solo se la guardi da vicino, ma proprio da vicino, ti accorgi che c’era un taglio profondo come l’oceano.

La cosa bella dell’estate è che ricominci da zero, poco prima che inizi settembre.

E resterà solo un velo di abbronzatura e il viso rilassato e le serate sul lungomare e quelle a sudare tra le lenzuola e i film guardati stretti stretti e le parole, le parole, tutte le parole dette e scritte, e le risate e i silenzi e il tuo odore, anche adesso, che te ne sei già andato e che fa ancora caldo e che non piango più.

La strada più lunga

In questo pomeriggio freddo ho deciso di venirti a cercare.

Non l’avevo programmato. Ero immersa in un altro viaggio, un viaggio quasi felice, di quelli che faccio ogni volta che decido di cambiare vita, di provare ancora, di sentirmi viva, di non avere paura.

E mi sei venuto in mente tu.

Una deviazione di qualche decina di chilometri, di qualche decina di minuti, per seguire questo nodo nello stomaco, questo richiamo che sento come una corda tesa che tira, che strattona, che non mi lascia andare via, lontano.

Non è stato facile trovarti. Trovarti in mezzo a questa pianura gelida e triste, in questo ricco deserto di capannoni e strade dritte, di nomi che non ricordo e posti che non conosco. Questo posto che ti sei scelto o che ti ha scelto, così diverso da te.
Il posto in cui sei rimasto.

Mi ricordavi diversa?
Non porto più i capelli corti corti e l’orecchino al naso. Non sono più arrabbiata con il mondo e sempre in fuga.
Ho imparato, a fatica, a stare ferma, a costruire e non solo ad abbandonare, ad ascoltare e non solo a parlare parlare, a essere forte, a essere grande, a difendere e non solo a difendermi.

Non ti aspettavi di vedermi qui, un pomeriggio freddo di un gennaio qualsiasi?
I duecento chilometri che mi separavano da te sono stati il viaggio più lungo della mia vita.
Ci ho messo undici anni a percorrerli.

Ma adesso sono adulta e sono venuta a dirti, a dirtelo finalmente, che sono pronta a perdonare, ma non a dimenticare, ad accettare, ma non a capire, a svuotarmi i pensieri dalle piccole schegge che erano rimaste conficcate e a riempirli di questo silenzio rumorosissimo tra di noi.

A volte, mentre vivo, mi accorgo di essere come te. E mi spavento o sono felice. E allora rido e poi ti penso e, qualche volta, sempre meno, parlo di te.

Il cancello è lontano, non ricordo dove ho parcheggiato la macchina che mi hanno prestato e il tempo che ci concedono ancora non è molto. A noi, che il tempo che avevamo non abbiamo mai saputo gestirlo.

È tutto qui. Ci ho messo quasi tutta la vita ad arrivare alla fine della strada più lunga e devo già ripartire.

E mentre mi allontano, annusando il vento e l’odore di fiori, mi sorridi, con quel tuo sorriso sempre triste, proprio uguale, identico al mio, sul quel tuo viso che non invecchia, in quella foto sbiadita su quel marmo bianco e freddo che trascino, sempre con me, in fondo al cuore.