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Chi ha paura di volare?

Il titolo del post non è una metafora.
Mi chiedo proprio quanti di noi abbiano iniziato ad avere il timore di compiere azioni che fino a ieri ci sembravano normali: prendere un aereo, visitare un museo, fare la spesa, andare a lavoro in redazione.

Stiamo imparando che non bisogna fidarsi di nessuno: di chi ha idee politiche estreme, ma anche di chi non ne ha affatto, di chi è troppo religioso, ma anche (soprattutto) di chi non distingue il monoteismo da una dieta alimentare, di chi non è nato qui, ma anche di chi ci è nato e poi chissà cosa gli è passato nel cervello. Ci sembra che tutto stia diventando più violento, ma abbiamo continuo bisogno di violenza e urliamo nei nostri commenti sui social, guardiamo serie tv piene di mortiammazzati, diventiamo aggressivi in auto, leggiamo tutti gli articoli più morbosi di cronaca, aggiorniamo continuamente le pagine dei quotidiani online, ci appassioniamo ai disastri. Viviamo nell’illusione di essere fuori dal palcoscenico, nelle prime file da cui si vede benissimo il palco, ma lontani abbastanza dalla ribalta da essere al sicuro.

E appena capiamo di non esserlo, al sicuro, perché il nostro vicino di poltrona si è macchiato del sangue (non) di scena, rimaniamo spiazzati. Più che spaventati, siamo disorientati. Possibile che stia accadendo a noi?

In molti abbiamo vissuto una strana sensazione, negli ultimi giorni. Una reazione umana, sgradevole, ma comprensibile. Scoprire che una tragedia accade per colpa di un solo squilibrato, forte della disattenzione altrui, senza organizzazione alle spalle, la rende meno abominevole. Spaventosa, atroce, ma occasionale.
Eppure, è nella casualità della tragedia che si cela il suo orrore più grande. Oppure no?
Se non fossimo così continuamente allertati dal terrorismo, gli incidenti, seppur dettati da follia, ci sembrerebbero più o meno gravi?

Nel dubbio, a Pasqua partirò in macchina.

Mi garantite che le strade sono sicure?

Tra le nuvole

La prima volta che ho preso un aereo avevo appena compiuto due anni. I miei genitori erano ancora sposati e ci stavamo trasferendo in Olanda, a Deen Haag. Mia mamma aveva il pancione, aspettava mio fratello. Siamo partiti di notte, da Roma, con un volo della Thai che faceva scalo a Scheveningen. Non ricordo quasi nulla. Dev’essere stato bello.

Il volo più emozionante che ho fatto è stato quello il secondo anno di università, per Damasco. Era un viaggio organizzato con i compagni del corso di arabo. Nessuno sull’aereo allacciava le cinture o stava seduto e io mi sentivo come in partenza per la scoperta del mio futuro. Un futuro da antropologa del Medio Oriente che ho abbandonato tre anni dopo la laurea.

Il volo con più aspettative è stato quello da Venezia per Parigi, quando mi sono trasferita per l’Erasmus. La borsa di studio durava nove mesi. Sono rientrata in Italia dopo due anni.

Il volo più silenzioso che ho fatto è stato quello da Monaco a Mosca. Stavo raggiungendo il mio ragazzo dell’università. Ero innamorata come una scema. Non capivo una sola parola di russo. Lui si è presentato all’aeroporto con un’ora di ritardo. Stava giocando a calcetto.

Il volo più divertente è stato durante il mio primo viaggio in SudAmerica. Con la mia splendida cognata Irma, siamo partite da Santa Cruz de la Sierra per Cochabamba, in Bolivia. Da brave sudamericane, ci eravamo presentate la mattina nell’aeroporto sbagliato. Così abbiamo preso un taxi e ci siamo ritrovate nell’aeroporto giusto con solo 20 minuti di anticipo sul volo. Erano tutti divertiti. Non hanno fatto passare i bagagli nello scanner, ci hanno aperto un enorme portone e ci hanno lasciate correre per la pista per salire sull’aereo con i motori già accesi.

Il volo più turbolento è stato quello di rientro da Lampedusa, per Catania, nell’estate più bella della mia vita. L’aereo aveva cominciato a ballare come un Tagadà. Ero con gli amici di una vita. Ci siamo tutti guardati e, per istinto, ci siamo fatti il segno della croce. E poi siamo atterrati sani e salvi per raccontarlo.

Il volo che ho più rimpianto è stato quello che ho perso nel settembre scorso, per New York. Non sono partita, rinunciando a un viaggio che desideravo da tanto tempo e che spero di fare presto.

Poi ci sono tanti, tanti voli belli e brutti che ho preso e tanti, tantissimi ancora da fare. Volare non è come viaggiare in treno o in macchina. Ogni viaggio in aereo è l’inizio o la fine di un’avventura.
Appena laureata avevo fatto le selezioni per fare la hostess. Ma poi ho capito che lavorare su un aereo non era una cosa per me.
Io voglio guardare fuori dal finestrino e leggere e stringerti la mano e sorriderti e farti appoggiare la testa sulla mia spalla e sconfiggere il mal d’orecchie e prendere in giro quelli che applaudono all’atterraggio e lamentarmi di quelli che non riescono a tenere spento il cellulare e studiare il catalogo di meraviglie che ti vendono a bordo e che non comprerei mai e immaginare come sarà, una volta scesi a terra, dopo aver recuperato il bagaglio e varcato l’uscita e respirato l’aria dell’ennesimo altrove.

(Domenica sarò ospite all’inaugurazione del terzo satellite di Malpensa, insieme a Linus, Nicola Savino e tanti altri. Sarà divertente passare la giornata in aeroporto. Se passate, ci vediamo lì. E se ci va, prendiamo il primo e volo e non torniamo più).