Stamattina guardavo un quadro e mi è tornato in mente questo amico. Non era un amico di quelli che dai, stasera usciamo!, di quelli proprio che vedi spesso, che non li chiami più perché vi scrivete con whatzapp. Era uno che conoscevo, da anni, con cui avevo passato il capodanno insieme, che era amico di mio fratello, che incontravo spesso sul treno per Venezia, che avevo visto, qualche volta, in piazza a bere spritz.
Guardavo questo quadro e pensavo che lui, cazzo, era bravo, che i suoi quadri mi piacevano, che era un tipo originale, di quelli che quando gli parli ti trattano con intimità, che non è da tutti, non da me che sono sempre riservata, all’inizio, e che nascondo la timidezza dietro l’aggressività. Pensavo che era uno entusiasta e triste, che l’ultima volta che l’ho visto mi ha detto che gli mancava un sacco lei, una lei che credo di non aver mai visto, però lui, con quella intimità lì, mi ha detto che lui voleva essere innamorato e io mica l’ho capito quella sera lì, mica ho capito davvero quello che mi raccontava dell’amore che massacra, mi sembrava solo uno che aveva bevuto troppo.
Qualche mese fa è caduto dal balcone e dicono che si è buttato e altri dicono che è inciampato.
È caduto e ce l’hanno detto e noi siamo rimasti tutti senza parole, perché lui era uno bravo, uno col talento, ma era troppo entusiasta e troppo triste. Forse. O forse no, forse cadiamo tutti senza un motivo, forse succede a chiunque di inciampare. Forse solo alcuni di noi, quelli col talento, vogliono così tanto essere innamorati da raccontarlo a una ragazza timida e aggressiva che vedi solo ogni tanto.
Si è buttato dicono. Oppure, dicono, è caduto.
Forse stava solo cercando una nuova prospettiva, per dipingere meglio quella cosa che esplode dentro e noi non vediamo e poi la capiamo tardi e ci sentiamo impotenti e fragili.