C’è questa amica bella che mi insegna a giocare a poker.
Lei gioca a poker da professionista, lo fa proprio per mestiere, con tanto di sponsorizzazione, di stipendio, di divisa per i tornei, di viaggi spesati.
Lei mi insegna a giocare a poker perché io ho bisogno di azzardo controllato, di percentuali, di numeri, di carte piene di cuori, di chips che non sono necessariamente soldi, sono speranze, sono brividi, sono rischio.
Allora ci mettiamo al tavolo, con la nostra immancabile birra e ripassiamo i termini, proviamo le combinazioni, prendiamo in giro i giocatori, parliamo di amori piccoli e di amicizie grandi, di vestiti e di scarpe da portare senza calze, di vittorie e di regali da farci con i soldi vinti per fortuna e talento.
Ieri lei mi ha detto che con carte sfortunate bisogna saper mollare il colpo.
Mollare il colpo significa riuscire a rinunciare alla mano nella quale si hanno poche speranze di vincere e aspettare mani più fortunate.
In questo periodo ho delle carte brutte. Non ho mollato il colpo e sto perdendo tanto. Mi sono fissata con questa mano e non riesco a venirne fuori e non mollo, non mollo, non mollo, mentre tutto va a rotoli.
Dovrei imparare a lasciare e ad aspettare un po’ di fortuna, anche se poi la fortuna conta poco, conta la tecnica, contano i nervi saldi, contano le percentuali, conta saper bluffare.
Dovrei bluffare di più, aspettare mani migliori, tirare fuori assi dalle maniche, conigli dal cilindro, sorrisi dalle giornate di sole, sandali per la primavera, abiti leggeri, occhiali da sole, libri da non lasciare a metà, amiche splendide, le rose comprate di sera e già appassite al mattino, la rabbia giusta, il talento sopito e il coraggio per il prossimo giro di carte.