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Il prossimo anno ci salveremo da soli

Gli ultimi giorni dell’anno a letto con l’influenza mi hanno obbligata alla solita resa dei conti, che – per una volta -avrei voluto evitare. Nei deliri da febbre alta, cocktail di paracetamolo e brodo fatto con il dado, sudore, gatto che mi rubava il letto e telefilm in streaming, ho rivisto il film dei sensi di colpa, delle scelte sbagliate e quelle prese in graziadiddio che mi hanno (forse) cambiato la vita, degli errori, dei traguardi, dei sorrisi e delle lacrime.
Quello appena trascorso è stato, tutto sommato, un buon anno.
Non un anno ricco, non un anno molto produttivo. Un anno buono.
Dodici mesi in cui ho fatto tutte le cose per bene, nel lavoro, in amore, con la scrittura, con la famiglia, con le amicizie. E quando fai le cose per bene, e ti impegni, e sei onesta, soprattutto con te stessa, non puoi avere rimpianti.

Poi, certo, c’è il porcomondoboia che funziona a scatti, che ti mette i bastoni tra le ruote e non dipende da te. Non può sempre dipendere da te. E questo rallenta la crescita, smorza gli entusiasmi, produce fastidio e bestemmie, sconsola, deprime.

La crisi economica ormai è una balla. Non c’è un complotto mondiale per farci diventare dei poveracci. Non c’è più un buco nero in cui sono trascinati tutti e, quindi, anche noi. No. Il problema è che noi sguazziamo in un mare di fango che ci siamo creati da soli. Il problema è che l’Italia è un Paese schifoso e meschino.
Punto.
Corruzione, mafia, sprechi, evasione fiscale, classe politica completamente ignara di come viva davvero la popolazione, tassazione delirante sui meno abbienti, nessuna meritocrazia, nessun rispetto per la cultura, disprezzo per l’onestà e stima per l’ignoranza truffaldina, pressapochismo premiato come intraprendenza, massoneria, demagogia, populismo, razzismo così radicato e così malcelato da essere endemico, omertà, connivenza.
Non credo esistano altri casi al mondo di potenze industriali ridotte a teatrino dei pupi nel giro di qualche decennio.
È sempre più faticoso amare la nostra terra. Come un marito che ti prende a pugni. Come una madre che ti abbandona in un cassonetto.

L’unico grande rimpianto del 2014 è quello di aver capito di non essere in grado di migliorare il Paese e di essermi rassegnata all’idea che non cambierà. La perdita della speranza è il primo segno della fine e non so se è generazionale, se dato dalla stanchezza o da un eccesso di informazione, ma non credo più che ci siano possibilità di redenzione.

Così, il prossimo sarà l’anno in cui a tutti toccherà salvarci da soli.

Sono ottimista per me, perché sono convinta di avere margini di miglioramento: nei prossimi dodici mesi voglio viaggiare a est e a ovest, scrivere finalmente il mio primo romanzo non rosa, voglio bere il vino più buono, voglio guardarmi allo specchio e piacermi sempre e comunque, voglio frequentare persone belle e lasciare andare gli opportunisti, i falsi amici, i passivi aggressivi, i cattivi consiglieri, gli invidiosi, i rancorosi, gli “amici” per cui lavori e non ti pagano. Voglio leggere e guardare mille film e ascoltare musica e ammirare i tramonti. Voglio baciare di più, fare di più l’amore, abbracciare di più, ridere di più, parlare di più e ascoltare di più.
Voglio continuare a essere onesta, a credere che il merito paghi, a investire nel talento e non nei pompini, a fare il mio lavoro al meglio, a studiare, a capire le cose.
Voglio salvarmi.

Ed è il mio augurio per tutti voi.
Fate le cose per bene, salvatevi, non lasciatevi tentare da tutto il marcio che ormai ci circonda. Siate belli e senza rimpianti. Siate coraggiosi. Siate il Paese che amerei alla follia.
Magari tra un anno saremo qui a dirci: hai visto? Avevamo sbagliato! C’era ancora qualcosa per cui valeva la pena lottare: noi.

 

Oggi è domani

Fallito anche l’ultimo strategico tentativo di risanamento dell’economia familiare (l’estrazione della Lotteria), l’esordio del 2014 sembrava non promettere nulla di buono.
L’ansia di dover pagare la mini-Imu con le relative mini-bestemmie, il recupero crediti dello già scarso guadagno del 2013, i chili di troppo che, anche in momenti di crisi, ti si azzeccano addosso durante le sante festività, la desolante sensazione di essere completamente senza un lavoro, dal momento che col conto alla rovescia della sera del 31 è terminata anche l’ultima collaborazione in essere.
Respira. Sei ancora viva.
Feste con gli amici, tanto vino recuperato nelle cantine di amici di amici e Dio benedica il Veneto!, panettoni già al 50% da metà dicembre e rendiamo grazie alla crisi. L’importante è comportarsi come se non fosse cambiato nulla. Fingere. Fottere la miseria millantando normalità.
L’abbonamento in palestra pagato in anticipo non permette distrazioni: correre, sudare, chiacchierare negli spogliatoi. Le sciure del pilates non sono andate in montagna quest’anno. Restano a casa a fare le nonne e a concedere una vacanza ai figli più precari.
C’è stato anche il mio compleanno.
Ho vinto il record di ingestione di cannoncini della pasticceria Panarello in un pomeriggio. Mi hanno scritto in tantissimi. Da tutti i lati del mondo. Quelli che guarda, dovevi venire anche tu a vivere qui all’estero, ma anni fa. Oh, adesso cominci a essere vecchia e non sai fare niente di cui ci sia bisogno all’estero. Tu fai cose inutili, scrivi, parli, chiacchieri sui social, recensisci, liveblogghi, presenzi.
Sei un chissene su un curriculum vitae.

Il nuovo libro accumula polvere nel mio cervello. Mica è facile. Prendere storie che ti sei tenuta nel cranio per mesi e poi tirarle fuori. Questa volta è quello che vuoi. Ma se non dovesse andare bene? Se alla fine fossi solo brava a fare quello che non ami?

Se non provi non lo saprai mai, è vero, ma forse a volte è meglio non sapere, non conoscere i propri limiti, vivere nell’illusione di poter essere migliore senza dover dimostrare di esserlo.

Al giorno 10 del mese di gennaio ti sale l’ansia. Il cuore galoppa, non chiudi occhio, non riesci a mangiare. La disoccupazione giovanile è al 41%, ma tu tiri un sospiro di sollievo: non sei più una giovane. La tua generazione, quella dei figli della Legge 30, quella dei precari senza vera flessibilità, quella dei camaleonti contrattuali, quella dei disperati a progetto, ha ormai accettato la realtà. Tireremo a campare per sempre. Continuando a versare contributi a una gestione separata dell’INPS che li usa per pagare le pensioni ai lavoratori più fortunati di noi e che non ci restituirà nulla, se non una serie di affettuosi calcinculo. Tireremo a campare ereditando le proprietà dei nostri genitori, se ci sono, o pagando per trent’anni rate di mutui esageramente ridicole, per appartamenti che si stanno svalutando come le mutande di Intimissimi sui culi cellulitici.
Il premier si dichiara ottimista. Bene. Tutti gli altri no. Tu compresa. Nel 2013 ci sono stati 2 milioni di disoccupati in più e questo – ahinoi – significa concorrenza nella disperazione.

Sono iniziati i saldi e ti sei accorta che non ti serve nulla. Non che non desideri nulla, perché tu vorresti tutto, i leggings leopardati, le scarpe con tacchi grossi, le giacche di pelle e borchie, le finte pellicce di finti animali per finte fescion blogghe. Vorresti tutto, ma non ti serve nulla. E risparmi soldi che comunque non avresti.
E leggi di scandali, di gente che ruba i tuoi soldi, di politici che politicano, di giornalisti che giornalano.
Per la prima volta, in tutta la tua vita, ti chiedi come sarebbe stato essere più furba. Come quelli che te l’hanno messa nel sedere in questi anni. Come sarebbe stato rubare, non pagare le tasse, andare a letto con uomini disgustosi per avere un buon posto e una buona rendita. Saresti stata davvero meno felice, perdendo la tua integrità? Quant’è sottile in Italia il confine tra onestà e coglionaggine?

Lunedì 13 gennaio ti scrivono che stanno per pagarti delle fatture in sospeso. Sorridi e apri il frigo e mangi cose a caso per festeggiare. Poi ti propongono un lavoro per cui non sei qualificata, ma ti dici che puoi sempre millantare. È un inizio. Le cose si mettono in moto, c’è di che essere fiduciosi. Dicono che dipenda anche dal karma. Milioni di italiani disperati a causa del karma di merda. Sarà, vuoi crederci. Volere e potere!
L’unica cosa che avresti dovuto fare nei giorni d’immobilità era scrivere.
Eri troppo disperata. L’unica disperazione che sai scrivere è quella sentimentale. Quella professionale non lo sai fare. L’avessi saputo fare saresti stata un’autrice fantastica. Puoi sempre imparare.
Ti sei detta “domani mi ci metto”.
Oggi è domani.
Doppia caffettiera e relativa tachicardia, veloce rassegna stampa, la consolante disperazione di non aver nulla da perdere.
È una condizione mentale. La disoccupazione ti fa perdere fiducia, che ti fa perdere energia, che ti fa perdere entusiasmo, che ti fa perdere carisma, che ti fa perdere occasioni. È tutto nella tua testa. Dicono.

Tanto. Non. Hai. Nulla. Da. Perdere.

Oggi è domani. E mal che vada, sarà dopodomani.

Inizio.
Metto su un altro caffè.
Non lo bevo, lo annuso soltanto.
Promesso.
Vado.