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Cosa accade a chi torna

“Chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa cosa cerca”, diceva l’amico Lello al protagonista Gaetano, in Ricomincio da tre (senza citarne la fonte, come direbbero sul web).

Mi sono sempre chiesta cosa accade a chi torna, invece.
La mia vita è sempre stata una corsa in avanti, nomade, cambiando città  come se fossero paia di scarpe, accumulando strati di nostalgia e mazzi di chiavi, abitudini da ricreare in continuazione, scatoloni da riempire.
Questa è l’età in cui fermarsi e guardarsi un po’ indietro, per misurare il cammino e dirsi che tutto sommato è stata una bella distanza. Ed è l’età in cui far pace col passato, i fantasmi, i ricordi mitizzati, gli addii, le occasioni perdute, le scelte fatte.

Sto per partire per un viaggio a ritroso e sono eccitata e un po’ spaventata. Per fortuna, dove sto andando c’è il caffè più buono del mondo.

Campo minato

Il tempo ha fatto un po’ il suo dovere. Non tutto, perché il tempo è così, è pigro, distratto, crudele.

Ma c’è la primavera ed esci di casa e sei anche andata al mare e hai comprato vestiti nuovi e sei magra come a vent’anni e non piangi quasi più e hai gli occhi lucidi e sei sempre insieme a un’amica, perché temi che la solitudine infame possa scipparti nuovamente il cuore.

Sei di nuovo in equilibrio e, a guardarti da fuori, sembri quasi quella che eri, dietro il viso un po’ scavato, dietro lo sguardo sfuggente di chi cerca ancora intorno, distrattamente, un po’ della vita che non ha vissuto.

Ci sei tu e poi c’è il mondo, che non ti ha aspettata ed è andato avanti e tu impari le cose nuove e quello che è successo e chi e cosa e come e torni nei posti e sembri una che rientra da una guerra e la gente ti chiede ma come stai? e tu hai imparato che non devi raccontare davvero come stai, che alla gente un po’ frega, ma soprattutto no, allora riassumi i tuoi mesi di devastazioni interiori in due frasette e poi ci metti l’ironia, così non trapela che, tra il rimmel e il tacco 12, hai un sacchetto di sfilacci che pulsano in mezzo al petto.

Torni nei posti, ma non in tutti e segui percorsi nuovi e poi ti informi e fai la disinvolta e chiedi ma chi ci sarà? e poi memorizzi e decidi e accetti o rifiuti.

Prima dello scoppio del cuore andavi da A a B seguendo il percorso più breve, in linea retta. Adesso, per arrivare da A a B, fai il giro del mondo, aspetti l’ora giusta, eviti determinati luoghi, procedi a zig zag, cambi idea, torni indietro, non vai, anzi vai, prendi il tram al posto della metro, prendi un taxi, rinunci.

Le persone diventano esplosive e tu eviti le mine e cammini guardandoti sempre i piedi e sei pronta a correre, a saltare, a scappare, a nasconderti.

Le persone diventano esplosive e tu decidi di tenerti alla larga da quelle che possono far saltare le tue nuove pareti e non hai voglia di ricostruire ancora e non sei ancora un bunker così resistente da rimanere immobile e serena, con la tua birra in mano, al centro di campo minato.

Le persone diventano esplosive e ti difendi dalle persone e le città sono abbastanza grandi per non saltare ripetutamente in aria.

Le persone diventano esplosive e tu, a volte, sei tentata di e ti avvicini e dici no, non fa male, anche se sai che farà un fottuto male cane e tu rantolerai e crollerai e dovrai ripartire ancora e ti mangerai le mani fino ai gomiti.

E parti da A per arrivare a B e ci arrivi in ritardo e hai fatto un percorso lungo e, a ogni angolo, quel che resta del cuore ti è saltato in gola e hai benedetto e maledetto il caso e la fortuna e hai evitato i pericoli e sei stata brava nel difenderti dagli altri e sei stata brava nel difenderti da te stessa e sei stata brava nel difenderti dalla mina più pericolosa, la nostalgia.