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Diventare oggi

Ti è mai capitato di stare bene?

Bene come in quelle sere che non hai impegni e poi torni a casa tardissimo, che chiacchieri con gli sconosciuti e ti accorgi di avere mille cose da raccontare. Quelle sere che non importano i rotolini di grasso, il trucco sbavato, il capello spettinato. Tu mangi due, tre gelati, bevi vino e sorridi e ti senti bella e sei bella e non importano età, peso, taglia, colore, firma degli abiti, abbinamenti.

Ti è mai capitato di sentire che tutto torna?

Che le domande hanno le loro risposte, che i silenzi hanno tutti una musica, che i visi sono pieni di sorrisi, che domani non ci saranno solo timori, ma speranze, che oltre la fatica di essere, c’è il desiderio e l’allegria di esistere.

Ti è mai capitato di essere dove dovresti essere?

Non un passo indietro, non uno avanti. Qui. Ora. In un luogo e in un tempo che sono tuoi, nonostante gli ostacoli, nonostante i pentimenti e i sensi di colpa e i no e le porte chiuse in faccia e i fallimenti.

Tutto è andato come doveva andare.

E all’improvviso non sei troppo né sei troppo poco. Sei tu. Precisa, come dovresti. Sei energia che riempie gli spazi, sei la luce che invade le stanze, sei l’aria che sposta le tende alle finestre, sei il movimento che attira l’attenzione.

Sei. il. piccolo. centro. del. tuo. grande. mondo.

Ti è mai capitato di stare bene?

A me è capitato. Quando nemmeno me l’aspettavo. Senza preavviso. Ed era notte a Milano e c’era la luce e i venditori di rose e l’ultima metro che mi ha aspettata prima di chiudere le porte e le nuvole che minacciavano pioggia e il telefono con ancora un po’ di carica e domani che aveva fretta di arrivare. La fretta di diventare oggi.

Le più belle

Quelle volte che scrivo di notte lo faccio in modo che nessuno mi legga o senta. Le volte che scrivo di notte poi cancello tutto e vado a dormire e riscrivo tutto nella testa e poi nei sogni ed è sempre pieno di frasi belle, frasi bellissime che a scriverle davvero non vengono mai fuori così bene, con tutta la vita dentro.

Quelle volte che scrivo di notte penso agli amori finiti e penso ai viaggi e a Venezia, alle calli notturne, a Parigi, al Marais, penso a quell’amica che amavo tanto e che poi è partita per l’Africa, penso ai pensieri e i pensieri sono pesanti, ma lisci, non li sollevi, li fai solo scivolare un po’ più in là, ti fai solo un po’ di spazio, non li elimini, non li sopprimi.

Quelle volte che scrivo di notte guardo il gatto e il gatto sembra dirmi lascia perdere, hai già il cuore a brandelli e quelle occhiaie scure, hai già usato tutte le parole e non sono servite, fai come me, che sogno tutto il giorno, arrotolato sul divano, dormendo un sonno giusto e sazio, dimenticandomi di ciò che non è stato.

Quelle volte che scrivo di notte parlo col gatto e poi con me stessa, ma a bassa voce, sentendomi appena, buttando giù parole che non fanno stare bene, ma nemmeno male, che sono solo trama che ordisco per terminare la tela.

È passato un anno esatto da quando mi sono esplose le parole. Le ho usate per riempire tutti i silenzi, i miei, i tuoi, i suoi. Di notte ne ho cancellate centinaia. Le ho riscritte nella testa. Sono le parole che non leggerà nessuno. Peccato. Secondo me, sono le più belle.