Archivi tag: caffè

Tempi di recupero

Ho sempre pensato che il più grade lusso sia poter gestire il mio tempo come credo.

Gli ultimi anni da dipendente li ho vissuti da pendolare: bici legata dietro la stazione, treno all’alba, battello fino a Rialto, solo mezz’ora di pausa pranzo, battello, treno, bici, rientro.

E poi ci sono stati quei lavori in auto a 25 km da casa e quelli per cui prendere la metro, l’autobus, la corriera, il calesse. E i cartellini e gli straordinari e i recuperi e il lavoro fatto a casa nei weekend e mai retribuito e le riunioni che finivano alle nove di sera perché l’amministratore delegato si era svegliato nel primo pomeriggio e aveva fatto tardi.

Tutti lavori pagati pochissimo, perché ringraziaiddio che ce l’hai un lavoro, perché cèlacrisi, perché è il mercato, perché potremmo sempre fare a meno di te, perché – vedrai! – al rinnovo ti facciamo lo scatto di livello e invece mai.

Quando ho deciso di diventare una libera professionista, ero molto stanca. Guadagnavo poco, lavoravo tanto e avevo troppe responsabilità e poca soddisfazione. È stata una scelta obbligata: esaurimento nervoso o tranquillità. L’uno o l’altra.

Adesso il tempo lo gestisco io. Quel poco che mi rimane. Perché non ci sono più orari, fine giornate, fine settimana. I giorni in cui posso dormire fino a tardi sono quelli in cui non c’è lavoro. Quando non c’è lavoro non si guadagna. Nell’ultimo anno ho lavorato molto poco e ho guadagnato pochissimo. Un anno che ho chiamato “tempo di recupero”.

Non tornerei indietro. Preferisco inseguire tanti clienti che leccare il culo a un solo padrone. Preferisco lavorare di notte e poi dormire un paio d’ore dopo pranzo. Preferisco stare a casa che in ufficio. Tra guadagnare poco alla scrivania di un’azienda e guadagnare poco sul mio divano, ho scelto la seconda. L’ho fatto soprattutto per un motivo: il posto fisso non mi avrebbe comunque garantito di campare serena.

Fino a quando potrò resistere, resisterò. Negli ultimi due anni ho fatto molte cose belle e ho stretto molto la cinghia. Ho avuto il tempo per scrivere e leggere. Un ottimo tempo di recupero.

Sono convita che le cose andranno meglio. Vivo un’altalena emozionale continua. Un mese fa temevo di morire di fame, adesso penso che potrò arrivare almeno a luglio.

Stamattina ho dormito fino a tardi. Stanotte lavorerò per recuperare.

È tutta una questione di gestione del tempo e gestione delle tazzine di caffè.

Caffè e tempo. È tutto lì.

Sono pigra

Io, più di ogni altra cosa, sono pigra.

Sono pigra in tutto, nelle decisioni, nelle azioni, nelle emozioni.

Sono pigra la mattina, quando fatico a svegliarmi, sono pigra il pomeriggio, quando procrastino all’infinito.

Sono pigra negli inizi, sono pigrissima nelle fini.

Sono pigra quando devo cominciare una nuova vita e posticipo sempre e dico di no agli inviti e dico vengo dopo e poi non vado e resto a sguazzare nella pigrizia di chat lunghe, di divano, di libri lasciati a metà, di pantofole calde, di lunghissime docce bollenti, di telefonate mai fatte, di email mai spedite, di lavori da finire, di gatto che miagola e mi fissa.

Sono pigra e malinconica e poi di colpo faccio mille cose per riuscire ad avere il tempo libero di non fare nulla.

Mi piace perdere tempo per poi sentirmi in colpa per averlo perso. È un godimento malato e perverso.

Più di ogni altra cosa sono pigra. E aspetto solo perché è meno faticoso di cercare.

Non ho un cane perché sono troppo pigra per portarlo giù a pisciare. Non fumo perché sono troppo pigra per andare a comprare le sigarette.

Adesso mi è finito il caffè, ma sono troppo pigra per andare a comprarlo.

Mi faccio un tè. A me fa schifo il tè, ma sono pigra.

Più di ogni altra cosa sono pigra.

Quindi bevo il tè e aspetto la tua telefonata. Se non chiami tu, io non lo farò.

Più di ogni altra cosa sono pigra. Però sono anche un po’ stronza, mi dispiace.

Napule è

Io li vedo ancora tutti e mille i colori, anche se dimentico i nomi delle strade, se non ricordo più certe parole, se la gelateria dove andavamo da ragazzini ha chiuso, se adesso ci sono più metropolitane, se siamo tutti più adulti e più stanchi.

Io le sento le mille paure e il disagio e vedo ancora il tanto che non va e la fatica e l’arrangiarsi e il pare brutto e la rabbia silenziosa che cola dalle mura di tufo.

Io sento tutti i profumi, tutti i rumori, tutte le risa, tutti i sapori, tutto lo sporco, tutto l’azzurro del cielo, tutti gli sguardi penetranti, tutti i motorini senza casco, tutti i pastori, tutte le salite, tutte le discese. Io sento tutto dentro.

Io cammino e cammino e guardo e respiro e parlo con la gente e bevo caffè e caffè, già zuccherato, grazie, perché ‘o doce nun m’abbasta maje int’a ‘sta città acussì bella e amara.

I cordiali

Ogni due domeniche, da bambini, mia madre ci portava a pranzo da mia nonna, sua suocera, la madre di mio padre.

Noi eravamo bambini con i genitori separati che, a quei tempi lì, a Napoli, era una cosa inusuale e anche un po’ triste, quindi eravamo bambini da coccolare, ma anche bambini forti, per gli altri, perché per noi eravamo solo bambini.

Ogni due domeniche, mia madre ci faceva prendere la circumvesuviana e ci faceva arrivare a Pomigliano D’Arco da mia nonna e mia nonna faceva il suo ragù speciale e il polpettone e quelle patatine così buone, che ogni volta che ne mangiamo simili diciamo che buone! Sono proprio come quelle di nonna.

Mia madre, prima di andare da mia nonna, passava al bar di Santa Teresa e si faceva preparare un pacco con lo zucchero e il caffè. Lo chiamavano il cordiale, come il liquore. Mi insegnava che quando si va a casa della gente a mangiare si porta sempre un pensiero e, poi, io nella vita sarei diventata una di quelle che porta sempre vino e, invece, mia madre a mia nonna portava quel cordiale fatto di zucchero e caffè, ché a Napoli zucchero e caffè sono come il pane, non bisogna mai rimanere senza, sono una cosa che si usa e consuma sempre, sono parte della nostra tradizione.

Quando ci siamo trasferiti a Padova vedevamo molto meno spesso mia nonna, ma le telefonavamo ogni domenica.

L’ultima volta che sono andata a trovarla, lei era molto stanca e malata e mi ha detto sai prepararti un caffè? E io le ho risposto ma che domande! Ormai sono grande, so cucinare, so preparare il caffè, so fare tutto. E lei mi ha sorriso e mi ha detto sei sempre stata così indipendente e così testarda.

Due giorni dopo ho preparato il caffè per tutta quella gente che passava a salutarla per l’ultima volta, il giorno del suo funerale.

Stamattina, ho scoperto di non avere zucchero e mi sono ricordata di quei cordiali e della grande verità di mia madre che diceva che non c’è nulla di peggio di ritrovarsi in casa senza caffè e senza zucchero. Mi è tornata in mente mia nonna e come ero diversa tanti anni fa. Mi sono tornati in mente quei pacchi regalo avvolti nella carta rigida del bar. Poi ho bevuto il caffè amaro e mi sono infilata in doccia.

Prima ancora di bere il caffè

Quelli che dicono che non si cambia mai, che ritorniamo sempre a essere noi stessi, che il bianco non diventa mai nero e che il nero può sembrare al massimo un po’ grigio, ma resta nero, quelli che psicanaliticamente ti dicono fai questo e quello perché da bambino ti è successo quello, perché tuo padre, perché tua madre, quelli che non credono che dall’oggi al domani, un sorriso, una canzone, un film, un abbraccio, un caffè bevuto con troppo zucchero, una fantasia sessuale realizzata, un bacio dato a occhi chiusi, un treno perso e poi ripreso, i cannelloni ripieni, possano davvero cambiarti la vita, quelli che non credono che possiamo essere quello che vogliamo, anche per pochi momenti, e non solo quello che dobbiamo, quelli che dicono che non si cambia mai a me fanno paura.

Mi fanno paura, quando mi guardo allo specchio e sorrido e mi dico che strano!, non mi spaventano più il tempo e le rughe nuove e i capelli bianchi e il lato del letto vuoto e il silenzio a cena e le case nuove e gli amici che non fanno domande.

Mi fanno paura quando i ricordi non fanno più male e io penso che si cambi, si cambia sempre e non diventiamo sempre migliori e a volte ci fa male essere diversi e a volte ci fa male essere come eravamo.

Io sono convita che si possa cambiare sempre, che si debba cambiare sempre, se non siamo più felici, se non siamo ricambiati, se non siamo soddisfatti, se non ci svegliamo la mattina con qualche buffa musichetta in testa e il sorriso sulle labbra e la voglia così preziosa di guardare il cielo fuori dalla finestra, prima ancora di bere il caffè.

Come quando

Ci sono gesti che fai per necessità e altri per abitudine. E quando la necessità diventa abitudine il tuo corpo ripete movimenti senza un vero perché.

Allora compi gesti strani e fuori luogo, perché l’istinto non segue la ragione.

Come quando ti aggiusti gli occhiali sul naso anche se stai indossando le lenti a contatto.

Come quando ti lavi le mani dopo averle appena lavate.

Come quando cerchi ovunque le chiavi e le hai già in mano.

Come quando provi a legarti i capelli e poi ricordi di averli tagliati.

Come quando riempio due tazzine di caffè e tu non ci sei più.

Macchiato freddo

Sono una misantropa che non sa vivere senza le persone, sono una cinica sentimentale, sono una squilibrata perfezionista, sono un’egoista altruista, sono una carnefice buona, sono una pacifista violenta.

Devi avere pazienza con me, lo so.

Però ricordo sempre come bevono il caffè le persone che amo e tu lo prendi macchiato, con il latte freddo.

Te l’ho lasciato sul tavolo, stamattina, insieme alle mie ennesime scuse.