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Questo Natale

Non sento più la magia.

L’ho persa negli anni, tra le calorie accumulate, i chilometri, i pacchetti fatti con la carta riciclata da regali precedenti, le telefonate a cui non vorresti rispondere e quelle che desideri e non arrivano mai, i pomeriggi sonnolenti, mentre la digestione fatica, il caldo dei termosifoni accesi che appanna le finestre dall’interno.

Non sento più la magia e se potessi dormire tutto il giorno e restare in pigiama a guardare telefilm e spegnere il cellulare e stare in silenzio e aprire il frigo e poi richiuderlo e mangiare solo dolci e bere caffè e caffè e caffè, se potessi farlo, lo farei.

Invece mi sforzo di uscire e di stare in compagnia. Spendo gli ultimi spiccioli per i regali, solo per vedere sorrisi sulle facce che amo. Mi siedo a tavola e mi riempio di fritti e bolliti e arrosti e panettoni. Accendo skype e saluto mio fratello dall’altro lato del mondo. Rileggo i tuoi vecchi sms, perché non ne arriveranno di nuovi, faccio il conto alla rovescia per il mio compleanno, guardo le rughe sul viso di mia madre e mi sento, per poco e completamente, a casa.

Ne vale la pena

Mi sono fermata a pensare a quello che resta e quello che passa. Quello che resta riempie a malapena una stanza e poi quasi tutto il cervello e il cuore. Quello che passa è andato, a volte non ci penso nemmeno più.

Dormo molto perché è primavera e poi sogno e a volte ti sogno. Devo iniziare le cose nuove e procrastino, posticipo, trovo scuse, mi mento, mi arrotolo come un gatto sul letto e non ho voglia.

È tutto nuovo e Milano ha altri colori oltre il grigio. Sono senza un soldo e ho una strana fiducia nel futuro. Un anno fa ero morta e adesso cambio vita di continuo.

Tutto sommato, ne vale la pena.

La luce che arriva da est

Sono tornata a casa, che era la nostra e non lo è più.

Ho aperto le finestre, ho fatto entrare la luce. Mia madre era passata a pulire e a curare le piante che nessuno cura più.

Ho acceso il riscaldamento, mi sono infilata in doccia. Ho indossato uno dei tuoi maglioni abbandonati. Ho mangiato dei biscotti che erano qui da mesi.

La casa è silenziosa, non c’è più il gatto. È così vuota di persone e così piena di ricordi. È bella e triste. Così triste che mi somiglia.

Devo liberarmi di questa casa e non ci riesco. Mi sveglio durante la notte e mi sento bene e poi sola e poi di nuovo bene.

A volte penso a chi potrebbe viverla, come sarà quando porterò via le mie cose, chi riempirà la cabina armadio, chi userà la mia vasca da bagno, chi accenderà il camino che noi non accendevamo mai.

Mi viene spesso in mente quel titolo del libro di Hrabal, Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, e penso che bisognerà iniziare a mettere in vendita il passato. Eppure non ci riesco. Passo il tempo a lavorare e lavorare e lavorare per pagare mutuo e affitto a Milano. Eppure non ci riesco.

Ci sono cose e case che si fa fatica ad abbandonare. Anche per chi è nomade come me.

C’è un grande silenzio e il parquet scuro e fuori piove e mi sembra di poter tornare indietro e di poter restare e non partire più. Devo sbarazzarmi di un posto che era casa e sentirmi di nuovo a casa altrove. Poi ci saranno altri appartamenti, altre città, altri racconti e libri e pagine e amori piccoli e scatoloni e viaggi in macchina e treni e ricordi che puoi mettere in valigia e tetti sotto cui essere felice e cucine da riempire con il profumo dei dolci appena sfornati e io che non so più dove stare, che resto ovunque e da nessuna parte, che sono come una casa senza inquilino, con le pareti rosse e la luce che arriva da est.

Pagurus

Sono come un paguro, che cambia casa in base alle esigenze, in base alla sua forma nuova, in base alle conchiglie vuote che trova nel mare.

Sono sempre me stessa, ma le pareti a volte mi stanno strette, allora cerco un’altra sistemazione, dove poter allungare le gambe e i pensieri, cerco un posto che mi faccia sentire a casa, anche se poi non trovo più casa e sono tutti posti in cui stare e sono tutti posti da cui fuggire.

Sono come un paguro, che si trascina dietro il tetto e poi lo lascia senza rimpianti, quando è ora di cambiare, quando è ora di ricominciare. Come un paguro cresco e mi sento pronta al nuovo, come un paguro, spesso, cerco solo un posto diverso in cui nascondermi per un po’.

Sono come un paguro e mi porto dietro questa buffa conchiglia della mia vita e a volte è più leggera, a volte è più pesante, a volte è troppo stretta, a volte è così larga che potrebbe contenere anche te, dovunque tu sia.

L’abito nuovo

Nonostante la disinvoltura con cui cambio spesso lavoro, amanti, città e identità, la grafica di Malafemmena era rimasta immutata dal lontano 2004.

Un po’ per immonda pigrizia, un po’ perché terribilmente affezionata alle pareti vecchie e bianche di un posto che è sempre stato rifugio e buen retiro, ho procrastinato il cambio del fu template di splinderiana memoria oltre il limite della decenza.

La scorsa estate avevo deciso che era ora di dare una rinfrescata a tutto l’ambiente, modernizzando la baracca e adeguandola alla mia crescita (ovviamente non anagrafica), e avevo contattato il paziente e bravo Novecento, affinché provvedesse ai restauri in tempi ragionevoli.

Il cantiere, avviato con grande entusiasmo, a causa della mia celeberrima accidia ha invece assunto subito i contorni di una delle grandi opere all’italiana, rischiando di diventare irrealizzabile come un ponte sullo stretto.

La sterzata emotiva che mi ha investita nelle ultime settimane mi ha, però, riportata sulla retta via decisionista e sono fiera di presentarvi la nuova casa della Dottoressa Dania.

Ci sono ancora molte cose da fare, pareti da tinteggiare, infissi da cambiare e stanze da arredare: quindi, cari amici, abbiate pazienza, almeno quanta ne ha avuta il buon Novecento, che ricorderò sempre nelle mie preghiere.