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Una farfalla non fa primavera

Sono una tipa da mezze stagioni.
Non mi piace l’inverno, troppo buio, con le giornate corte, i vestiti pesanti, la pelle grigia e il freddo che ti aspetta fuori dal letto, quando sei costretto a lasciare il tepore del piumone la mattina. Non amo nemmeno troppo l’estate, con il caldo insopportabile, le spiagge affollate, il divertimento a tutti i costi, le code interminabili in autostrada per meritarsi qualche giorno di ferie e le stupide zanzare.

Mi piacciono le stagioni tiepide, in cui non sudi e non hai i brividi, quelle in cui puoi uscire indossando soltanto il golfino, puoi pranzare all’aperto, puoi muoverti in bicicletta, puoi andare a correre al parco (o puoi anche solo immaginare di farlo, perché per certe cose basta il pensiero).

La primavera è la stagione perfetta: c’è luce fino a tardi, puoi lasciare sciarpe e guanti nell’armadio, è il momento giusto per pianificare lunghi viaggi, quello per iniziare nuovi lavori, per vivere qualche avventura, per flirtare.
Avete mai provato a innamorarvi a febbraio, quando la temperatura va sotto zero e la cosa più romantica che può accadervi è infilarvi a letto con la borsa dell’acqua calda?
Aprile è il mese giusto per far scattare le scintille, per conoscere, per emozionarsi, per sognare, per fare progetti (anche quelli che non realizzeremo mai).

Ed è il momento giusto per iniziare a prenderci cura di noi, a mangiare bene, a sgonfiarci un po’, per sentirci più leggeri e per superare, senza angosce, la prova costume.

Quando arrivano le belle stagioni, io divento salutista e fanatica delle insalate… quelle di pasta, però, i piatti unici che preferisco in assoluto.
Potrei mangiarle anche tutti i giorni (e durante la gravidanza credo di averlo fatto). Sono facili da preparare, ottime da conservare e puoi variare sempre gli ingredienti, così non ti annoi mai. Inoltre sono un pasto completo, che sazia e che dà soddisfazione.

Quella che vi suggerisco l’ho chiamata Le farfalle a primavera.

Per prepararne una porzione occorrono:

– 80 grammi di pasta formato farfalle (scrivo 80 perché la mia dietologa mi legge, ma per me butto almeno 150 grammi 😉
– Una fetta di formaggio stagionato Pamigo Bayernland
– Pomodorini secchi sott’olio
– Olive nere alla greca
– Basilico fresco
– Sale qb
– Olio evo qb

Ingredienti pasta

Dopo aver cucinato la pasta e averne stemperato la temperatura aggiungendo un po’ di olio crudo, unisci le olive, i pomodorini a pezzetti e il formaggio tagliato a dadini. Mescola tutto e decora con il basilico e con altri pezzetti di formaggio.

Farfalle a primavera

Veloce e buonissima.

E a stomaco pieno è ancora più facile essere felici.

*Post in collaborazione con Bayernland

Questa primavera voglio innamorarmi dell’uomo sbagliato

Un mese fa ho partecipato come autore a una campagna di native advertising per il brand Yamamay, su VanityFair. Avevo un ruolo a metà tra Don Draper e Barbara Alberti ed è stato uno dei lavori più stimolanti fatti negli ultimi tempi. Oltre alle interviste per la parte video, ho scritto tre pezzi, sul tema primavera, femminilità e percezione del corpo.
 Vi riporto il primo, che amo molto, perché è un vero e proprio manifesto sul mio essere donna (imperfetta).
 Lo dedico a tutte quelle come me. Buona lettura.

Ho iniziato il conto alla rovescia in attesa della primavera.
Dicono che sia la stagione delle donne, perché il sole mette in circolo le endorfine e ci rende più luminose, più allegre, piene di energia e di voglia di fare, pronte, prontissime all’innamoramento. È la nostra stagione perché sbocciano i fiori (e non solo quelli di mimosa), perché i capelli crescono più velocemente, perché la pelle è più liscia e la pancia più piatta (sia benedetta la scarsa ritenzione idrica!), perché puoi lasciare a casa i cappotti e le sciarpe, mostrare il decolté, indossare i sandali, girare in biciletta. Quando arriverà la stagione più bella, quella che lascia alle spalle il gelo e il grigio dell’inverno, con le giornate che si allungano e la luce del sole più brillante, con gli alberi fioriti, le fragole, i vestiti più leggeri e gli aperitivi all’aperto, voglio che nessuno mi dica che tipo di donna devo essere.

Non accetterò consigli su cosa è giusto e cosa, invece, non si dovrebbe fare, non voglio regole da seguire per conquistare, tecniche per far capitolare, stratagemmi per abbindolare. Non ditemi che devo perdere tre chili, che dovrei fare la frangia, che il pizzo non mi dona, che non ho più l’età per portare il rosa.

Non voglio cambiare il mio corpo, voglio assecondarlo.
Questa primavera voglio essere me stessa.

Non fatemi sapere che gli uomini vogliono le donne dolci o che le vogliono aggressive, che devo parlare di più o devo stare zitta, che devo sorridere oppure fare l’imbronciata. Non mi lascerò condizionare da chi pretende che sia meno di quello che sono o chi mi chiede di diventare molto di più, da chi vuole nascondere il mio corpo o da chi vorrebbe esporlo come un vessillo. Sono stanca di essere una bandiera, io voglio solo essere una donna. Una donna che prende decisioni giuste o quelle sbagliate, con l’inviolabile diritto di decidere di testa sua. Voglio che il mio corpo diventi la primavera, che sbocci, che sia luminoso, e che a volte, come capita anche nei mesi belli, sia una nuvola nera, piena di tempesta.

Questa primavera voglio mostrarmi. Indosserò abiti corti, sottovesti leggere, minigonne. Metterò camicie di seta e cotone candido e ricamato. E non mi interessa se non sono formosa, se non sono slanciata, se ho qualche rotolino, se non ho più l’età. Voglio le braccia nude e le gambe libere di portarmi dove desiderano, di correre, di accavallarsi per sedurre.

Questa primavera voglio giocare con i capelli, arrotolarli sulle dita, tenerli davanti agli occhi o raccoglierli. Voglio sentirli scendere sulle spalle, fermarli dietro un orecchio, lasciarli crescere fino a metà schiena o tagliarli. Voglio smetterla di preoccuparmi della piega perfetta e trovarmi bellissima anche appena sveglia, tutta scarmigliata come dopo aver fatto l’amore.
Questa primavera voglio dare il bacio più romantico di sempre.
Cercherò la luce giusta, la perfetta colonna sonora, lascerò che mi infili la mano tra i capelli sulla nuca e che annusi il mio profumo, prima di raggiungere le labbra. Lo darò a occhi chiusi o aperti, non importa, e solo se ne avrò voglia. E anche se non trasformerà il mio ranocchio nel Principe Azzurro, sarà comunque un momento da ricordare per sempre.

Questa primavera voglio guardare il mio uomo come se fosse il più grande amore della mia vita, anche se ci diremo addio con l’inizio dell’estate.
Questa primavera smetterò di credere al vissero felici e contenti e inizierò a credere al vissero ogni minuto intensamente.
Questa primavera non voglio cercare l’uomo giusto, voglio cercare l’emozione giusta.
Questa primavera voglio essere me stessa. Anche se sono imperfetta, anche se faccio degli errori. Perché, nonostante tutto, io lo so che sono la donna migliore che posso essere.

[Gli altri due pezzi li trovate qui: Felicità: tutti i segreti per sorridere in primavera e Primavera: è arrivato il momento di conquistare il tuo lui (e il mondo)]

Rimasugli di te

C’è stato un lungo periodo della mia vita in cui scrivevo soltanto quando stavo male. Diari, che portavo sempre con me, e lettere, tantissime lettere, di quelle di carta, che in questo momento mi mancano così tanto.
Mi è capitato, tempo fa, di ritrovare tutti i quaderni che avevo riempito con la mia brutta calligrafia disordinata, di risfogliarli e di non riuscire a rivivere le emozioni e i sentimenti che provavo allora. Non perché non sia ancora in grado di provare la più profonda tristezza, di vivere con una saudade continua o con il terrore che il meglio sia già perduto, ma perché, credo, di aver cambiato pelle così tante volte, da essere una persona completamente diversa.

Ogni trasformazione, anche la più drastica, ti lascia addosso un residuo della persona che eri. Qualcosa di cui non riesci a fare a meno, perché non sai nemmeno che è una tua particolarità. Puoi imparare a vestirti, camminare, parlare, mangiare, lavorare in mille maniere diverse. Puoi imparare ad amare e amarti in modi che non avevi mai immaginato. Puoi cambiare gusti, scoprire di gradire il caffè decaffeinato e di non essere più in grado di mangiare maionese, di trovare attraenti i ragazzi con i capelli lunghi e detestabili gli intellettuali. Puoi cambiare desideri, volere a tutti i costi una casetta in periferia, invece di un appartamento in centro, una vacanza in montagna, invece dell’estate a Ibiza, un figlio, invece della pancia piatta.

Ma non riuscirai mai a cancellare quel rimasuglio di te che compone la tua parte più segreta.

Uno dei miei rimasugli è il senso di colpa. Per tutto. Per quello che mi succede e per quello che non accade. Per i fatti del mondo e per quelli del mio orticello. Per le scelte che ho fatto e per quelle che non ho mai preso. Per gli errori, per i traguardi, ma non quelli giusti. Per l’irruenza, l’istintività e per l’accidia e la pigrizia.

E non mi è chiaro se penso sempre di non meritarmi le cose o se sono convinta di non aver fatto abbastanza per meritarmi di più.

Possono cambiare le circostanze, l’amore, il lavoro, i debiti, le città, gli anni, gli amici fidati, i desideri, le passioni, la taglia dei pantaloni, le idee politiche, la musica preferita, ma il rimorso e il rimpianto non mi abbandonano mai.

L’altro residuo dell’autentica me è il nomadismo, il desiderio di spostarmi spesso, il bisogno di iniziare in continuazione, perché gli inizi contengono promesse di felicità, speranze, passione. Appena una casa o un posto mi diventano familiari, ho voglia di ripartire. C’è così tanto mondo da vivere e così pochi anni in una vita!

Ultimamente ho conosciuto persone che non si sono mai spostate troppo dal loro quartiere. Non dal loro paese, dalla regione, dalla città… Dal quartiere.

Non riesco a capire cosa si prova a non desiderare di voler provare a vivere altrove. Però ho capito una cosa importante. Mentre un tempo pensavo di aver cambiato così tante città da non avere più una “casa”, adesso mi rendo conto che, al contrario, sono a casa mia in tantissimi posti. Tanti posti che non credevo sarebbero diventati così tanto parte di me.

A volte penso che vorrei scrivere di questo. Far vivere ai miei personaggi quello che ho provato. Usare un po’ di autobiografia tra le mie righe.
Vorrei tornare a scrivere come in quelle lunghe lettere che inviavo ogni volta che cambiavo città, che mandavo ai vecchi e nuovi amici, che rileggevo due o tre volte prima di spedire e non rivederle più, che mettevano in ordine i miei pensieri e poi sparivano. Quelle lettere che non potrò più sfogliare e che forse, proprio per questo, contenevano le parole più importanti, che non sono state scritte per un sollievo futuro, ma per il bisogno di raccontare e basta.

È bella la primavera, della finestra della mia camera. Quella finestra a cui da poco ho messo le tende, non per tenere il mondo fuori quando le chiudo, ma per scoprirlo ogni volta che le apro.

Fino a quando sbocceranno le viole

Non mi dispiace l’alternarsi delle stagioni. Primavera-estate-autunno-inverno.

Non riuscirei a tollerare una vita senza imprevisti meteorologici, senza l’attesa che le giornate si allunghino, nel terrore che si accorcino, togliendoti il sole che ti eri guadagnata, senza la fatica del cambio di stagione, che ti convince a spendere i soldi che non hai negli ultimi saldi.

Mio fratello vive da anni in Brasile, con la famiglia, a due passi dall’equatore. Sempre caldo, sempre sole, qualche pioggia tropicale, alba e tramonto sempre alla stessa ora. Sì, puoi andare a mare tutto l’anno e stare in infradito per 12 mesi e tenere l’aria condizionata accesa perennemente e cenare all’aperto ogni sera.
Sempre lo stesso.
Non fa mai freddo, non c’è la neve, non c’è la nebbia, non ci sono i maglioni di lana e i cappotti e i calzettoni e gli UGG e i guanti e le sciarpe e le stufe a fungo fuori dai locali per i fumatori.
Sempre lo stesso.
E chissà come fai ad accorgerti del tempo che passa, forse dalle vetrine dei negozi, dalle commesse in T-shirt e cappellini da Babbo Natale quando c’è da festeggiare.
Non lo so.
Se poi lavori, non ci vai in spiaggia tutti i giorni e anche se fosse, alla fine ti romperesti le scatole anche della sabbia, tutti i giorni.

Ci pensavo guardando fuori dalla finestra. Un sabato lento, di grigio milanese, una pioggia leggera, nemmeno un’ombra della neve che ci hanno promesso.
Mi consola sapere che l’inverno non dura per sempre e che domani, o forse dopodomani, o dopodopodomani, tornerà la primavera.
Perché la primavera torna sempre e io credo che ci sia qualcosa di magico, nel guadagnarsi un po’ di luce in più, nel togliere gli strati, nello scoprire il pallore, nel prepararsi alle prove costume che non superiamo quasi mai.
Non mi dispiace l’alternarsi delle stagioni, il caldo e freddo, e i periodi di mezzo, gli autunni romantici, il maggio tiepido in cui tutto sembra poter essere migliore.
Mi piace l’idea di conquistarci il bello, di non darlo per scontato.

Non è vero che sono giorni brutti brutti. C’è qualcosa di speciale anche in questo pigro inverno.
Tipo restare qui, e non uscire mai mai mai da questo piumone caldo fino a quando sbocceranno le viole.

Che poi non è

Ogni tanto qualcuno mi dice sei cambiata, non sei più quella mangiauomini senza cuore, non sei cinica, sei forse meno brillante, meno strafottente, meno carismatica. Allora io penso che si possa cambiare sempre, anche superata l’adolescenza, che possiamo essere altri da noi in ogni momento, quando prendiamo martellate sui denti e sul cuore, quando siamo stanchi, quando la vita ci cambia attorno, quando vogliamo conoscere sapori nuovi, quando non ce la facciamo più, quando gli altri ci abbandonano.

Ieri ho preso un treno che non arrivava da nessuna parte e mi sono messa a leggere quel libro tanto bello che non riesco a finire. Fuori dal finestrino era tutto così brutto che avevi voglia di osservare il panorama dentro. A volte penso a quando prendevamo insieme il treno e poi a tutti i treni della mia vita, quelli per scappare e quelli per tornare. C’è un sacco di vita in attesa sui treni.

E lo so che non sono più la stessa, non importa. Chi non si trasforma spesso muore. E chi resta sempre uguale mi spaventa, chi non ha le budella che si mescolano e creano nuovi dentro.

Stamattina non piove più, ma siamo stati presi in giro. Avevamo scambiato per primavera una cosa che non lo è. Come quando incontri un paio di occhi e ti sembrano quella cosa là. Che poi non è. E ci rimani anche un po’ male. Ma poi ti infili un golfino e aspetti. Non può piovere per sempre. Perché altrimenti vaffanculo.

Quella che chiamano primavera è già quasi estate.

Quella che chiamano primavera è già quasi estate.

Pianifico i miei futuri impegni con poca voglia. Mi piacerebbe molto andare al mare, ma dicono che sia ancora marzo, senza darlo troppo a vedere.

Ho tolto le calze, ho indossato i sandali, ho tagliato i capelli ancora più corti. Ho pensato di scriverti, ma poi no, perché va bene così, ché a cercarci troppo e spesso non si godono le attese. Attendo molto, in questa strana primavera, e poi cammino. Lo sapevi che Milano è bella con il sole? E poi sarà quel che sarà. Chissà se tornerà il freddo. Non ricordo più cosa volevo dire quando ho iniziato a scrivere il post. Credo che andrò a fare due passi. Credo che vada tutto bene. Qui è già quasi estate, le stagioni avevano fretta. Tengo le finestre aperte e faccio entrare aria e rumori. Poi posticipo tutto a domani.

L’inverno dura un anno e poi arriva primavera

Era inverno da un anno intero. C’erano colori scuri e nuvole e attese e silenzi e pianti disperati e fini senza inizi e alberi senza fiori e freddo e poca voglia di uscire. Era inverno da così tanto tempo e c’erano i treni, sempre di corsa, sempre pieni, c’erano i dubbi, le cose lasciate a metà, le occhiaie, le notti insonni, gli aperitivi da bere per dimenticare, i capelli sempre in disordine, i vestiti nuovi e mai indossati, le scarpe troppo strette, le lettere scritte e mai inviate, le foto da fare a pezzi, i ricordi da cancellare.

C’erano cose tristi e tanto inverno. Da un anno intero.

Poi è passato. Sono arrivati il sole, le giacche leggere, l’ombretto nero nero sugli occhi, le mani degli amici, i sorrisi dei nuovi sconosciuti, i ritorni, gli inizi, i progetti, le speranze, le parrucche colorate, i vestiti a fiori, i baci, le verità raccontate a occhi chiusi, gli abbracci.

È passato. L’inverno dura un anno e poi arriva primavera.

Lo stupido buonumore

Mi sono svegliata allegra e c’era il sole e tutte le cose da fare mi sono sembrate così poco urgenti, poco interessanti e allora ho finito in fretta il lavoro e sono uscita a fare due passi ed ero senza giacca e mi sembrava la prima primavera dopo così tanto tempo.

E poi mi sono messa a pensare a quelle cose che pensi solo quando non hai la testa libera da cosedafare, cosedafinire, cosedarisolvere e ho pensato che una volta era facile dimenticarsi delle persone, che adesso scopri sui social network che sono vive e sposate e hanno figli e vivono in NordAfrica o cose così. Ho pensato che non ho più venticinque anni da un pezzo e che continuo a sentirmi come allora. Ho pensato che dovrò comprare delle scarpe leggere, da mettere senza calze in questi giorni di meraviglia. Ho pensato che – pensa te! – fino a qualche giorno fa sembrava non andare e poi va.

Va sempre e a volte si aggiustano le cose, ma solo se le affronti una alla volta, un problema alla volta, una rogna alla volta, un desiderio alla volta.

Ho pensato che posso fermarmi un po’ così, che non c’è nessuna fretta.

Mi sono messa a fare pensieri leggeri e c’era il sole e c’era Milano che lavorava e c’erano i ragazzini che uscivano da scuola, c’era la mia musica nelle orecchie, c’erano gli occhiali da sole, c’erano i sorrisi ai passanti sconosciuti, la leggerezza, i semafori verdi e lo stupido buonumore.

Io sono molto stanca e poi arriva la primavera

Non si prendono mai decisioni quando si è stanchi.

Da stanchi tutto sembra più faticoso, insormontabile, fastidioso. Da stanchi ci sentiamo soli, brutti, trascurati, nervosi, emotivi, irascibili.

Io sono molto stanca, lavoro molto per mantenermi in questo altrove. Inizia a non piacermi più. Ma è perché sono stanca.

Se fossi meno stanca avrei il tempo per fare le cose belle, per cercare persone belle, per incontrare occhi nuovi, per ridere, per rimettermi in forma.

Invece sono stanca, mi trascino da un impegno all’altro, da un incontro all’altro, da un cliente all’altro.

La sera, davanti al vino, parlo di lavoro. Io non voglio essere una di quelle persone che, davanti al vino, parla di lavoro.

Poi arrivo a casa e mi ricordo di dover finire delle cose, dico di sì a tutti gli ingaggi perché ho bisogno di soldi. Milano diventa il fine e non il mezzo. Riesco a guadagnare per mantenermi, mutuo e affitto insieme, e non a guadagnare per fare quello che mi piace.

Sono diventata un’adulta e gli adulti sono stanchi, hanno problemi schifosi, non parlano quasi mai d’amore, hanno tanti conoscenti e pochi amici, non sognano ad occhi aperti, non scappano per cambiare tutto, restano e resistono, si sacrificano, vanno avanti, crescono e, spesso, invecchiano.

Io sono molto stanca e poi arriva la primavera. Non ricordo già più quanti caffè ho bevuto stamattina.

Vado avanti e vado avanti e vado avanti. Domani, forse, mi riposo un po’.

La primavera sembra fare sul serio

In alcuni momenti ti distrai da te stessa e sembra che le cose siano al loro posto.
Il solito disordine in cui ritrovi tutto, i soliti colori, il caldo di fine maggio, le scatole con i vestiti leggeri, sparpagliate per le stanze in attesa della voglia di un vero cambio di stagione, i libri iniziati e lasciati a metà per leggere altri libri, le chiavi sul muretto dell’ingresso, le scarpe abbandonate in salotto, i cucchiaini nel lavello, i jeans sulla sedia vicino alla finestra.

Resisti e il tempo scorre ed è la vita e la conosci. Ti sembra di saperla interpretare, questa vita con le cose a posto, e allora vivi, ti muovi nel tuo spazio, senti la primavera che entra dalla finestra, sorridi, canti le canzoni ad alta voce.

Poi inciampi in qualcosa, in un’intuizione, in un ricordo che non sapevi di aver lasciato lì.

Ti accorgi che l’assenza non è in quello che manca, ma nel troppo che rimane, nella caffettiera da due tazze che finisci ormai da sola, nel lato del letto che non usi, nel piatto di pasta che avanza e conservi in frigo, nel latte che non consumi tutto e che va a male, nel cesto dei panni sporchi che ancora mischia un po’ di tuo e un po’ di suo, nell’abitudine del messaggio di buonanotte che non mandi più quando sei in viaggio, nella giacca appesa nell’armadio, nelle fototessere nascoste nel portafogli sotto la patente.

Lasci le cose come stanno e a volte parli con le cose e poi succede che sorridi, senza motivo, e senti che non hai perso per sempre, che tutto rimane nella vita che hai vissuto, in tutta la meraviglia e la bellezza di ieri, e ti farà compagnia ancora, come il formicolio di un arto amputato che senti di continuo attaccato a te.

Non puoi perdere una parte di te, nemmeno se ci provi; te la porti dietro anche se manca.

La primavera, questa volta, sembra fare sul serio. Presto ti deciderai a svuotare gli armadi e a riempirli di abiti leggeri, di colori chiari, di abitudini nuove e di ricordi dolci.

L’altra stagione

C’è finalmente il sole. E il caldo vero, quello senza spifferi e senza gelate all’ombra.

Ci sono gli adolescenti che si baciano, le biciclette colorate, i tavolini fuori dai bar, le ragazze con i sandali. Ci sono le fragole, i gelati, le magliette a maniche corte, i ragazzi stesi nei giardini e quelli che corrono.
Ci sono i pomeriggi a sonnecchiare, il tempo perso, le lenzuola leggere.

Ci sono le novità e le notizie belle e gli amici a cui raccontarle. E ti verrebbe voglia di chiamare quelli che non senti più e dirgli basta, togliamoci di dosso questa nebbia piena di rancore, beviamoci una birra ghiacciata, parliamoci.

Ci sono i cambiamenti, i vestiti nuovi, gli armadi da svuotare e riempire, le pulizie da fare.

Poi ti viene voglia di andare a mare e dimentichi il resto e ti chiedi come sia stato possibile sopravvivere ancora una volta a un altro fottuto inverno.