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Io voglio essere Peter Pan

Ho smesso di occuparmi dell’amore e mi sto occupando solo del lavoro.

Dicono che, anche se hai un’intesa vita sessuale, se sei donna non sei single. Sei zitella.

Dicono che la fortuna arriva solo a chi crede nelle cose e non è vero. La fortuna arriva quando cazzo vuole lei. Va così.

Dicono che sono pigra, per quello le mie occasioni sono sempre piene di compromessi. Lo dicono le persone che pensano di conoscermi e invece no. Sono pigra, è vero, ma le mie occasioni sono quelle che capitano a tutti. I compromessi fanno parte dell’essere adulti, solo che a me pesano di più. Io voglio essere Peter Pan.

Oggi fa caldo e sono nervosa. Il tempo passa e io non riesco a correre di più. Sapessi quanto mi farebbe bene partire, adesso, lasciando tutte le cose in sospeso. Tu non hai paura che il tempo che non vivi in viaggio sia tempo perso?

Ho ripreso a cucinare, dopo un anno e mezzo. Mangio molto meglio. Non mi peso da un mese e vivo più felice.

Vorrei avere una casa sola e non molti appartamenti e nessun nido. Oppure no, vorrei avere mille vie di fuga e una base in cui tornare.

La prossima volta che mi porterai a cena, sceglierò io il vino. Poi faremo finta di essere ragazzini e spegneremo i telefoni e toglieremo gli orologi e tutto questo tempo non ci farà più paura.

 

Cosa sta succedendo

Due giorni fa ho preso il trenino che porta all’aeroporto grande. Non dovevo prendere nessun volo. Mi sono messa a passeggiare tra la gente in coda ai check-in, ho sfogliato le riviste nell’edicola, ho ordinato un caffè, ho guardato la gente che trascinava bagagli e controllava l’orario dei voli. Mi sono seduta ad aspettare, non sapendo cosa aspettare, un arrivo, un ritorno, una fuga, un’illuminazione. Ho fatto un giro per i negozi ed erano tutti gentili con me. Nessuno immaginava che io non dovessi partire. Però io lo sapevo e mi sentivo in colpa. Perché anche i non luoghi fatti per non farti sentire a disagio ti ricordano che non hai altrove da raggiungere. Poi ho fatto la fila alla toilette, mi sono lavata le mani, ho comprato un dolcetto, ho parlato con un addetto alle pulizie. Ho fissato l’orologio grande e ho deciso di tornare a casa. In treno ho letto un bel libro. Tornare a casa è stato come rientrare da un viaggio. Credo mi abbia fatto bene.

Oggi parto per Alba, dove incontrerò degli amici, berrò, berrò, berrò e poi, domani, insieme alla mia socia, terremo una lezione di piazza di Stiletto Academy (Piazza Falcone, ore 17.30).

Poi ci sarà il primo maggio e recupererò il lavoro arretrato, sempre ringraziando tutte le divinità del mondo di avere ancora un lavoro.

Il 5 e 6 maggio, allo Sheraton Malpensa ci sarà il nostro primo evento per spose, “Sì, mi voglio”.

Subito dopo mi chiuderò in casa a scrivere. Fino al giorno in cui tornerò in aeroporto. Ma stavolta per partire.

Questo è quello che succede. E, adesso, scusatemi, vado a bere il caffè.

Le cose piccole

Di un anno intero che è passato ricordo solo le cose piccole, i viaggi in treno sempre da sola, i libri letti, i caffè nelle case in cui ero ospite, quel paio di scarpe bello che mi faceva così male, i camerini troppo bui prima di andare in video, le parole scritte che tu non hai letto, le passeggiate con la musica nelle orecchie, le lacrime che sporcano di rimmel i cuscini, gli abbracci agli amici, il vento sulla spiaggia di Jericoacoara, quel pomeriggio da sola nel Marais.

Ricordo lo stomaco chiuso, l’alcol che cura, le attese che durano e durano e poi finiscono, il ticchettio della sveglia nelle notti insonni, i numerosi tagli di capelli diversi, la paura di fare tardi, la certezza che è ormai troppo tardi, è troppo tardi, è troppo tardi.

Dobbiamo essere pronti per le cose nuove, perché c’è molto, ma molto manca ancora, e tutto arriva quando sei distratto, quando stai guardando altrove e non sei pronto. E mi distraggo spesso e non so se cerco e se non cerco non trovo e quando arrivi non ti vedo e non so se è il tempo che passa senza chiedere il permesso o sono io che non so aspettare, ma ho molta fretta di tutto, di tutto.

Sono stata al mare e c’era il vento forte e il freddo e le onde alte e la sabbia che si alzava e che finiva tra i capelli e ho pensato che è bello quando tutto è agitato e tu speri che finisca, ma non puoi fare a meno di guardare, perché la furia ti attrae e mentre aspetti il sereno guardi l’acqua agitata e te la senti dentro. C’è ancora tanto mare in tempesta qui intorno e io lo osservo e mi si muove dentro e va tutto bene. Ho il frigo pieno e la birra e le cose da finire e quelle da iniziare, le pagine da scrivere, le città da rivedere, gli uomini che rimangono un po’, quelli che si fermano una notte e poi non li vedi più e ti sembrano porti in cui fermarti a fare il marinaio e poi salpare.

Di un anno intero che è passato ricordo solo le cose piccole. L’anno che verrà sarà quello delle grandi cose. Non fare tardi.

 

La presente vale anche come scuse

Che, poi, la cosa più difficile è stata dormire.

Dormire una notte intera, senza svegliarsi ripetutamente, senza fissare il soffitto per ore, la sveglia con i numeri verdi, le tre, le quattro, le cinque, l’alba, la luce dalla finestra, senza pensare e pensare e pensare e ripensare a tutto, senza ricordare, senza ripetere tutte le parole dette e le parole scritte, tutte le parole scritte, a memoria.

La memoria mi ha fottuta. Io ricordo tutto. Tutto. Le parole, le frasi, gli sguardi, le smorfie della bocca e i tuoi imbarazzi, le lacrime, le cose dette a bassa voce, quelle dette senza pensarci e non ci hai pensato tu, ma io ripetutamente e tu dimentichi in fretta e io no, mai, è una maledizione, una tortura, e se non dormi poi tutti i ricordi stanno lì, uno sull’altro, non ti danno tregua, ti stringono nel letto, li rimetti in ordine, in fila, li ripensi, li sudi, ogni volta ci capisci una cosa nuova, ogni volta ci cerchi una soluzione. Non ci sono soluzioni nei ricordi. I ricordi sono finiti. I ricordi sono il passato.

Il passato è passato per tutti, ma non passa se non dormi. Io avevo deciso che questi mesi erano una bolla chiusa, io, lui, l’altro, l’altra, in cui si ripetevano gli stessi errori, le stesse scene madri, gli stessi silenzi che volevano dire tutto e io non capivo, non volevo capire. Ho bevuto litri di caffè. Se non dormi poi di giorno sei a pezzi, hai i riflessi lenti, sei come dentro un liquido denso, ti pesano i muscoli, sei piena di lividi, non ricordi come te li sei fatti. La gente ti parla e tu non ascolti, senti le voci lontane, ma non ti concentri. Non sei nemmeno stanca. Sei esausta.

Sei esausta, ma giochi al massacro. Non molli. Non superi. Non chiudi occhio. A volte crolli. Mezz’ora. Quarantacinque minuti. Ti rialzi. Ripensi. L’amore diventa odio che diventa amore che diventa ossessione che diventa odio che diventa amore. Non ha nemmeno più senso. È finito. È finito. Ma tu non dormi, quindi non lo sai. Non ti ricordi se sono passati tre giorni, tre settimane. A volte sembra ieri, a volte sembra così lontano. Non ti ricordi le facce. Non ricordi la voce. Una sera ho bevuto troppo, sono crollata, li ho sognati, erano così nitidi. Mi sono svegliata. Erano solo le quattro. Non mi ricordo se sono passati tre giorni, tre settimane.

Sono passati otto mesi. Non sono mai andata in un ufficio. Ho scritto moltissimo. Ho lavorato, ma non ricordo bene quando, come. Sorridevo. Per lavoro devo sorridere. Io odio sorridere. Mi piace ridere, non sorridere. Prima delle grandi giornate non ho mai dormito. Avevo delle occhiaie enormi. Bevevo molto caffè. Poi c’era l’adrenalina. I truccatori mi dicevano ah, ma tu fai le ore piccole. E sorridevano complici. Ma io odio sorridere. Ero stanca, poi mi dicevo faccio questo e poi parto e poi non faccio più nulla e scappo e poi lascio tutti i fantasmi qui e non mi seguiranno e vado lontanissimo e poi sarò libera e poi non penserò più e lui sparirà per sempre. Ogni volta dicevo la prossima settimana parto e poi non partivo, c’era sempre altro da fare, c’era sempre da sorridere. Faccio l’ultima, poi basta. Poi ancora un’altra. E poi scrivevo e poi sorridevo.

Poi sono partita, ma era tardi e non dormivo e poi il jet-lag e tutto diverso e tutto quel sole e nessun rifugio e i giorni a disposizione per riposare e invece, cazzo, non fare nulla è un suicidio, tutti i pensieri erano lì, mi sono saltati alla gola e io ero molto stanca. Da quanto tempo non mangio? Ho perso otto chili. Non mi va più nemmeno un vestito. Li compro nuovi. Finisco il credito della carta, non me ne accorgo, da quanto non controllo il saldo? E i pagamenti delle fatture? E il mutuo? Sono tornati tutti, erano lì, i ricordi, i pensieri. Non dormivo, bevevo molto, mangiavo poco. Potevo diventare un anacronistico poeta beat. Ma non scrivo se sono sbronza. È stato come un viaggio nel deserto con lo spirito guida. Ho capito le cose. Sono andata fuori di testa. Ho rivissuto tutto. Ho capito gli errori. Avevo fatto degli errori. Avevo fatto soffrire anche io. Però tutti erano andati avanti, io no, perché il passato non passa se non dormi, e non è mai sera e non è mai mattina, ti muovi lentamente e poi a scatti, piangi molto, moltissimo, ripeti sempre le stesse cose, non te ne fai una ragione, non te ne fai una ragione, non te ne fai una ragione. Arrivi al punto di rottura. Ti rompi. Muori.

Rientro, mi trascino dal medico. Mi chiudo in casa. Dormo tre giorni. Mia madre è preoccupata. Elena è preoccupata. Come avrei fatto senza Elena? Non ci siamo frequentate per anni. Mando giù con un bicchier d’acqua. Dormo ancora. Non mangio per tre giorni. Mi alzo per bere e per nutrire il gatto. Ogni notte riposo, mi alzo solo quando fanno male i muscoli, quando finisce l’effetto del sonno profondo. La casa è un po’ più vuota, ci sono meno fantasmi, ci sono meno parole ripensate, molte meno.

Mi ricordo di quel paio di occhi che avevo notato appena in questi mesi. Sono occhi molto belli.

Mangio un po’. Nel pomeriggio riposo. Il nono mese rinasco.

La presente vale anche come scuse.

Eskimo

Una volta mi sono fermata a dormire a casa di Valentina, che abitava sul Montello, in un vecchio casolare diroccato, che lei e il fidanzato cercavano di ristrutturare un po’ alla volta e che avevano preso in affitto da un’anziana che non voleva assolutamente venderlo, perché era la casa del fratello, che era emigrato cinquant’anni prima in Argentina, e che sarebbe tornato, prima o poi, era sicura, lei lo aspettava da decenni, per quello teneva quella casa fatiscente, sul bordo del ruscello, uguale a quando il fratello viveva lì.

Una volta mi sono fermata a dormire a casa di Valentina e avevo diciannove anni e i capelli rasati a zero e l’orecchino al naso e quell’ombretto viola facinoroso e imbarazzante e quei maglioni così larghi e pesanti e quelle camicie che a indossarle sentivi anche tu la pallottola del fucile a pompa nel cranio, come Kurt.

Valentina e io recitavamo insieme, in un teatro veneziano di quelli che non hanno mai vantato grandi stelle, e portavamo in scena un pezzo di Václav Havel e facevamo un sacco di prove e abbiamo anche vinto dei premi, di quelli che non hanno mai cambiato la vita, e ci frequentavamo spesso e ci piacevamo molto.

Lei aveva trentuno, forse trentadue anni.

Fino all’anno prima aveva un lavoro, fisso, probabilmente noioso, poi aveva deciso di prendersi una pausa, un anno sabbatico, e di fare per dodici mesi le cose che non aveva mai avuto il tempo di fare.

Che io, a quella età lì, in cui credevo che il tempo sarebbe finito oggi, che dovevo provare tutto in fretta, che dovevo bruciare ogni notte e ogni giorno e ogni notte, a quell’età lì pensavo che se avessi avuto dodici mesi a mia disposizione, senza dover pensare all’università, ai lavoretti da cameriera, alle cose da finire, sarei partita in viaggio per non fermarmi mai, lasciando tutto e tutti, guadagnandomi da vivere come potevo, per poter vedere tutto, per poter provare tutto.

Lei, invece, aveva deciso che quell’anno lì, di pausa, di tempo a disposizione, di cose mai fatte e da fare, l’avrebbe dedicato a tutti i libri che non aveva letto, ma che aveva sempre desiderato leggere, ai film che non aveva visto e a quelli da rivedere altre dieci, cento volte, agli spettacoli e ai festival in giro per l’Italia, agli amici che non vedeva da tempo, al compagno, al nuoto che trascurava, all’orto, al teatro, al teatro e al teatro.

E io pensavo che progetti piccoli per un tempo così grande!, che spreco di emozioni, di avventura, che tempo perso senza averci un cortomaltese in gola, senza correre, senza vedere occhi diversi e stringere mani diverse e finire in letti diversi, tanti letti diversi, per provare tutti i gusti, tutti i sapori, per ascoltare tutte le melodie del mondo.

E io pensavo che età ingrata quella che verrà, in cui non avrò più l’ansia di correre, più il bisogno di accumulare e mettere tacche sui miei pugnali e prendere aerei e treni e autobus e indossare lo zaino e parlare lingue straniere e fuggire.

Poi è successo che, non so come, sono passati questi anni e se ci penso non sono pochi e ho visto tanti porti e viaggiato su tante navi e avuto tante prime volte e poi erano seconde e terze volte e non erano sempre belle come la prima. È successo che da tanto tempo non ci vediamo più e chissà cosa fa adesso lei, se ha dei figli, se recita ancora, se ha comprato il casolare del vecchio argentino.

Poi è successo che abbiamo vissuto in una canzone di Guccini e i venti se ne sono appena andati, eh, e non sempre mi mancano, e adesso che potrei permettermi qualche viaggio in più, qualche vizio in più, adesso che sappiam quasi tutto e adesso che problemi non ne ho, se avessi il tempo, quel tempo libero, senza sensi di colpa per lavoro, mutuo, bollette, senza ansia per la carriera, le fatture, la competizione, le consegne, mi siederei sul divano di Valentina, a leggere con lei, guardare tutti i film, chiamare gli amici, cucinare per tutti, vedere i festival, passeggiare, visitare musei, studiare, prendere treni solo per guardare fuori dal finestrino, guidare per guardare negli occhi un amico e chiedergli come stai? senza scriverlo nella chat di skype, salire su un palcoscenico e recitare la parte di tante altre donne, possibilmente felici.

Cose che ho capito in viaggio e che farei bene a ricordare più spesso

Esistono persone che ti vogliono bene sempre, qualunque cosa ti succeda, qualunque scelta tu faccia, qualunque errore tu compia, in qualunque essere umano tu ti trasformi.

Esistono persone a cui vuoi bene sempre, nonostante i chilometri che vi separano, il tempo lunghissimo passato lontani, le vite che diventano sempre più diverse, i capelli bianchi che si nascondono tra le chiome nere.

Bisognerebbe prendere più aerei, guidare di più, raggiungersi, parlare di più, ma molto di più, stare abbracciati, raccontarsi quello che abbiamo dentro e che non possiamo dire a nessun altro, proprio a nessuno, bere di più, guardare più tramonti, mangiare più spesso insieme, scambiarci più spesso i libri, essere più spesso fratelli come lo eravamo anni fa.

Nessun posto è così lontano per nasconderti da te stesso.

Vedere luoghi meravigliosi, mangiare pesce sulla spiaggia, fare il bagno nelle lagune d’acqua dolce, bere caipiroska sulla sabbia, correre sulle dune con il Dune Buggy, ascoltare la musica, sempre, ridere, ricordare i tempi belli, camminare sotto al sole, fermarsi a parlare con gli animali come se ci potessero capire, guardare la luna piena, preparare il caffè e guardarsi in silenzio, perché non serve aggiungere altro. Queste cose fanno stare bene.

Il mondo è pieno di possibilità, di differenze, di colori e sapori mai visti e provati, di persone che hanno dentro altri mille mondi, di milioni di idee, di occasioni infinite.

Anche da adulto sei impotente di fronte alle disgrazie e quando capitano alle persone care ti senti come un ragazzino. Non puoi fare altro che dire “io ci sono sempre”.

Sbagliare ti obbliga a diventare migliore. Per poi sbagliare ancora. E diventare ancora meglio.

Quando diminuisce il dolore, quando passa la rabbia, quando passa il rancore, poi riesci a capire che verranno cose nuove. E che le cose vecchie sono andate e, giusto o sbagliato, non tornano. Che il passato non si cambia, nemmeno se ci ripensi in continuazione. Che a volte si ferisce senza volerlo, si soffre senza volerlo. Che chi ti ha fatto male, spesso sta male anche lui. Che ci saranno sempre le occasioni per perdonarsi. Che nessuno lo perdi per sempre. Che a volte un solo potente sorriso riesce a cancellare mesi di lacrime.

Nonostante la scorza che mantieni per proteggerti, in silenzio riesci ad augurare davvero a chi non c’è più di essere felice, anche senza di te.

Non abbiamo tutto il tempo, ma abbiamo ancora tanto tempo.

Essere felici è un lavoro faticoso a tempo pieno, che devi fare da solo e non puoi delegare a nessun altro.

Cose che scrivo qui così mia madre legge e non mi chiama

La prossima settimana parto per il Brasile. Rientro a metà agosto. Poi proverò a ripartire per Parigi. E a non rientrare più.

Non ho ancora trovato casa a Milano. Non so se voglio trasferirmi a Milano. Sarebbe più comodo che Milano si trasferisse da me. Io aspetto.

Forse ho capito cosa voglio fare da grande. L’ho capito appena ho scoperto di essere già grande. Le cose ti succedono. A volte sono quelle giuste. A volte sono quelle sbagliate e ci bevi su.

Non sono mai stata così al verde e non me n’è mai fregato così poco dei soldi. È un modo stupido e bellissimo di vivere.

Sono tornati i Macchianera Blog Awards. Se mi candidate ancora come blogger erotica, vi si seccherà lo scroto, vi cadrà e al suo posto vi crescerà un libro di poesie di Bondi.

Chez moi

Ci sono città in cui nasci, città in cui finisci senza averle scelte e quelle che scegli ma che non ti calzano mai bene, che sarebbe stato meglio non, che devo ripartire, che non dovrei essere qui, che è ora di fuggire via, lontano.

Ci sono città che ti scelgono, che ti rapiscono, che ti trattengono e non riesci a lasciare, città che porti dentro sempre, città che ti stanno alla perfezione come quel vecchio cappotto caldo, città che ritrovi ovunque, negli angoli più nascosti del mondo, città che hai sempre nella testa, nella borsa, tra le righe dei libri, tra le pieghe polverose dei ricordi.

E poi scendi dall’aereo, prendi il bus, arrivi in centro e inizi a camminare con il tuo passo sicuro, il passo di chi sa dove andare, di chi conosce l’inizio e la fine della strada, riconosce muri e semafori, colori e odori.

Sei esattamente dove dovresti essere, riprendi il tuo monologo interiore interrotto anni fa, ti confondi tra la folla che ti somiglia, non sei straniero, sei parte del tutto, sei un tassello del mosaico, sei un cittadino tra i concittadini.

Continui a camminare, senza chiedere informazioni, raggiungendo le tue mete, senza perderti, senza sorprenderti se non della bellezza dalla quale sei stato così tanto lontano.

Continui a camminare tranquillo, con le membra rilassate, con i pensieri liberi di allontanarsi e poi tornare, con lo sguardo distratto, il sorriso abbozzato, le mani in tasca e quella serenità così facile che hai solo quando sei, finalmente, a casa.

Frohe Weihnachten

La dottoressa e l‘architetto sono in partenza per trascorrere il santo Natale a Berlino.

Dal momento che gli inverni tedeschi sembrano essere più rigidi di quelli italiani, seguiremo il consiglio del più brillante amministratore delegato degli ultimi 150 anni e porteremo da casa coperte e panini per tutta la durata del viaggio.

Il rientro è previsto per il 28 dicembre, ma se dovessimo prolungare il nostro soggiorno non veniteci a cercare.

Buone feste a tutti!