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L’invasione dei cafoni da tastiera

Anni prima che l’impareggiabile Jep Gambardella ne facesse una religione planetaria, avevo già messo in pratica l’insegnamento secondo il quale la vita è troppo breve per fare quello che non ci va di fare. Anzi, ho sempre attuato la versione sociale di questa scelta di vita, evitando, nei limiti del possibile, di frequentare persone con cui non avevo voglia di stare.
Gli esseri umani che mi mettono a disagio, mi infastidiscono, hanno agghiaccianti punti di vista razzisti o omofobi, abitudini imbarazzanti, scarsa igiene personale, che si esprimono in maniera eccessivamente volgare, che non hanno nessun interesse culturale, che vogliono esserti amico solo per interesse, che ti parlano alle spalle, che mentono, che approfittano delle tue debolezze per ferirti, che ti fregerebbero alla prima occasione possibile, questi esseri umani li tengo lontani come il virus dell’ebola. E quando sono costretta a frequentarli per motivi professionali o per le buffe e schifose coincidenze della vita, non fingo entusiasmo, non lascio intendere che “volemose bene”. Resto severa e riservata e aspetto che la tortura finisca.
Ammetto di essermi lasciata abbindolare per troppo tempo dai social network. Il mio spazio sociale e interazionale è diventato così vasto che non non riesco nemmeno più a definirne i confini e ogni giorno chiacchiero, mi confronto, scambio opinioni e leggo affermazioni di centinaia e centinaia di persone. Molte delle quali sono sgradevoli come la cacca dei cani attaccata alla suola a carroarmato degli anfibi.
Da qualche tempo ho iniziato a chiedermi cosa mi spingesse a tollerare online atteggiamenti che a wifi spento mi farebbero schiumare dalla rabbia: maleducazione, aggressività, trivialità, una conoscenza della lingua approssimativa, saccenza, perbenismo, chiagnifottismo, prepotenza.
Perché non rendo il mio mondo più pulito, anche dietro lo schermo?
Se è vero che all’inizio della webcarriera si tendeva a un certo democristianesimo pur di ottenere ampio consenso, ormai le olimpiadi della presunta e posticcia popolarità virtuale sono finite e chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto.
Uno e mille contatti in più non ti renderanno più popolare in un mondo in cui sono tutti ON(line). Ma uno o mille contatti in meno ti renderanno più sereno e una persona migliore in un contesto in cui molti hanno dimenticato le basi della convivenza civile.

Sono troppo vecchia per discutere con persone brutte ed è il motivo per cui ho iniziato a escludere dai miei profili tutti quelli a cui non rivolgerei nemmeno un cenno di saluto, se li incontrassi per strada.
La mia vita è migliorata moltissimo, in barba a qualsiasi algoritmo che mi ripropone contenuti che “sticazzi?”.

L’educazione e la cultura sono valori che mi sono stati insegnati da piccola e in cui ho sempre creduto. E voglio continuare a farlo, nonostante tutti i cafoni da tastiera, ai quali auguro una felice vita lontani milioni di byteluce da me.

Non c’è più spazio per il silenzio

Non c’è più spazio per il silenzio, quello volontario, quello praticato per scelta, per necessità. Non c’è più spazio per non dire, ma solo per straparlare, per urlare, per ripetere cose sentite altrove, trite e ritrite.
Bisogna usare tutte le parole, tante, confuse, anche sbagliate; bisogna acclamare, declamare, ribattere, argomentare e poi insultare e poi biasimare.
Non c’è più un momento in cui spegnere la musica, il televisore, chiudere la finestra, staccare il telefono. Nessun attimo per quattro mura in cui percepire solo il leggero sibilo del tuo respiro.
Non si ha più diritto al silenzio, mai, nemmeno quando si è soli. Perché il silenzio fa riflettere, fa soppesare. Il silenzio fa elaborare e capire. E capire può farci male, può destabilizzare noi e gli altri, può metterci in pericolo. Perché capire può darci un potere che non siamo in grado di usare, perché può renderci qualcosa che non siamo pronti a essere: persone libere.

Ansia da partecipazione

Dopo aver  consegnato l’ultimo racconto e aver visto le vetrine col librozzo con la copertina a cuore e aver fatto la dedica a mia madre e mia cugina, mi ero ripromessa di mettermi a scrivere un po’ “per me”.

Al momento non lavoro e l’estate fa meno male, perché tutti stanno per andare in vacanza e l’ansia per le bollette si attenua e pensi anche tu che a settembre andrà tutto meglio, pulluleranno contratti, chiamate, strette di mano, gettoni presenza.

Ho pensato riprendo il blog, torno a scrivere sull’Unità.it, scrivo tutte le cose che non ho avuto il tempo di scrivere e commentare durante l’anno, tutte le cose che mi passavano in testa mentre leggevo i giornali, guardavo la tv, viaggiavo, parlavo, bevevo l’aperitivo.

E poi non l’ho fatto. Non ci sono riuscita.

Ogni mattina aprivo un post bianco di questo vecchio blog e provavo a mettere in riga le parole ammassate dentro. E niente. Non mi andava.

Proprio non avevo voglia.

Sono andata ad allenarmi tutti i giorni in palestra e a prendere il sole sul solarium (che è un tetto in centro a Milano, con lettini e docce, e fa un caldo pazzesco, però ti abbronzi che nemmeno a Formentera, perché è come infilarsi in un forno), a camminare, chilometri e chilometri, a fare la spesa, a leggere, a morire di serie tv e film, a guardare i saldi senza comprare quasi nulla, a prendere treni per andare a Padova a fotografare la casa da mettere in vendita.

Non sono riuscita a scrivere nulla. Non ne sentivo il bisogno. E se non senti il bisogno di comunicare allora – senti a me – è meglio che non scrivi.

I primi giorni di silenzio mi sono sentita in colpa. Hai notato che, ormai, se non hai letto i titoli dei quotidiani online in tempo, ti senti in colpa? Se buchi una news su twitter, sei fuori dal mondo? Se nasce il Royal Baby e tu eri in bagno e non hai aggiornato-retweettato-instagrammato-tumblerato in tempo, nessuno ti vorrà più bene?

Non ha più importanza la tua vera partecipazione emotiva, ha importanza la tua partecipazione sociale. Mastichiamo informazioni su informazioni e siamo coinvolti così intensamente per quella manciata di minuti da farci sentire davvero parte della storia. Fino a quando arriva la nuova Ansa e si ricomincia. Se non sei infilato fino al collo nella conversazione su qualsiasi argomento hic et nunc, pur non sapendone nulla, pur attingendo informazioni dalle fonti meno attendibili, pur condividendo i post sgrammaticati di tua zia su FB che ha un’amica che ha un cugino che ha un nipote che ha un amico che sa, sei una persona spregevole.

E non importa quanto tu sia realmente impegnato civicamente, quale sia il tuo grado di cultura o sensibilità, quanto tu sia ignorante o attento. Non partecipare a questa sbronza di informazioni ti fa sentire fuori dal mondo.

Ma dura solo un paio di giorni. Un paio di giorni in cui ti sforzi di non trasformare ogni notizia di cronaca in una polemica e ogni notizia politica in una battuta su twitter (non avrei mai creduto di arrivare a detestare l’abuso di senso dell’umorismo. Un Paese di battutisti mediocri è terrificante come un Paese di politici mediocri).

Dopo due giorni passa la crisi d’astinenza e non sei più schiavo del commento compulsivo.

Ho letto il giornale tutte le mattine e sfogliato riviste e guardato programmi d’approfondimento e mi sono fatta le mie idee e non ho ritenuto di condividerle con nessuno a suon di commenti sempre più aggressivi e di sempre più millantata competenza su qualsiasi argomento. Ho parlato con gli amici e usato sempre meno il mio iPhone. Mai più quando sono a tavola. Mai più mentre mi parli e mi guardi negli occhi. Mai più sempre acceso. Mai più controllato in continuazione (a parte – ça va sans dire – quando si ripristinano le vite in Candy Crush).

Ho fatto una detox da social media e ho capito che il 70% delle cose che avrei voluto dire non erano affatto necessarie.

Milano è bella in questi giorni, perché è deserta e silenziosa. Peccato che faccia così caldo che è impossibile uscire a godersela.

Devo consegnare un lavoro per fine agosto e non ho ancora scritto una riga.

Controllo le news sul Corriere e poi mi apro una birra e mi stendo sul divano e non twitto et voilà.

Promemoria

Mi hanno chiesto: come mai aggiorni così poco il blog?

Eh. Grazieperladomanda.

Perché ci sono twitter e facebook e il tempo da perdere e il libro da finire e consegnare speriamo in tempo. E poi ci sono i viaggi, il lavoro, e le rogne.

Chi come me non ha fatto del blog un lavoro non può fare a meno di trascurare il blog per il lavoro. O per la ricerca di lavoro.

Scrivo questo post come promemoria, per ricordarmi che vale sempre la pena scrivere per comunicare e non solo per mangiare.

Torno a fare tutto il resto.

Generazione 56k

L’estate dei blogger finisce con i giorni della Blogfest.

Fino all’ultimo giorno indecisa se andare o meno. A Riva del Garda farà freddo, come sempre, pioverà, poi ci saranno troppe persone, troppe poche persone, troppo alcol, troppo poco alcol, troppi amici, troppi pochi amici. Vado. Non Vado. Vado. Non vado.

Alla fine ci sono andata. C’era il sole e un sacco di pioggia. C’erano amici veri e persone che non avrei mai voluto rivedere. C’erano i vecchi blogger e i nuovi abitanti della rete.

Un tempo la Blogfest era la nostra festa, quel momento che ti faceva dire ecco la mia gente! o frasi così. Era una delle poche occasioni per vedersi, nel senso proprio di guardarsi in faccia, di associare la faccia a un nick, di chiacchierare senza uno schermo, di fare sesso dal vivo e non in cam con qualcuno conosciuto tra i commenti di splinder.

Il primo anno lo sponsor aveva spesato tutti quelli che qualcuno aveva definito blogstar. Gli altri, come me, erano esclusi da alcuni posti, eventi, ristoranti. Entravi solo se eri Blogstar. Tutti i blogger sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

Il primo anno è stata una festa fascista, probabilmente in buona fede, e io mi ero detta mai mai mai più.

Poi ci sono tornata sempre, tranne l’anno scorso che proprio no, no, no. Era diventata una festa bella, erano tutti uguali, si mangiava insieme, si discuteva, si scambiavano idee, si creavano connessioni, si cercava lavoro, si cercavano amicizie.

I blogger non ci sono più. Sono in via d’estinzione. Quest’anno c’erano tante facce nuove: facce da twitter, da facebook, da friendfeed.

C’eravamo noi in un angolo, i vecchi dinosauri, la generazione splinder, la generazione che bloggava con il 56k. Guardavamo i giovani e le agenzie venute a fare markette e gli sponsor che chiedevano twit in cambio di alcol, magliette, caffè, spille, borse, penne.

C’erano i barcamp, ma poca partecipazione dal basso. C’erano più momenti di socializzazione che momenti di condivisione di idee e progetti.

La Blogfest è una festa. Non si va per imparare, si va per chiacchierare, abbracciare, salutare, bere, mangiare, accoppiarsi, ballare.

La maggior parte degli amici che c’erano a Riva del Garda li vedo tutto l’anno. Però è bello incontrarci per ricordare solamente come ci siamo conosciuti. Ci siamo conosciuti ognuno sul proprio divano, alla propria scrivania, passeggiando per la rete.

All’improvviso, seduti a un tavolo, riparandoci dalla pioggia, ci siamo messi a rievocare i “vecchi tempi”.

Siamo diventati bambini grandi. Alcuni si sono sposati, altri hanno figliato, altri sono spariti, altri ancora hanno fatto fortuna, moltissimi invece no. Era un po’ come il finale di Sapore di mare, con noi seduti alla Capannina e, in sottofondo, le note di Celeste Nostalgia. Che quasi ci scappa la lacrima.

Sono stata bene. Il mio blog respira ancora, anche se a fatica. Se mi chiedono cosa fai nella vita? la prima cosa che rispondo è sempre la blogger.

I blog stanno sparendo, come i calzolai, come i Blockbuster, come gli impagliatori di sedie. Arriveranno cose nuove e bellissime e ci sarà tanta altra gente che si ama-odia-abbraccia-lavora insieme-disprezza-discute. Noi saremo in un angolo a dirci che siamo stati i primi. Poi inizierà come sempre a piovere e allora ordineremo un altro spritz, guardando il lago grigio e silenzioso.

Vinca il migliore

È arrivato settembre. Facciamocene una ragione.

Si torna a lavoro, iniziano le scuole, l’abbronzatura scompare, i flirt estivi si consumano come flaconi di doposole.

Nell’attesa dell’imminente caduta delle foglie e del nostro umore, tornano i Macchianera Blog Awards, gli oscar dedicati a quel misterioso e ambiguo fenomeno che sono i blog in Italia.

Quest’anno, Malafemmena è candidato come Miglior Blog del 2011 e la sottoscritta come miglior Twitter (sono anche in nomination come blog erotico, ma vabbe’).

Il solo fatto di trovarmi in lizza per un riconoscimento tanto prestigioso mi rende felice, come blogger, come twitter, come donna e come supereroe. Se avete voglia di farmi entrare nell’Olimpo della meglio gente del uèb, potete votare il mio blog e il mio twitter qui, fino al 28 settembre.

Grazie a tutti.

Cose che non sapevo e che ho imparato alla Blogfest

Molti dei blogger che un tempo leggevo svogliatamente sono diventati cari amici.
E devo sforzarmi di leggerli con più attenzione altrimenti si offendono.

Gli eventi che organizzi per hobby ti massacrano di più degli eventi che organizzi per lavoro.

Reggo più gli spritz che i mojito.

La prossimità di un lago favorisce gli accoppiamenti promiscui tra i blogger.

Il mio blog è un blog erotico.  Anzi, è il miglior blog erotico del 2010 secondo i Macchianera Blog Awards.
Se non vi eccitate leggendolo, avete dei problemi.

Secondo i TweetAwards sono la tweeter più sexy.
In 140 caratteri si nota di più il mio culone che il cervello.

Parmenidania

Io non voglio fare più niente.
Voglio solo essere.

TwitDania

Sto trascurando il blog, è vero.
Qualche pausa fisiologica, a poche settimane dal settimo anniversario di Malafemmena, è lecita.
Inoltre sto provando a cambiare nuovamente vita, dal momento che le certezze mi spaventano più dei dubbi.

Prometto a breve di riuscire a essere più presente. Nel frattempo, mi trovate un po’ ovunque nella rete.

Pillole

#1
Annamaria Franzoni: -Fatemi vedere i miei figli fuori dal carcere!-
Magari a casa, mentre indosso ciabatte e pigiama…

#2
Carla Bruni in visita dal Dalai Lama.
Pechino s’infuria: –Siamo noi a torturare i tibetani?? Se Carlà dovesse cantare, sarebbe una vera strage!

#3
Berlusconi compra casa in Grecia: una villa “senza pretese” sull’isola di Symi.
Non sarà Hammamet, ma mi sembra un buon inizio.

Da TwitterDania di oggi.
Lo so, sto riciclando me stessa.
Ma fa caldo, le ferie sono finite, il lavoro non mi dà soddisfazioni, il microblogging è facile, voi siete esigenti, non ci sono più le mezze stagioni, ecc. ecc.