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Il futuro è un posto meraviglioso

Sono in vacanza.

Non ferie, vacanza, perché noi liberi professionisti ci ritagliamo il riposo quando abbiamo poco o niente da fatturare.

Ho passato nove mesi a lavorare ininterrottamente, anche nei fine settimana, ed è una cosa bella, anche se faticosa, perché oltre a bollette e mutuoaffitto pagato, ho anche avuto l’illusione che la crisi stesse per sparire. D’estate mi sono chiusa in casa a scrivere. Tutto agosto a Milano, da sola, rintanata nel mio appartamento silenzioso insieme al gatto. Ho scritto un romanzo, un racconto e tre proposte per nuovi libri. Ho fatto pace con le parole e adesso mi sembra di averne tantissime da usare e troppe storie da raccontare. Consegnato il libro nuovo, chiuse un paio di collaborazioni, sono in vacanza.

Parto in viaggio, a visitare posti belli, prendere appunti, buttare giù soggetti, abbozzare capitoli, salutare gli amici.
Da grande mi piacerebbe fare questo: viaggiare, scrivere, leggere, fotografare, mangiare, chiacchierare.
Piacerebbe a tutti, certo, ma io ci credo davvero che possa diventare un lavoro. Forse non l’unico, ma – diciamo – il principale. Dopo aver fatto tanto, atteso, sperato, rischiato, perso spesso e raramente vinto, dopo aver faticato, elemosinato il mio dovuto e tenuto la testa bassa per portare a casa la pagnotta, credo che sia giunto il momento di sognare a occhi aperti e voce alta e di puntare il più in alto possibile.
E se non dovessi farcela, posso sempre rimettermi a fare quello che faccio da una vita intera: la simpatica precaria che, nonostante tutto, crede ancora che il futuro sia un posto meraviglioso.

Ci vediamo presto.

Ce. La. Puoi. Fare.

Per la mia laurea, nel lontano 2002, avevo chiesto in regalo una Reflex. Una Canon EOS analogica, ché il futuribile era di là da venire, con un bell’obiettivo. Una discreta macchinetta, perché dopo anni di viaggi strampalati e di scatti rubacchiati con piccole compatte e metri e metri e metri di pellicola, avevo deciso che da grande avrei potuto fare la fotografa. Che ne sai? Tutti mi dicevano hai occhio, dovresti lavorarci su, poi te ne vai nei paesi arabi con la tua laurea che come ti è venuto in mente di prenderla e ci fai dei bei reportage.

La maneggiavo come se fosse di cristallo.

Un paio di settimane dopo me ne sono andata a Napoli. Ho fatto una sosta di pochi giorni a Roma. E mi sono fatta fregare la macchina. Subito. Un borseggio. Oh, succede. A Roma ti fottono anche se sei napoletano. Ma a me non avevano mai rubato nulla. Allora i sensi di colpa che hai quando ti succede qualcosa di brutto, potevo evitare? è stata colpa mia? potevo essere più scaltra? se avessi fatto? se avessi cambiato strada?

Ho letto questa cosa come un segno. Demotivante. Io sono la regina del pessimismo. Quando mi porgono un bicchiere, io non penso nemmeno se è mezzo vuoto o mezzo pieno, tanto sono sicura che contiene acqua non potabile. Mi farà male al pancino.

Mesi dopo, al mio compleanno, gli amici avevano fatto una colletta per ricomprarmi la reflex. Ma io avevo già abbandonato l’idea di fare la fotografa. Sono fatta così. Mi scoraggio. E lascio perdere.

Sono sempre stata brava, anche molto, molto brava, in tante cose, lo studio, il teatro, il coro, le lingue, la cucina, la matematica, il ragù, ma non credo di essere mai stata eccellente in niente. Se nasci con una voce incredibile, una bellezza incantevole, una presenza scenica sublime, un portentoso orecchio musicale, un quoziente intellettivo da genio, una mano da pittore, i piedi da atleta, lo capisci subito il tuo destino.
E anche se non sei il numero uno, prima o poi arriva il momento in cui scegli cosa fare. E ti impegni. E ci provi.
Non succede a tutti. Anzi, molte persone si lasciano vivere, ragionano per obiettivi minimi: lavoro, casa, famiglia, macchina, vacanza e vivono vite degnissime e soddisfatte, senza l’ansia di un progetto maggiore. Però quasi tutti coltivano sogni, che abbandonano per incapacità, pigrizia, maturità.

Io ho abbandonato molti sogni per paura, altri perché la realtà mi ha presa a schiaffi, altri perché mi stavano stretti e altri ancora me li sono proprio dimenticati.
Certe volte, in passato, mi sono circondata di persone entusiaste e brave. Forse erano i vent’anni. Forse mi avevano conosciuta con un’altra luce negli occhi, non lo so, ma quelle persone lì, alcune, mica tutte, anche se per brevi momenti, avevano creduto in me. E allora io mi ero sentita speciale. E quelle volte avevo pensato davvero che sarei diventata una grande attrice o una grande antropologa o una grande scrittrice o una grande donna.

Poi, certo, c’è stata la vita, i lutti, i debiti, la precarietà, le scelte sbagliate, i problemi in famiglia, le malattie, i traslochi, gli amori finiti. A un certo punto la ricerca di un sogno sembrava una perdita di tempo. Lavorare, guadagnare, sopravvivere. Ho cambiato così tante vite e case e città, che a un certo punto mi sono ritrovata così diversa che non mi riconoscevo nemmeno più.
E quando è diventato tutto un po’ più difficile, superati i 30, con contratti in scadenza, fatture non pagate e mutuaffitto, anche le persone intorno a me sono cambiate.
Così, negli ultimi anni, quando le cose andavano male, in moltissimi mi dicevano che dovevo accontentarmi. Accontentati, riduci le aspettative, lima i sogni. Mi spiegavano dove sbagliavo, così convinti di avercela fatta loro, solo perché, magari, erano riusciti a coprire la loro mediocrità con un accumulo di flebile ricchezza. Quando cresci, i sogni perdono valore se non ti rendono danaroso.

Allora l’Italia andava male, però per le persone negative intorno a me ero io, io, con la mia incapace indolenza, con la mia pigrizia, con la mia chissàcosa, chiticredevidiessere, a non funzionare. Quindi taglia, riduci, togli.

L’insicurezza è un virus letale. Se non lo curi subito, con una bella dose di faccia tosta, diventa cronico. E l’insicurezza ti fa circondare di brutte persone. Che sono tipo vampiri, che ti succhiano energie e forza, ma meno fichi dei vampiri, hanno la pancetta, la cellulite o la forfora. In sintesi, mi sono circondata di stronzi.

Mi hanno fatta sentire di nuovo borseggiata. Hai solo puntato troppo in alto. Solo quello.

E così ho rallentato. Rallentato. Rallentato. Poi mi sono fermata. Scrivere, viaggiare, stringere mani, fare colloqui, inviare progetti, fare brainstorming. Tutto fermo. Solo piccole cose, senza alzare gli occhi, come dicevano loro, riduci, ridimensiona, ti insegniamo noi come si fa. Un’ombra.

Epperò mi ha salvato l’imprevisto. Quello lì, l’uomo che non aspettavi ed entra nella tua vita e ti dice che tu sei di un altro pianeta e chi ti ha detto che non puoi volare ti ha mentito. Quell’uomo che ti insegna la filosofia di Stallone e ti dice ogni volta che cadi devi rialzarti, alzati, combatti anche per 14-15 round, perché non importa se stai prendendo a pugni un campione, tu ce la puoi fare. Anche se perdi, ce la fai. Lui, che quando tu gli dici non sono capace, non l’ho mai fatto, non ci riesco, lui non ti abbraccia e compatisce, ma ti dice fallo e basta, muoviti, sei invincibile.
Funziona. Non da un giorno all’altro. Ma funziona.
Ricostruire l’autostima, allontanare la negatività, riprendere i sogni che non è troppo tardi, ritrovare l’energia.
La procrastinazione, mi fotte, su quello devo lavorare, ma funziona.
A volte i sogni si realizzano solo se c’è qualcuno che ha davvero fiducia in te. Un po’ come Babbo Natale, che se ci credi, esiste. Un po’ come il Punto G.

Sia chiaro, non ho realizzato ancora nulla, però ho capito una cosa importante. Bisogna puntare in alto. Anche bluffando. In alto.

Ce. La. Puoi. Fare.

E vaffanculo le brutte persone!

La prossima avventura

Piove e io non ho fatto progetti. L’anno rotola verso la fine e mi sembra di non aver ancora iniziato a camminare.

Quando mi chiedono “ma tu cosa vorresti fare?”, non dico più viaggiare, scrivere, recitare, leggere, ascoltare musica, cucinare, io dico “vorrei essere felice”.

Sono stati tempi strani per me, veloci, nuovi, confusi, emozionanti e disperati. Non mi sono arricchita. Anzi. Vivo di prestiti e attese, sperando che un giorno la vita mi bonifichi il dovuto e mi faccia sentire serena, senza acqua alla gola.
Non sono nemmeno soddisfatta e forse questa è la chiave per crescere, per dare sempre di più, per diventare migliori.

Per molto tempo ho dato retta alle persone sbagliate, quelle che pensano di conoscerti senza sforzarsi di farlo davvero, e ho perso tutte le mie motivazioni. Ho iniziato a fare le cose che la gente si aspettava da me, perdendo la passione e diventando una ragioniera dei sentimenti.

Qualche settimana fa è successo qualcosa. Mi sono accorta che non ho più paura delle lancette dell’orologio, ho capito che amo davvero il silenzio che mi circonda e che la solitudine non è privazione, ma è crescita, benzina per le emozioni più profonde, rispetto per te stesso.

Allora ho preso le decisioni che avrei dovuto prendere tempo fa, ho scritto le email alle persone giuste, ho richiamato quelli che pensavo di dover tenere distanti e ho allontanato quelli che mi hanno resa infelice.

Stamattina non ho acceso la musica, ho comprato un nuovo ebook, archiviandolo insieme a tutti quelli in cui spero di tuffarmi presto, ho scritto il buongiorno alle persone che mi amano, ho fatto partire la lavatrice, ho bevuto molto caffè, guardando gli ombrelli che camminavano sotto la mia finestra, e mi sono messa a immaginare la prossima avventura.

Il futuro è già iniziato da un pezzo

Ieri sera camminavo nella nebbia, rientrando da una cena con amici. Camminavo nella nebbia gelida, con i capelli gonfi di umidità e le dita ghiacciate, ascoltando la musica e pensando alle cose.

Pensavo che per me il presente è sempre stato una sala d’aspetto del futuro. Tutto sarebbe successo poi: la serenità, la felicità, i progetti, i traguardi, i successi, i soldi, la vita.

Mentre ero ferma al semaforo pensavo che ho sempre vissuto ora come se il domani sarebbe stato meglio, pensando che un giorno tutto sarebbe stato perfetto, senza sbavature, senza fastidio, senza dolore, senza intoppi.

A vivere pensando al futuro, spesso non ti accorgi del presente. Lo senti, ti attraversa, ti invischia, ma non lo vivi davvero.

E se quello che aspettavo, per cui ho patito tanto, per cui ho atteso, per cui ho lottato, per cui ho perso e per cui ho vinto, fosse già qui?

Se questo fosse tutto? Se fosse arrivata l’ora di raccogliere e smettere di seminare?

Pensavo a queste cose, mentre camminavo nella nebbia, ieri sera, con le dita ghiacciate e i capelli gonfi.

E pensavo a quando mi hai detto che avremmo passato tutto il futuro insieme, fino a diventare vecchi.

Ecco, non so come dirtelo… il futuro, il nostro futuro è già iniziato da un pezzo.

 

Domani mattina

Quello che ci frega è che abbiamo tutti e due un passato.

Abbiamo vissuto tanto e visto e viaggiato e provato e assaggiato. Abbiamo pianto tutte le lacrime del mondo e goduto e ferito e siamo fuggiti e siamo tornati. Abbiamo seppellito i nostri padri sbagliati, distratti, crudeli e lontani. Abbiamo pianto amici che non ci sono più. Abbiamo detto mille volte ti amo e mille volte è finita. Abbiamo lavorato e fatto cose che ci hanno resi migliori e cose che ci hanno resi brutti e cinici e meschini e piccoli. Abbiamo detto basta e abbiamo detto ancora.

Sono adulta da una vita. Lo sono diventata troppo presto. Succede. E non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto perdermi la spensieratezza e il disimpegno e i capricci e i sogni leggeri e stupidi.

Sono adulta da una vita e ho già imparato tanto e sono caduta tante volte e mi sono rialzata quasi sempre e qualche volta sono rimasta a terra ad aspettare, ad ascoltare le voci distratte intorno a me che si allontanavano, a darmi la spinta per riportare le spalle in alto.

Sono la somma di tutte le cose che ho vissuto, di tutte le cose che ho imparato, di tutte quelle che ho dimenticato. Sono l’insieme del bello che ho incontrato, dei sorrisi, delle carezze rubate, dei baci, delle urla disperate, dei silenzi, degli occhi lucidi, degli schiaffi, del dolore.

Quello che ci frega è che abbiamo tutti e due un passato e fantasmi e scheletri e zaini pesanti sulle spalle e parole lasciate in sospeso e bisogni inconfessabili e paure e desideri.

Quello che ci frega è che il passato non possiamo cambiarlo. Non ce la possiamo fare.

Possiamo cambiare il futuro.

Magari ci proviamo domani mattina.

Un po’ di fottuta fiducia

Fuori fa freddo, però sul divano ho bevuto una birra ghiacciata, guardando un po’ il soffitto, un po’ la TV, un po’ i palazzi gelidi di Milano al buio.

Mi sono sentita leggera, perché è arrivato il momento, quel momento in cui non mi mancano più, il momento in cui non aspetto ritorni, il momento in cui cerco, in cui non mi guardo più alle spalle, non ritorno sui miei passi a pensare dove potrei aver perso il cuore.

Non è vero che chi va via si porta tutto, chi va via lascia sempre qualcosa. Anche il vuoto è qualcosa. Qualcosa da riempire.

Poi arriva il momento che non ci pensi più e ti senti così serena e fai solo quello che ti va di fare e non vuoi altro che stare bene, da sola, in compagnia di qualcuno di passaggio che ti scaldi un po’ i piedi una serata, degli amici che ti conoscono meglio di te, che sanno capire quando è il momento di presentarsi a casa con del buon vino e con tutto il futuro.

Mi piace stare al caldo a bere birra ghiacciata, mentre fuori Milano gela e inghiotte tutto, tutto il passato, tutte le attese deluse, tutti i sospiri che non tornano più, tutte le coincidenze che ci siamo evitati, tutti gli incontri infelici, tutti i sorrisi abbozzati, quelli sinceri, quelli feriti, tutta la fretta, tutta la distanza che ci ha separati, fino e renderci estranei e nuovi.

Mi piace stare al caldo a bere birra ghiacciata e ci sono tante cose da fare, ma io resto qui a pettinare la noia, carezzando il gatto, canticchiando canzoni imbarazzanti, fantasticando su domani, riempiendo il vuoto di scatole nuove con dentro i nuovi incontri, i nuovi progetti, l’incoscienza e un po’ di fottuta fiducia.

A te che ami il silenzio

Pensa se avessimo tenuto da parte un pezzo di ogni sorriso, di ogni abbraccio, di ogni risata. Se avessimo conservato frammenti di ogni giornata bella, di ogni parola allegra, di ogni idea. Pensa se fossimo state più parsimoniose e avide di vita oppure più felici, molto più felici, meno sagge, meno mature, più incoscienti, più incoerenti, meno razionali, meno lucide, più passionali, più emotive.

Forse, la vita che all’improvviso toglie ci sembrerebbe meno puttana.

E poi non so che altro dirti. Lo so che ami il silenzio. Lo sai che sono piccola, che siamo piccole, che alla fine sopravviviamo a tutto, che abbiamo qualche ruga in più, che abbiamo ancora infiniti abbracci, che abbiamo una cosa che vale tutta la fatica e tutti i dolori, il futuro.

Il tutto migliore

Ho ripensato a tutto.

A tutti i particolari, a tutti i momenti, a tutte le cose dette e non dette.

Ho immaginato inizi diversi, reazioni giuste, parole perfette, silenzi allegri, decisioni corrette, ritorni improvvisi, colpi di scena. Ho anche già immaginato un futuro ideale, un finale felice, con tutti noi al posto giusto, con la musica giusta, i tempi giusti, gli spazi giusti.

Ho ripensato a tutto, l’ho trasformato, l’ho reso migliore.

Nel tutto che ho ripensato e immaginato ogni cosa ha una soluzione.

Mi fa bene pensarlo così, il tutto che non è stato e non sarà.

Però, finché funzioni e mi consoli il pensiero quando torneranno i tempi bui, dovremmo lasciarlo lì, non toccarlo più, non parlarne più, non vederci, non cercarci, non sentirci, non piangere, non scriverci, non leggerci, non pensarci.

Facciamo che ci inventiamo questo tutto perfetto e lo pensiamo così e lo conserviamo dentro e poi continuiamo a vivere, distanti. Facciamo che, per una volta, invece di essere razionali, siamo matti e ci teniamo dentro la versione migliore di quello che sarebbe potuto essere. Facciamo che l’immaginazione ci aiuta a non perderci anche se non ci rivedremo mai, mai, mai più. Facciamo che la testa aggiusta quello che il cuore distrugge. Facciamo che non ci frega più niente del vero e del falso, ma solo dello stare bene.

La verità, quella vera, la sapremo solo noi, ma non la diremo a nessuno, nemmeno a noi stessi e poi ce ne dimenticheremo e alla fine sarà solo un ricordo confuso e non farà più male, come quei sogni violenti che sembra ci rimangano attaccati per sempre e poi, quando apriamo gli occhi, sono già spariti insieme alla notte.