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Vieni a fare merenda da me

Ai tempi del liceo Chiara, la mia compagna di banco, passava spesso i pomeriggi da me per fare i compiti. Erano ore divertentissime, perché piene di chiacchiere su maschi (che non si sarebbero mai fidanzati con noi), pettegolezzi su VIP (che non avremmo incontrato mai di persona) e progetti su viaggi e avventure (che forse non avremmo mai fatto).
Il venerdì era il giorno della settimana che aspettavamo con più trepidazione, e non perché l’indomani ci fossero soltanto quattro ore di lezione, ma perché il giovedì sera, su Italia1 andavano in onda le puntate di Beverly Hills 90210.
Per noi ragazzini degli anni ’90, Beverly Hills era LA SERIE TV (quasi quanto Non è la Rai era LA TRASMISSIONE) e poteva resistere come argomento di conversazione nell’intervallo per giorni e giorni.
A casa di Chiara il giovedì sera la televisione era sintonizzata su un altro canale, quindi io registravo le due puntate su un VHS* per lei e le riguardavamo insieme prima di metterci a lavoro. Magari la mattina a scuola le avevano già raccontato la trama, perché ai quei tempi lì lo spoiler non era ancora reato, ma lei era felice lo stesso di controllare in prima persona se Dylan** sarebbe tornato con Brenda e avrebbe lasciato Kelly o viceversa.
Ce ne restavamo due ore sul divano a guardare gli episodi e a mangiucchiare dolci o snack e poi facevamo i salti mortali per finire i compiti in fretta, prima del tramonto, l’ora in cui lei aveva il coprifuoco.

Quelle merende sono uno dei più bei ricordi che ho del liceo, di quegli anni inquieti e faticosi che chiamano adolescenza, ed è forse per questo motivo che ancora oggi, quando posso, cerco di trovare un momento durante il pomeriggio per rilassarmi mangiando dolci e guardando serie TV (avreste mai immaginato di vivere in un futuro in cui esiste Netflix?), magari insieme a un amico o al mio compagno.

Un’idea per uno spuntino delizioso? Il budino con le lingue di gatto!

Per prepararlo occorrono:

• 2 Budini cacao con panna Bayernland
• 100 Grammi di burro a temperatura ambiente
• 100 Grammi di farina
• 100 Grammi di zucchero a vela vanigliato
• 3 Albumi d’uova grandi
• Zuccherini colorati per guarnire

Budino Bayernland

Tenete i due budini in frigo mentre preparate le lingue di gatto.
Con le fruste amalgamate il burro e lo zucchero fino a ottenere un impasto cremoso, aggiungete un po’ alla volta gli albumi, continuando a frustare, e infine la farina setacciata. La crema ottenuta va lasciata riposare un quarto d’ora in frigo. Una volta raffreddato, infilate l’impasto in un sac à poche con un beccuccio tondo e create delle strisce di crema (larghe almeno 1,5 centimetri e lunghe 6) su una leccarda rivestita di carta da forno, facendo attenzione a distanziarle bene una dall’altra. Durante la cottura, la crema tende ad allargarsi e a prendere la classica forma “a lingua”. Infornate, in un forno preriscaldato a 180°, e i biscotti saranno pronti in circa 8 minuti. Tirateli fuori, staccateli dalla carta e lasciateli raffreddare su un piatto. Una volta freddi e croccanti, inseritene uno o due nel budino, decorando la panna in superficie con gli zuccherini.
Golosi, vero?

Budino goloso

Buona merenda!

*Lo so, sono un dinosauro
**Io sono sempre stata del team Brandon Walsh.

Post in collaborazione con Bayernland.

A Natale voglio fare cose belle

Prima era la riunione di famiglia. Tutti i fratelli di mamma che tornavano a Napoli, i divaniletto sempre aperti, le brandine in salotto, i cugini in pigiama tutto il giorno, l’odore delle arance e dei mandarini, i carciofi fritti nascosti per evitare che fossero spazzolati via prima di pranzo e poi dimenticati in una credenza e tirati fuori solo la sera. C’erano gli struffoli, che ognuna diceva di fare meglio dell’altra, la cassata siciliana gigante che mandava l’amico di zio Guido, c’erano gli zampognari, i lavoretti fatti col DAS a scuola, l’insalata di rinforzo, le telefonate interurbane da pochissimi minuti per fare gli auguri a chi non era potuto venire. C’era la messa di mezzanotte, tutti pigiati a sbadigliare sulle panche, nel freddo della chiesetta di via Fonseca; c’era la carta da regali, i vestiti nuovi che potevi indossare per la prima volta, la tombola con i ceci che segnavano le caselle, il mercante in fiera, noci, nocelle e castagne infornate, Il piccolo Lord, le poesie in piedi sopra la sedia, nonno che ci convocava uno alla volta e ci regala qualche diecimila lire.

Poi è arrivata, violenta e ribelle, l’epoca dei viaggi, dei vent’anni, delle mete lontane, dei sapori esotici, degli amici, del mangiare meno e bere di più, dei pochissimi regali, quasi sempre libri che avresti amato tutta la vita. Il momento in cui non c’è più magia perché non c’è religione e quindi va bene essere ovunque, purché non qui, purché insieme, noi che saremo compagni di avventure per sempre e poi invece ti persi di vista, per un malinteso, per un bacio di troppo o per uno mai dato.

Cambi città, amici, fidanzati, mariti, lavoro, stipendio, gusti, dieta, taglia.
Per tanti anni non fai l’albero, non addobbi, accetti inviti a casa di sconosciuti, perché “da sola pare brutto”, stai bene, non ti interessa, non sopporti l’odore di fritto, vuoi dormire, perché lavori sempre troppo, eviti i cinema affollatissimi il 25 pomeriggio, scambi regalini con le colleghe solo perché se l’aspettano.

All’improvviso ritorna.
La voglia di Natale.

Sarà per colpa dei nipotini, degli anni che ti fanno venire nostalgia di casa, dei tuoi parenti che invecchiano e vorresti vedere di più, degli amici che come te sono stanchi di aperitivi, del desiderio che non avevi mai avuto, e che adesso non riesci ad allontanare, di cucinare biscotti.

Questo Natale voglio fare cose belle.

Voglio confezionare io i pacchetti regalo e non farlo fare alle addette nei negozi.
Voglio comprare la migliore cioccolata da offrire a chiunque passi per casa.
Voglio ascoltare gli aneddoti di mia madre, per la milionesima volta, e ridere ancora insieme a lei.
Voglio mandare gli auguri con i biglietti cartacei, con i francobolli.
Voglio telefonare e non scrivere su WhatsApp.
Voglio preparare i dolci per il pranzo e per tutti i pasti a seguire.
Voglio cucinare le lasagne con mia sorella.
Voglio vestirmi di rosso.
Voglio sorridere e ridere moltissimo.
Voglio fare tante foto con amici e parenti senza postarle sui Social Network.
Voglio iniziare a pranzare senza fotografare il piatto.
Voglio mangiare tutto senza dire mai che sono grassa.
Voglio addormentarmi sul divano dopo i pasti e dormire senza mettere la sveglia.
Voglio aprire le bottiglie di vino migliori e berle con gli amici.
Voglio ascoltare le canzoncine sceme di Natale.
Voglio passare il giorno di Santo Stefano insieme a lui, per una maratona di Twin Peaks.
Voglio rivedere Una poltrona per due.
Voglio mandare dei baci a mio nipote in Brasile via webcam.
Voglio essere felice.

Update your legs

Tra le tante cose fatte in questa estate che sembrava autunno, c’è anche un racconto breve che trovate nella raccolta Update your legs.

Update your legs

È solo in ebook, è gratis e potete scaricarlo anche in inglese (metti che ti viene voglia di leggere cose esotiche). Qui trovate qualche informazione in più anche sulle altre amiche che hanno partecipato al progetto.

Un racconto che parla di donne, di amore e tradimenti, che mi ha dato l’occasione per riguardare un po’ di Truffaut ed entrare nel cervello dei maschi (il protagonista – ebbene sì – è un uomo).

Tra le cose che accadranno in questo autunno che sembra estate, invece, le mie prossime vacanze in Brasile e l’uscita del mio nuovo romanzo il 20 novembre.

Buona lettura.

Quello che succede

Succede che ho accumulato lavori e non riesco a sbrigarli, perché sono stanca, non sono in forma. Mi faccio un caffè e mi affaccio alla finestra e guardo le terrazze piene di primavera e le macchine in seconda fila e la gente che indossa i colori pastello e mi sento quasi meglio.

Succede che ho mille progetti in testa e ho la testa che gira. Forse è il cambio di stagione, forse sono i pensieri che emigrano, l’insonnia, l’alcol che domani – giuro! – smetto, le cose da scrivere, l’ispirazione che non arriva, i soldi che finiscono.

Dovrei uscire più spesso, esco quasi solo la sera o per andare in palestra o per fare la spesa o per vedere qualche amico. Lavoro da casa e la casa è una tana e non c’è spazio per le fughe, c’è solo spazio per nascondersi.

L’altro giorno mi hanno chiesto: “hai poi trovato l’amore?”.

C’è un sacco di sole oggi e la mia testa gira. Mi doccio, mi vesto, mi trucco ed esco.

Questo è quello che succede.

Milano è piccola

Non mi piace Milano quando è troppo piccola per non potersi evitare, quando costringe all’imbarazzo di non saper sostenere lo sguardo, quando rovina le serate perché poi arrivi tu e io vado via, quando prima di andare chiedo chi ci sarà, quando temo che le strade e le piazze siano trappole, quando non c’è abbastanza aria, quando corre e non perdona le pause, quando obbliga gli altri a scegliere te o me o nessuno, quando è omertosa, quando piove, quando non si vede il colore del cielo.

Mi piace Milano quando è abbastanza piccola per ritrovarci, quando le coincidenze sono belle sorprese, quando sono passati tanti anni e tu mi sembri uguale ad allora, quando mi sorridi, quando ricordiamo, quando le osterie hanno posto solo al bancone e mi siedo sullo sgabello e ti racconto la mia giornata, quando il sabato si svuota e sembra dormire, quando ti cercano gli amici, quando andiamo nel nostro posto, quando le idee piacciono, quando il pomeriggio non si lavora, quando so che posso farcela, quando mi sembra casa.

Milano sa farsi camminare

Sono andata a cena con un amico che vedo una volta all’anno. Non ci sentiamo spesso, però frequentiamo gli stessi bar virtuali e beviamo le stesse parole e sappiamo sempre dove trovarci, quando abbiamo voglia di fare due chiacchiere.

Sono andata a cena con un amico che vedo una volta all’anno e gli ho raccontato cose che non racconto a nessuno, cose belle, cose brutte, le sofferenze per cui non ci sono mai parole, le cose piccole e meravigliose di cui non mi ero resa conto, mentre mi succedevano, le malattie che non sai nemmeno come fare a conviverci, i progetti che non avevi nemmeno studiato perfettamente e che, raccontati a chi vuole ascoltare, sembrano così precisi.

Abbiamo parlato e bevuto e mangiato e camminato, perché a tutti e due piace camminare moltissimo, senza una meta, e faceva freddo freddo e Milano sembrava quasi bella come se non fosse Milano e mi sono accorta che confidarsi con qualcuno che non passa tutti i giorni con te è come guardarsi da fuori, mi sono accorta che il tempo sta passando e le cose succedono e io non me ne accorgo perché sono troppo occupata a limare il mio monologo interiore.

Abbiamo mangiato la pizza poi lui ha detto che se prendevo il dolce io l’avrebbe preso anche lui e io non l’ho preso, figuriamoci!, io che soffro per aver preso un chilo in questi aperitivi selvaggi della nuova città. Abbiamo bevuto il caffè e non era buono, ma c’erano tante chiacchiere e non fa niente e in fondo dovevamo raccontarci un anno, un anno incredibile per me, per lui, per chi ci ha voluto bene e per chi non ce ne vuole più.

Poi abbiamo camminato verso casa mia e lui si è messo in macchina e io sono rientrata al mio quinto piano e ho guardato la mia nuova parete rosa e ho pensato che il tempo che passa lenisce anche i dolori più grandi, che se hai deciso come raccontare la tua vita sei già pronto per viverne ancora, che ci sono persone belle belle che non ti faranno mai male, che non dimenticherò mai quanto ho sofferto per alcuni, perché io non so dimenticare, non ho mai imparato a farlo, ma che posso sopravvivere anche col cuore pieno di cerotti, che Milano è una città che sa farsi camminare, che anche solo una volta all’anno è bello passare del tempo senza dover dimostrare niente, provando solo a stare bene.

La Panda scassata

L’altra sera, quando è arrivato il freddo, Elena mi ha scritto oh, dai, vieni a bere uno spritz, ché c’è un’amica che era con me in Erasmus e forse te la ricordi, dai, vieni.

E io figurati se mi ricordo le amiche sue che erano in Erasmus con lei, che ci sono stata una settimana a trovarla, a Lisbona, ed era il 2004 e non ricordo nemmeno quelli che erano in Erasmus con me, cioè, alcuni li ricordo, ma mica tutti, e comunque vado.

L’altra sera, quando è arrivato il freddo, ci siamo sedute in piazza, perché a Padova, nel Veneto, si sta in piazza, anche se fa freddo, le osterie sono piccole, non sono i bar o i locali di Milano, sono posti stretti e pieni di vino e la gente prende il bicchiere e sta in piedi o si siede ai tavolini, ed è arrivato il freddo, ma in piazza c’erano ancora i tavolini e noi ci siamo sedute a bere, io lo spritz e loro il prosecco.

Allora, l’amica di Elena che era in Erasmus con lei, che non ricordavo, come non ricordo tante persone, a volte anche quelle a cui ho voluto bene e che forse rivedrei volentieri, l’amica di Elena inizia a raccontare cos’è successo a quello e cos’è successo all’altro.

E poi parlano di questo svedese, con un nome tipo Oiken, Oirken, Orkien, che avevo anche memorizzato e poi ho dimenticato, ché il cervello registra e dimentica, è la miserabile vita e non possiamo farci nulla.

Oiken era una montagna bionda, proprio svedese svedese, e lui a Lisbona era come un pinguino al Cairo, spiccava, era fuori contesto, era diverso. Allora lo scippavano sempre, lo truffavano, gli facevano scherzi, perché i portoghesi sono così, gente spiritosa, sono come i napoletani, ma con meno sole, più vento in testa e più fado nel cuore.

Un giorno un amico siciliano presta la sua Panda scassatissima a Oiken, la Panda con cui era arrivato dall’Italia, ed era un catorcio, ma voi lo ricordate il valore inestimabile di una Panda scassata in Erasmus, a vent’anni? E Oiken poi torna a casa, la mattina dopo, disperato, perché gli hanno rubato la Panda. A lui rubavano tutto.

E poi il siciliano rientra con tutti i suoi bagagli, senza Panda, e l’Erasmus finisce e si salutano tutti e Oiken, Orkien se ne torna al suo paese.

E poi l’amica dice, mentre faceva freddo ed eravamo al secondo spritz io e al secondo prosecco loro, che due anni dopo, il siciliano riceve una chiamata, a casa dei suoi, dalla polizia portoghese e sembra che avessero trovato la sua auto, che era rimasta parcheggiata due anni dove l’aveva lasciata quella sera Oiken, che era svedese e, oltre a essere una montagna bionda, beveva come una spugna e quella sera non era stato derubato, non aveva ritrovato l’auto perché era così sbronzo da non ricordare dove l’aveva parcheggiata. E la Panda era lì e la polizia comunicava che stava per essere demolita, dopo due anni.

Penso che, passata l’incazzatura, il siciliano abbia riso molto della cosa, come abbiamo riso noi, come ho riso io, anche se faceva freddo in piazza.

Perché le cose succedono e a volte non sono come sembrano, sono più stupide, più semplici e più divertenti e, con il senno di poi, vale la pena di averle vissute per raccontarcele.

Io non vedo da tempo i miei compagni dell’Erasmus, a volte mi dico che non li rivedrò mai, ma tutti i vent’anni mi sembrano la stessa storia, meravigliosa e facile, soprattutto quando te la raccontano con un finale diverso, più allegro e più leggero, al secondo spritz.

La fine è (forse) il mio inizio

Non sono mai stata molto brava a scrivere resoconti della mia vita, a redigere diari dettagliati del mio vissuto.
Mi nascondo dietro al prezioso dono della sintesi -che, senza il rischio di peccare di modestia, ritengo il mio unico talento- e riesco da sempre a divincolarmi dalla cronaca dal mio presente.
Sono autobiograficamente poco obiettiva e dannatamente troppo severa. Mi allontano dai fatti nudi e crudi, mi lascio distrarre dalle sfumature, mi attacco a qualche pensiero ossessivo e ricorrente e perdo il filo delle cause e degli effetti.

Odio, inoltre, le scadenze che spingono all’analisi, i momenti che inducono tradizionalmente al bilancio, le feste che segnano il passare del tempo, i riti che scandiscono pragmaticamente i passaggi, gli inizi e la fine.

Volevo però provare a scrivere qualche riga che esorcizzasse l’annus terribilis che sta per terminare, pensando che, dopo mesi così faticosi, irritanti e, spesso, tristi, le parole sarebbero venute da sole, avrebbero inondato il monitor, mi avrebbero mondata dal disagio e avrebbero dato una forma ai miei pensieri stanchi.

Invece sono qui da ore a chiedermi come e cosa valga la pena raccontare, se ha davvero un senso raccontarsi per provare a ripartire da quello che abbiamo sbagliato e da quello che fortunatamente abbiamo imbroccato.

Nel 2009 ho cambiato due lavori, incontrando gente meravigliosa e inciampando in figuri tristemente meschini. Sono tornata a lavorare a Venezia, un ritorno che ha significato un violento confronto con la vecchia me stessa, con le mie scelte passate, i miei numerosi treni persi (metaforicamente e fisicamente), i miei errori, i miei abbandoni e  le mie paure.

È stato un anno in cui ho pensato più a sopravvivere che a vivere, scoprendo, con atroce scandalo, di far parte di quella larga fetta del paese che guadagna troppo poco, che non ha una famiglia facoltosa alle spalle e che non conosce le persone giuste; quella fetta che vive il continuo penitenziagite relativo alla crisi come la condanna a morte delle proprie ambizioni.

Un anno di intollerabile disagio per il mio paese e per la sua classe dirigente e anche per quella votante.

Un anno in cui, per trovare una misera stabilità professionale ed economica, ho smesso di cercarmi e, quando ho provato a riprendere il filo dei miei sogni, ho scoperto che era ormai troppo tardi per realizzare molti di loro. Un anno di occasioni mancate, di stanchezza emotiva e di poca autostima.

È stato un anno di addii, di alcuni affetti lontani e di altri partiti per non tornare mai più.

Un anno di eccessiva vita sociale e di solitudine infinita, di tantissime parole (quasi un fiume in piena sui miei social network) e di pochissimo dialogo.

Alla fine di questo infame susseguirsi di mesi, ho provato a decontestualizzarmi, a uscire dalla vischiosa -e stucchevole, lo so!- autocommiserazione in cui rischiavo di fossilizzarmi e a trovare pensieri felici a cui aggrapparmi.
Sono riuscita ad accumulare un quaderno di buoni propositi che riuscirò, come sempre, a procrastinare.

Non mi resta che provare a ricominciare dalla fine, a ricostruire dalle macerie, a fottermene del tempo che passa e vivere per il solo piacere di farlo.

Perché, nonostante tutto, sono ancora convinta che non sia così difficile essere felici.

Buon anno nuovo a tutti.