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Gli specchi

Oggi è il primo giorno dell’anno e io ho passato il tempo a riempire i vuoti, a pulire casa, a finire avanzi, a leggere un bel libro e a chiedermi perché non l’abbia fatto prima, a carezzare il gatto, a sospirare, a guardare fuori dalla finestra il sole pigro che tramonta su Milano.

Ho passato il tempo a ricordare appena e appena arrivavano i ricordi, insieme alla noia che non fa altro che riportare a galla passati irreparabili, iniziavo a fare qualcosa, qualcosa per riempire vuoti.

Ho guardato un film e tanti telefilm e c’era una scena in una puntata in cui la protagonista faceva una cosa sbagliata, che però la faceva stare bene, tipo farsi un amante, ché gli amanti quando sei trascurata ti fanno sentire viva, ti fanno venire voglia di truccarti e vestirti bene e curarti e sorridere, quei sorrisi idioti per qualsiasi coincidenza, ti fanno venire le farfalle nello stomaco e le ginocchia molli e lei aveva questo amante, però il marito distratto le chiede cosa c’è e lei allora si sente terribilmente in colpa, perché ama quel marito distratto che la trascura, e gli risponde niente niente e poi si guarda allo specchio e rimane lì a fissarsi con quell’espressione che dice oddio, ma cosa sto facendo? sono una brutta persona.

Mentre la guardavo io pensavo che questa cosa di guardarsi allo specchio nei momenti difficili e fondamentali della nostra vita e riconoscersi e capire tutto e dire ma cosa succede, cosa mi succede? io non sono così no no no adesso sistemo tutto, questa cosa di guardarsi allo specchio che piace tanto al cinema e alla tv, nella vita vera non succede mai.

Nei momenti difficili e fondamentali ci guardiamo appena allo specchio e solo per vedere se possiamo sistemare i capelli, se possiamo mascherare le occhiaie. Nei momenti difficili quasi non ci percepiamo, non ci facciamo distrarre dalla nostra immagine, non ci fissiamo mai, fissiamo soprattutto gli altri, pensiamo molto e ci guardiamo poco e se lo facciamo non abbiamo mai rivelazioni.

Questa cosa di guardarsi allo specchio e capire a me non è mai successa, allora mi sono messa davanti allo specchio, per capire se capivo e non ho capito nulla, ho visto questo viso un po’ invecchiato, il mio nuovo taglio di capelli, le occhiaie per il poco sonno, gli occhiali ancora sporchi del colore di quando ho imbiancato casa, mi sono vista con due chili di troppo e le mani con lo smalto rosso e non ho capito, forse perché non c’è più niente da capire, forse perché è finito tutto, è passato un anno intero, sono sopravvissuta, nonostante i vuoti da riempire e l’assenza rumorosa e le parole spedite per ricevere indietro silenzi.

Questa cosa di guardarsi allo specchio non fa capire, però nei film funziona e poi oggi è il primo giorno dell’anno, è il giorno in cui non c’è niente da capire, è il giorno in cui programmare tutto e ho ancora del panettone ai frutti di bosco e per un po’ non mi guarderò allo specchio, aspetterò nuove farfalle nello stomaco, finirò i libri belli, lascerò che arrivi il nuovo, smetterò di vivisezionare il passato e inizierò a bere molto meno caffè.

Sono contraria alle emozioni

Oggi ho fatto un viaggio in treno, lento e sporco, perché a Milano è festa e tutti partivano e non c’era posto sui treni migliori e ho preso un vecchio interregionale, che adesso si chiama regionale veloce, ma è lento e sporco come l’interregionale vecchio.

Oggi ho fatto un viaggio in treno e leggevo questo romanzo di un autore che amo e lui dice proprio le cose che io ho sempre immaginato dicesse o pensasse l’uomo con cui avrei passato tutta la vita e le dice come le avrei dette io e leggevo, nel treno lento e sporco, questa cosa sulle emozioni in cui il personaggio dice che lui subisce le emozioni, non le controlla, non riesce ad attraversare la strada perché travolto dal camion delle emozioni, come in un incrocio senza semafori.

E io annuivo, dicevo sì, sei proprio come me, poi ho ricevuto queste due telefonate con notizie non belle e a un certo punto ero di nuovo al centro dell’incrocio, con tutte queste emozioni che sfrecciavano e c’era la disperazione, la nostalgia, la rabbia, la rassegnazione, la delusione, la fatica. Allora ho pensato che a volte le cose ti succedono mentre le leggi, che le parole sono segnali, ma solo se cerchiamo segnali in ogni cosa. Ho pensato che c’è sempre qualche coincidenza che ti fa credere a un disegno più grande e quella casuale coincidenza è poi la cosa più importante, che ti fa credere che era destino, che non poteva che andare così, che alla fine non dipende tutto da te.

Quindi sono qui, mutuo, affitto, Milano, Padova, lavori finiti, lavori da cercare, debiti, entusiasmo, solitudine, un gatto, amici, ricordi, ricordi e fottuti ricordi, paura, birra in frigo, la tazzina di caffè in mano, il rimmel colato per un pianto consolatorio, il futuro, i progetti e il mio camion di emozioni che mi schiaccia, mi uccide e, mentre mi ammazza, mi fa sentire viva.

Piove, è tempo di partir

Da qualcosa poi dovrai ricominciare.

E decidi di partire dalle parole.

Dalle parole delle amiche che ripeti come un mantra, dalle parole di chi ti conosce davvero e ti ha capita e ti ama senza porti condizioni e ti dice ce la fai anche stavolta, devi crederci anche tu, devi prendere il dolore e trasformarlo in rabbia, devi prendere a calci in culo il destino.

Dalle parole dei libri, che divori come un tempo, che trascini nei viaggi in treno verso luoghi in cui non sai nemmeno se vuoi andare. Le parole di qualcuno che non conosci e che ti sembra ti conosca da sempre. Le parole che ti dicono ah, è così per tutti, è umano questo stropicciarsi il cuore, questo rimanere senza fiato per l’abbandono, per l’attesa. Le parole che ti dicono non muori per amore e se muori ne è valsa la pena, perché vale sempre la pena amare, anche se non sei amata, anche se smetti di amare. Le parole scritte da quelli bravi, quelli che sanno arrivare in quel punto del cervello in cui nascondevi le tue paure e i tuoi desideri e sanno tirarteli fuori e farli scivolare nella pancia e farti sorridere e farti dimenticare oggi e ieri e, a volte, anche domani.

Dalle parole delle canzoni, che ascolti in silenzio, mentre cammini con la testa bassa, con passo veloce.

Dalle parole degli sconosciuti che entreranno nella tua vita, che riempiranno lo spazio vuoto lasciato dalle parole gelide e dai mi dispiace sterili di chi è andato via.

Dalle parole che hai dentro, ma solo quelle al singolare. Quelle che parlano di te, nonostante gli altri. Quelle che dicono sei rimasta e respiri ancora e il tempo di ripartire è arrivato e non credere che finirà qui. C’è ancora un sacco di strada ed è piena di persone e farà bene e poi di nuovo male e poi bene e poi male. Adesso sai che puoi difenderti, ma sai anche che non lo farai, perché hai un cuore kamikaze che continuerà a lanciarsi in picchiata e schiantarsi ancora e ancora.

Domani sarò al Salone del Libro di Torino a intervistare Daria Bignardi. Speriamo di trovare le parole che servono.

Tra le pagine

Ho ripreso in mano un libro che non sfogliavo da tempo per trovarci dentro una risposta.

Cercavo di capire se un personaggio sfocato della mia recente vita non fosse solo l’ombra di un personaggio che avevo amato in un romanzo dimenticato sullo scaffale.

Tra le pagine ho trovato un foglio color salmone, con un messaggio che mi avevi lasciato tu.

Ho ritrovato, dopo tredici anni, il tuo messaggio che parlava delle tue scarpe rosse e di uno dei tuoi viaggi, in un libro che non avevo più aperto, ma al quale avevo pensato spesso.

L’ho trovato stamattina, dopo che ieri, rompendo un silenzio durato un decennio, tu sei venuta da me a cercare un sorriso, tra le pagine di un social network che non ha il colore, l’odore e il rumore di tutta la carta che abbiamo consumato.

Non lo so se sono solo coincidenze, non lo so se il destino ha deciso che per ogni persona che si allontana ce n’è sempre una che ritorna da un lungo lunghissimo viaggio.

So solo che il tempo è la distanza più crudele.

E che quando tu, troppi anni fa, in quella Napoli che non era già più nostra, mi ha chiesto se sarebbe stato per sempre non ho avuto il coraggio di mentirti, come farei ora, per non lasciarti andare via.

Saperci leggere

Mi innamoro spesso dei libri.

Li sfoglio e ci leggo la mia vita, proprio uguale, e mi ritrovo a Praga, in Cile, a Mosca, in una stanza chiusa, in un ristorante di Roma, in un ufficio di Tokyo, nel tribunale di Napoli, in una milonga di Buenos Aires, in una casa in affitto, in un hammam, in alto mare.

Sono sempre io, che dico parole mie, che penso pensieri miei detti da altri, che vivo la vita mia vissuta da altri, che piango, che rido, che mangio, che scopo, che muoio.

Mi piace far leggere i libri che adoro alle persone che amo.

Non li presto mai, li ricompro nuovi e glieli regalo. Alcuni li rileggo prima di regalarli, perché mi dico fammi controllare se dentro ci leggeranno proprio me, fammi verificare di essere ancora tra le pagine.

Ad alcuni non piacciono. Troppo difficili o troppo poco difficili.

E io mi chiedo a lungo come puoi non aver capito? Come puoi non averci letto quello che ci ho letto io?

Quando le persone che amo non amano i libri che amo mi sento ferita, tradita.

Però insisto e regalo libri ad altre persone e, a volte, quelle più inaspettate mi dicono grazie, grazie per aver condiviso con me questa storia, grazie per avermi fatto entrare dentro queste parole, perché sono belle, perché fanno male, perché fanno bene.

Allora sono contenta e mi dico che è bello amare persone che sanno leggere come me.

A volte penso che anche noi siamo come i libri: non tutti riescono a capirci, non tutti riescono ad amarci.

Come quella volta che tu, che sei arrivata e poi sparita, mi hai detto che sono troppo difficile da amare.

Però insisto e mi regalo ad altre persone.

Perché nessuno è un libro sbagliato se trova qualcuno che lo sa leggere.

 

Educatemi

Nei commenti a un post di qualche mese fa, un intrepido lettore mi consigliava alcuni romanzi di un autore, Edgar Keret, all’epoca sconosciutomi.

Pur essendo sempre stata restia ad accettare consigli letterari, preferendo scegliere i libri attraverso un consolidato rituale di maratona da libreria, durante il quale mi sottopongo alla lettura di un numero indecente di quarte di copertina, fino ad arrivare alla vertigine che mi spinge a comprare i testi che più si intonano al colore del mio abito, ho seguito il suggerimento, scoprendo un autore molto piacevole.

La rivelazione di avere un pubblico così attento da essere in grado di intuire il mio gusto, non sempre condivisibile, in materia di libri mi spinge a tentare un esperimento mai realizzato prima, nel mondo aspro e duro dei blog.

Per la prima volta, una blogger, seppur di vecchia data, non vi suggerirà, recensendoli indegnamente, libri da leggere, ma chiede a voi di suggerirle dei testi che possano colpirla, emozionarla, interessarla o, semplicemente, farle passare dei gradevoli pomeriggi off line.

Segnalatemi i testi che più potrebbero piacermi, quelli che avete amato o quelli che avete odiato, ma che pensate io possa gradire. Riscrivete voi, per me, la quarta di copertina dei romanzi e dei saggi che reputate imperdibili. Salvate i librai dalla piaga della lettrice indecisa con la sindrome di Stendhal.

Educare me renderà migliori anche voi.

Il presente vale, anche, come invito a regalarmi dei libri (non necessariamente quelli che avete scritto voi).